Di Fabrizio (del 19/11/2009 @ 09:07:13, in media, visitato 1573 volte)
Ricevo e porto a conoscenza
Salve,
seguiamo con interesse il vostro blog e vorremmo segnalarvi il sito
www.theforgotten.eu,
che ci piacerebbe fosse segnalato come link nel vostro sito.
Il nostro progetto “I dimenticati tra I dimenticati” (a cui il sito si
riferisce) è promosso dalla branca italiana del Servizio Civile Internazionale
(SCI) insieme al Centro Europeo di Studi sulla Discriminazione di Bologna (CESD)
e allo SCI Romania. E’ sostenuto dalla Commissione Europea nell’ambito del
programma “Citizenship”.
Il progetto è incentrato sul ricordo della persecuzione nazi-fascista contro le
persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) e contro il popolo Rom.
L’intento di questo progetto è quello di contribuire a ricordare ciò che è
accaduto a coloro che sono stati perseguitati ma che raramente vengono
menzionati come vittime del nazi-fascismo. Attraverso il ricordo, il nostro
obiettivo è anche quello di aiutare a riflettere sulla attuale situazione di
discriminazione delle persone LGBT e Rom, contribuendo così a costruire la
coesione futura.
Il progetto proseguirà nel corso del 2010, con una serie di eventi e iniziative
per riscoprire i luoghi che furono campi di concentramento di persone rom
durante la seconda guerra mondiale.
Di Fabrizio (del 23/11/2009 @ 08:59:32, in media, visitato 2065 volte)
Da Milano Città Aperta
Ciao a tutti,
come sapete dalle mail che sono circolate in mailing list e dai media,
l'altro ieri è stato sgomberato il campo Rom di via Rubattino a Lambrate.
Circa 300 persone, tra cui moltissime donne e bambini anche
piccolissimi sono stati lasciati al freddo sotto un ponte, senza alcuna
alternativa praticabile (si proponeva la solita soluzione che prevedeva la
divisione di uomini da una parte, donne e bambini dall'altra, bambini sopra i 6
anni da un'altra ancora).
Ieri si è svolto un presidio davanti alla prefettura, in cui una delegazione
ha chiesto, tra le altre cose, perlomeno di poter usufruire temporaneamente dei
container anti-freddo presenti nell'area di Via Barzaghi. Non solo neppure
questo è stato accettato, ma stamattina la polizia ha di nuovo sgomberato i rom
dall'area sotto il ponte di Rubattino dove si erano rifugiati provvisoriamente,
per permettere la solita passerella mediatica oggi pomeriggio a De Corato. (in
allegato o linkati a questa mail trovate altro materiale informativi per
approfondire meglio la vicenda).
Ieri al presidio erano presenti diversi di noi di Milano Città Aperta (io,
Natascia, Betta, Paolo, Giuliano, Veronica). Parlando si è pensato a far
qualcosa, trovare qualche strumento di pressione nei confronti del prefetto e
della giunta comunale. Coloro che sono andati in delegazione dal prefetto hanno
riferito infatti che la prefettura (a differenza dell'inflessibile
assessore Moioli) è stata abbastanza colpita dalla partecipazione cittadina
al presidio e in generale dalla solidarietà della cittadinanza nei confronti dei
Rom. Tanto nei giorni prima, che al momento dello sgombero, che ieri al
presidio erano presenti e si erano mobilitati diversi degli insegnanti della
scuola frequentata dai piccoli bimbi Rom e finanche genitori dei loro compagni
di classe. Segno evidente che, quando affianco alle "solite" meritorie
organizzazioni di "addetti ai lavori", si muovono in prima persona anche
i cittadini, a non pochi vengono fastidiosi mal di pancia.
D fronte a questo l'idea che è venuta a me e Natascia è quella di intasare
gli indirizzi che vi riporto qui sotto (del prefetto, del vicesindaco De Corato
e dell'assesore Moioli) di mail di protesta, per far capire che la cittadinanza
non rimane passiva di fronte allo scempio e alla barbarie degli sgomberi senza
alternative dei campi rom e delle correlate violazioni dei diritti umani
fondamentali.
