Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Carlo Berini tratto dalla newsletter n. 19 di Articolo 3
Secondo l'UNHCR, le
domande di asilo presentate in Italia nel 2008 sono state 30.324, e i
principali paesi di origine dei richiedenti asilo sono stati, nell'ordine,
la Nigeria con 5.333 domande, la Somalia con 4.473 domande, l'Eritrea con
2.739 domande, l'Afghanistan con 2.500 domande e la Costa d'Avorio con 1.844
domande.
Il numero complessivo dei rifugiati riconosciuti residenti in Italia è
indicato dall'UNHCR come pari, a giugno 2009, a circa 47.000 persone.
A titolo di confronto, può evidenziarsi che i rifugiati accolti in Germania
sono circa 580.000, quelli accolti nel Regno Unito 290.000, mentre quelli
ospitati nei Paesi Bassi ed in Francia sono, rispettivamente, 80.000 e
16.000
(it.wikipedia.org/wiki/Diritto_di_asilo)
A fronte dei numeri dobbiamo certo interrogarci su quanto la nostra
legislazione riesca a recepire in maniera adeguata le richieste d'asilo, ma
anche le richieste per lo status di rifugiato. In questo breve intervento, però,
vorrei limitarmi a sollevare una questione poco affrontata in Italia, ovvero il
diritto d'asilo per quei Cittadini di Paesi terzi che appartengono alla
minoranza linguistica rom.
In Italia sono presenti dal '400 sinti e rom italiani, a cui per altro lo
Stato italiano non ha ancora riconosciuto lo status di appartenenti ad una
minoranza storica linguistica (articolo 6 della Costituzione e legge 482/99), ma
sono anche presenti rom immigrati dalla ex Yugoslavia e rom immigrati dalla
Romania. Sui numeri delle presenze effettive c'è molta confusione, ma
incrociando le stime dell'Istituto
di Cultura Sinta e i dati del Ministero dell'Interno, la presenza di queste
minoranze è molto esigua. Unendo i dati riferiti sia ai sinti e rom italiani che
ai rom immigrati non superiamo le centomila persone.
L'immigrazione più consistente di rom in Italia si è vista negli anni Novanta
ed è essenzialmente dovuta a due fattori: la dissoluzione della ex Yugoslavia e
la caduta del comunismo in Romania.
La dissoluzione della ex Yugoslavia (compresa la guerra in Kosovo nei due
momenti, 1996 e 1999) è presente in tutti noi per gli orrori che ha provocato e
per il diretto coinvolgimento dell'Italia nel secondo periodo. In quegli anni i
rom vengono risucchiati nella voragine della guerra e della violenza ma, non
avendo né ambizioni nazionalistiche né rivendicazioni territoriali, sono
schiacciati tra le diverse fazioni in guerra. Il risultato evidente, anche per
chi è stato poco attento a quanto è avvenuto, è che oggi non esiste uno Stato
nazionale rom.
Per queste ragioni le famiglie rom che sono scappate, principalmente dai
territori della Bosnia-Erzegovina e dai territori del Kosovo, lo hanno fatto
perché le loro case sono state distrutte o occupate da famiglie appartenenti ad
altre minoranze, perché erano perseguitate, perché rischiavano di essere
sterminate.
Mentre altri Paesi europei si sono attivati per un pronto sistema di
accoglienza, con il riconoscimento del diritto d'asilo, in Italia ciò non è
successo: ad un primo rilascio dei permessi di soggiorno umanitari non è seguita
nessuna altra azione, tant'è che oggi ci sono intere famiglie che non hanno
nessun documento. Inoltre, al contrario di quanto fatto per gli altri profughi,
queste famiglie sono state costrette a vivere nei cosiddetti 'campi nomadi' (sia
regolari che irregolari, come ad esempio il Casilino 900 di Roma chiuso un anno
fa), un'invenzione legislativa tutta italiana che non ha eguali in Europa (per
la Lombardia si veda la legge 77/89).
I pochi rom profughi dalla ex Yugoslavia che hanno ottenuto il diritto d'asilo
lo hanno ottenuto dopo aver intrapreso un percorso giudiziario come è successo a
R. A., nata a Sarajevo, che