Più sotto vi riporto un testo già scritto da noi (molto sintetico per
forza di cose, in modo che possa essere condiviso da tutti), ma che tutti
possono ovviamente arricchire e personalizzare come vogliono.
Nel fare questa improvvisata, ma utilissima azione di mail-bombing, vi
raccomandiamo pero di seguire alcune precauzioni volte a non
compromettere l'efficacia e l'utilità dell'azione:
a) scrivere ognuno un oggetto diverso alla mail, in maniera che i
destinatari non possano bypassare le mail, mettendo filtri che le releghino alla
posta indesideata. Sfruttate tutte le varianti possibili!
b) Girare quest'email e quest'appello a a tutte le persone che conoscete
chiedendo di prendere parte a questa iniziativa nel più rapido tempo possibile
(nel weekend!)
c) Inviare una copia della mail in copia conoscenza nascosta al seguente
indirizzo da noi creato ad hoc
rubattino@email.it, in maniera da poterci contare, sapere quante persone
hanno preso parte all'iniziativa ed eventualmente farlo pesare a chi di dovere,
al momento opportuno.
Il testo da copia-incollare (e se volete da personalizzare ) è il seguente
"Io cittadino di Milano sono indignato dallo sgombero del campo rom di
via Rubattino avvenuto il 19/11/09 e dalle precedenti e successive proposte
e risposte del Comune alle legittime richieste di cittadini rom e delle
associazioni. Non sono queste le autorità che mi rappresentano, non è questa
la città che voglio."
Mi raccomando, se lo ritenete utile, partecipate a questo piccolo,
simbolico, ma molto significativo gesto di solidarietà nei confronti dei Rom
sgomberati, al più presto (entro il fine settimana) E giratelo a tutti
i contatti che avete e credete siano interessati e sensibili sulla
questione.
I curatori di tre importanti spazi web (Yuri Del Bar per
U Velto – Il Mondo,
notizie e immagini dai mondi sinti e rom, Fabrizio Casavola per Mahalla e
Davide Casadio per
Sinti italiani in viaggio per il diritto e la cultura), dialogano
con il pubblico sulla necessità di un'informazione obiettiva e attenta riguardo
i mondi rom e sinti
Di Fabrizio (del 27/11/2009 @ 09:39:02, in media, visitato 2040 volte)
Corriere.it Dal Sudafrica all’Italia di oggi, la paura del diverso genera
intolleranza di Gian Antonio Stella - 25 novembre 2009
«A l centro del mondo», dicono certi vecchi di Rialto, «ghe semo
noialtri: i venessiani de Venessia. Al de là del ponte de la Libertà, che porta
in terraferma, ghe xè i campagnoli, che i dise de esser venessiani e de parlar
venessian, ma no i xè venessiani: i xè campagnoli».
«Al de là dei campagnoli ghe xè i foresti: comaschi, bergamaschi,
canadesi, parigini, polacchi, inglesi, valdostani... Tuti foresti. Al de là
dell’Adriatico, sotto Trieste, ghe xè i sciavi: gli slavi. E i xingani: gli
zingari. Sotto el Po ghe xè i napo’etani. Più sotto ancora dei napo’etani ghe xè
i mori: neri, arabi, meticci... Tutti mori». Finché a Venezia, restituendo
la visita compiuta secoli prima da Marco Polo, hanno cominciato ad arrivare i
turisti orientali. Prima i giapponesi, poi i coreani e infine i cinesi. A quel
punto, i vecchi veneziani non sapevano più come chiamare questa nuova gente.
Finché hanno avuto l’illuminazione. E li hanno chiamati: «i sfogi». Le sogliole.
Per la faccia gialla e schiacciata.
Questa idea di essere al centro del mondo, in realtà, l’abbiamo dentro
tutti. Da sempre. Ed è in qualche modo alla base, quando viene stravolta e
forzata, di ogni teoria xenofoba. Tutti hanno teorizzato la loro centralità.
Tutti. A partire da quelli che per i veneziani vivono all’estrema
periferia del pianeta: i cinesi. I quali, al contrario, come dicono le parole
stesse «Impero di mezzo», sono assolutamente convinti, spiega l’etnografo russo
Mikhail Kryukov, da anni residente a Pechino e autore del saggio Le origini
delle idee razziste nell’antichità e nel Medioevo, non ancora tradotto in
Italia, che il loro mondo sia «al centro del Cielo e della Terra, dove le forze
cosmiche sono in piena armonia».
È una fissazione, la pretesa di essere il cuore dell’«ecumene», cioè
della terra abitata. Gli ebrei si considerano «il popolo eletto», gli egiziani
sostengono che l’Egitto è «Um ad-Dunia» cioè «la madre del mondo», gli indiani
sono convinti che il cuore del pianeta sia il Gange, i musulmani che sia la Ka’ba
alla Mecca, gli africani occidentali che sia il Kilimangiaro. Ed è così da
sempre. I romani vedevano la loro grande capitale come caput mundi e gli antichi
greci immaginavano il mondo abitato come un cerchio al centro del quale, «a metà
strada tra il sorgere e il tramontare del sole», si trovava l’Ellade e al centro
dell’Ellade Delfi e al centro di Delfi la pietra dell’ omphalos , l’ombelico del
mondo.
Il guaio è quando questa prospettiva in qualche modo naturale si traduce
in una pretesa di egemonia. Di superiorità. Di eccellenza razziale. Quando
pretende di scegliersi i vicini. O di distribuire patenti di «purezza» etnica.
Mario Borghezio, ad esempio, ha detto al Parlamento europeo, dove è da anni la
punta di diamante della Lega Nord, di avere una spina nel cuore: «L’utopia di
Orania, il piccolo fazzoletto di terra prescelto da un pugno di afrikaner come
nuova patria indipendente dal Sudafrica multirazziale, ormai reso invivibile dal
razzismo e dalla criminalità dei neri, è un esempio straordinario di amore per
la libertà di preservazione dell’identità etnoculturale».
Anche in Europa, ha suggerito, «si potrebbe seguire l’esempio di questi
straordinari figli degli antichi coloni boeri e 'ricolonizzare' i nostri
territori ormai invasi da gente di tutte le provenienze, creando isole di
libertà e di civiltà con il ritorno integrale ai nostri usi e costumi e alle
nostre tradizioni, calpestati e cancellati dall’omologazione mondialista. Ho già
preso contatti con questi 'costruttori di libertà' perché il loro sogno di
libertà è certo nel cuore di molti, anche in Padania, che come me non si
rassegneranno a vivere nel clima alienante e degradato della società
multirazziale». La «società multirazziale»? Ma chi l’ha creata, in Sudafrica, la
«società multirazziale»? I neri che sono sopravvissuti alla decimazione dei
colonialisti bianchi e sono tornati da un paio di decenni a governare
(parzialmente) quelle che erano da migliaia di anni le loro terre? O i bianchi
arrivati nel 1652, cioè poco meno di due millenni più tardi rispetto allo
sfondamento nella Pianura Padana dei romani che quelli come Borghezio ritengono
ancora oggi degli intrusi colonizzatori, al punto che Umberto Bossi vorrebbe che
il «mondo celtico ricordasse con un cippo, a Capo Talamone » la battaglia che
«rese i padani schiavi dei romani»? Niente sintetizza meglio un punto: il
razzismo è una questione di prospettiva. (...) Non si capiscono i cori negli
stadi contro i giocatori neri, il dilagare di ostilità e disprezzo su Internet,
il risveglio del demone antisemita, le spedizioni squadristiche contro gli
omosessuali, i rimpianti di troppi politici per «i metodi di Hitler», le
avanzate in tutta Europa dei partiti xenofobi, le milizie in divisa paranazista,
i pestaggi di disabili, le rivolte veneziane contro gli «zingari» anche se sono
veneti da secoli e fanno di cognome Pavan, gli omicidi di clochard bruciati per
«ripulire» le città e gli inni immondi alla purezza del sangue, se non si parte
dall’idea che sta manifestandosi una cosa insieme nuovissima e vecchissima. Dove
l’urlo «Andate tutti a ’fanculo: negri, froci, zingari, giudei co!», come capita
di leggere sui muri delle città italiane e non solo, è lo spurgo di una società
in crisi. Che ha paura di tutto e nel calderone delle sue insicurezze mette
insieme tutto: la crisi economica, i marocchini, i licenziamenti, gli scippi, i
banchieri ebrei, i campi rom, gli stupri, le nuove povertà, i negri, i pidocchi
e la tubercolosi che «era sparita prima che arrivassero tutti quegli
extracomunitari ». Una società dove i più fragili, i più angosciati, e quelli
che spudoratamente cavalcano le paure dei più fragili e dei più angosciati,
sospirano sognando ognuno la propria Orania. Una meravigliosa Orania ungherese
fatta solo di ungheresi, una meravigliosa Orania slovacca fatta solo di
slovacchi, una meravigliosa Orania fiamminga fatta solo di fiamminghi, una
meravigliosa Orania padana fatta solo di padani.
Ma che cos’è, Orania? È una specie di repubblichina privata fondata nel
1990, mentre Nelson Mandela usciva dalla galera in cui era stato cacciato oltre
un quarto di secolo prima, da un po’ di famiglie boere che non volevano saperne
di vivere nella società che si sarebbe affermata dopo la caduta dell’apartheid.
Niente più panchine nei parchi vietate ai neri, niente più cinema vietati ai
neri, niente più autobus vietati ai neri, niente più ascensori vietati ai neri e
così via. (...) «Il genocidio dei boeri»: titolano oggi molti siti olandesi
denunciando le aggressioni ai bianchi da parte di bande criminali di colore
gonfie di odio razziale che da Durban a Johannesburg sono responsabili dal 1994
al 2009, secondo il quotidiano «Reformatorisch Dagblad », di oltre tremila
omicidi. Il grande paradosso sudafricano, quello che mostra come la bestia
razzista possa presentarsi sotto mille forme, è qui. I boeri, protagonisti di
tante brutalità contro le popolazioni indigene e oggi vittime di troppe
vendette, sono gli stessi boeri che furono vittime del primo vero genocidio del
XX secolo. Perpetrato dagli inglesi che volevano liberarsi di quei bianchi
africani nati da un miscuglio di olandesi, francesi, tedeschi... (...) È tutto,
la memoria: tutto. È impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda
il razzismo di ieri. Sull’uno e sull’altro fronte. Non puoi raccontare gli
assalti ai campi rom se non ricordi secoli di pogrom, massacri ed editti da
Genova allo Jutland, dove l’11 novembre 1835 organizzarono addirittura, come si
trattasse di fagiani, una grande caccia al gitano. Caccia che, come scrivono
Donald Kenrick e Grattan Puxon ne Il destino degli zingari, «fruttò
complessivamente un 'carniere' di oltre duecentosessanta uomini, donne e
bambini». Non puoi raccontare della ripresa di un crescente odio antiebraico,
spesso mascherato da critica al governo israeliano (critica, questa sì,
legittima) senza ricordare quanto disse Primo Levi in una lontana intervista al
«Manifesto»: «L’antisemitismo è un Proteo». Può assumere come Proteo una forma o
un’altra, ma alla fine si ripresenta. E va riconosciuto sotto le sue nuove
spoglie. Così com’è impossibile capire il razzismo se non si ricorda che ci sono
tanti razzismi. Anche tra bianchi e bianchi, tra neri e neri, tra gialli e
gialli...
Per la prima volta nel nostro paese una istituzione riconosce il Porraimos,
l'olocausto dei rom e sinti durante la seconda guerra mondiale. Alla Camera dei
Deputati, nella sala del mappamondo, rom, sinti, gagè e parlamentari hanno
ricordato questa terribile pagina della storia.
Oltre ad ascoltare le impressioni dei partecipanti in questa puntata andiamo
nei Balcani: le presidenziali in Romania e le amministrative in Kossovo.
Di Fabrizio (del 10/01/2010 @ 09:53:00, in media, visitato 3212 volte)
Segnalazione di Tommaso Vitale
Corriere della SeraMercoledì 27 gennaio, History Channel dedica una
prima serata alla rocambolesca vicenda di un Rom italiano.
Prima serata dedicata a una storia a dir poco incredibile, quella che ci aspetta
il 27 gennaio su History Channel. Protagonista del documentario, prodotto da
Fabulafilm e diretto da Paolo Santoni, è Giuseppe Levakovich, detto Tzigari, Rom
italiano che prima diviene fascista, sfuggendo così alla deportazione a opera
dei tedeschi, e passa poi a combattere nella Resistenza.
La vicenda personale, che così bene si presta a un racconto cinematografico, è
l'occasione per sfogliare le pagine inedite della storia dei Rom a cavallo tra
le due guerre mondiali, alle prese con la persecuzione razziale fascista prima
e, in un ruolo attivo, nella guerra d'opposizione al regime. Poco si parla
difatti, e ancor meno si sa, di quel mezzo milione di zingari uccisi in Europa
nell'arco di un solo quinquennio (1940-45), senza contare le migliaia di Rom e
Sinti italiani internati nei campi istituiti dal regime fascista che,
contrariamente a quanto si tende a credere, fu autonomamente attivo nel
perseguire etnie "diverse", indipendentemente dall'esempio tedesco.
Contribuisce forse all'oblio la tradizione culturale dei Rom, che rifugge dalla
memoria scritta considerandola una sorta di atto sacrilego, soprattutto quando
si sceglie di ricordare le sofferenze patite. Ma, negli anni Settanta, Tzigari
sceglie d'infrangere il tabù e raccontare ai "gaje", i non zingari, cosa lui e
il suo popolo avessero subito.
A distanza di decenni, c'è chi ha deciso di seguire il suo esempio, attivandosi
perchè l'umanità non dimentichi quanto accaduto. Così, la comunità Rom e Sinti
di Udine ha preso parte alla ricostruzione e alla messa in scena delle vicende
storiche raccontate, alcune delle quali toccano da vicino gli "attori": difatti,
del gruppo fanno parte anche parenti diretti di Tzigari e coloro che sono
sopravvissuti ai campi di concentramento, facendo ritorno da Gonars e Tossicia.
Di Fabrizio (del 25/01/2010 @ 09:54:19, in media, visitato 1813 volte)
Scrive Ermelinda Coccia
Riguardo l'inizio dello Sgombero al Casilino 900, campo Rom nel quale cinque
diverse comunità vivono da circa 40 anni, Alemanno dichiara «Questo campo esiste
da 40 anni durante i quali non è stato fatto niente. Lo sgombero terminerà
all'inizio di febbraio, quando porteremo le famiglie in campi attrezzati dove
inizieranno un percorso di legalità e inserimento lavorativo. Per il Casilino
900 siamo ad un passaggio epocale». «Occorre cancellare le vergogne come i campi
senza acqua, luce, pieni di rifiuti come era questo un anno e mezzo fa - ha
proseguito il sindaco - Fornire loro un documento, il Dast, che riconosce
identità e diritti. Lavorare con queste famiglie per trovare spazi di lavoro.
Entro quest'anno non devono esistere più campi abusivi e tollerati. Tutti poi
dovranno essere integrati e avere una casa».
Dall'altra parte Eugenio Viceconte, che da tempo affronta e sostiene l'argomento
"Rom" attraverso un blog internet (http://noblogo.livejournal.com/),
afferma che "Sarebbe giusto che chi c'ha vissuto in questi anni trovasse una
condizione di vita diversa dall'eterna condanna al "campo nomadi", una casa vera
e non un container. Fuori da un recinto presidiato da telecamere ... fuori dal
pregiudizio. Ma questo non è permesso. Non qui a Roma."
Dal canto nostro, autori del documentario ME SEM ROM, che ci siamo occupati,
dall'Aprile 2009, di raccogliere quante più informazioni possibili riguardo le
procedure effettuate ad esempio durante gli svariati censimenti e/o durante il
primo sgombero del Campo Rom di Via di Centocelle (i Rom del Campo hanno vagato
di certo una notte intera per trovare un riparo), ci impegneremo a documentare
quanto accadrà, cercando di fare emergere la verità obiettivamente. Le speranze
sono ovviamente che i Rom del Casilino 900, possano godere realmente delle
promesse fatte dall'Amministrazione, evitando così di sopportare ulteriori
delusioni da parte del potere politico.
Per chi fosse interessato all'argomento, il 6 Febbraio 2010, alle ore 21.00,
nella Sala Blu di Palazzo Gazzoli di Terni, in via del Teatro Romano, si potrà
assistere, in anteprima, alla proiezione di un estratto di 20 minuti del
documentario ME SEM ROM. Una proiezione che mette in luce, nel momento più
caldo, anche la voce del popolo Rom.
Verità nascoste
"Il mio vicino è uscito a fare la spesa e quando è tornato non ha trovato più la
sua baracca!" Mi dice una Rom del Casilino 900 "Ha trascorso la notte dentro
quella tenda, senza una coperta, senza più niente!"
Seguo il suo indice. Ad un passo da ma c'è una tenda verde sul viale fangoso che
nasconde un uomo anziano. Cerca di riposare infreddolito dalle basse temperature
di Gennaio.
Sono le 8.30 del mattino. Sul piazzale principale del campo c'è un viavai di
Polizia, Guardie Municipali e volontari della Croce Rossa Italiana. Qui tutto
sembra rispecchiare ciò che in questi giorni abbiamo visto in tv o letto sui
giornali. Uno sgombero pacifico e consenziente.
Al contrario, se ci si addentra nel campo la situazione degenera.
I bambini saltano da una maceria all'altra. Gli uomini fanno a pezzi ciò che
resta delle baracche. Le donne raccolgono i loro vestiti in dei sacchi. "Non
sono pronta!" Mi racconta una signora che dal 2000 vive al Casilino 900 "Mi
hanno avvertita due giorni fa, ho quattro figli, come faccio da sola a sistemare
tutto nelle valige in così poco tempo?".
La Croce Rossa in questo caso, potrebbe dare una mano a coloro che devono
spostarsi, ma sono fermi al piazzale principale in attesa che i pullman si
riempiano di gente. Uno di loro mi dice: "Mi chiedo cosa siamo venuti a fare!"
La signora che raccoglie i suoi averi mi fa entrare in casa "Guarda, ho dei
mobili, questi non li posso portare in un container di pochi metri, devo
lasciarli qui e farli distruggere dalle ruspe" "In un container in sei come ci
stiamo? Ci hanno promesso una sistemazione migliore!"
Proseguendo incontro uno dei portavoce del Campo, è consenziente allo
spostamento, ma infelice delle procedure poco chiare con le quali le autorità si
stanno muovendo. "Ci vado felice in un campo attrezzato. Pago volentieri
l'affitto del container che mi assegneranno. Il problema è che devono
permettermi di lavorare. Io farei qualsiasi tipo di lavoro per pagare l'affitto
a fine mese. Come ogni comune mortale. Ma a me, ad un Rom, il lavoro non lo dà
nessuno. E' il Comune che deve impegnarsi a trovarcelo a questo punto,
altrimenti come mantengo il container che mi assegnano?"
Il rappresentante mi dice inoltre che nei campi attrezzati è possibile vedere
ogni giorno pullman comunali carichi di donne, che poi però vengono scaricate in
centro. "Che cosa vuoi che facciano? Chiedono l'elemosina, è la sola cosa che è
permessa loro. Che fai le porti a lavorare? Dove? In mezzo alla strada?" "Mia
moglie non ha mai chiesto un centesimo ad un passante, ora che facciamo, ce ne
andiamo in un campo attrezzato e dignitoso per poi andare ad elemosinare per
strada?"
Se davvero si sta parlando dell'eliminazione dei campi abusivi, per inserire i
Rom in un contesto più umano, perché sta accadendo tutto questo?
La parola "integrazione" acclamata dall'Amministrazione rispetto agli sgomberi
che si stanno attuando, che significato ha?
Come ieri sera a Zelig Enrico Brignano ha sparato a zero sui rom.
Non è stato scherzoso, né gentile, né tantomeno riguardoso nei confronti dei rom
di tutta Italia.
Dobbiamo fare qualcosa!!
Se comincia a passare il messaggio, attraverso la satira, che "gli zingari ladri
vogliono prendere dall'Italia per portare altrove" dove andiamo a finire?
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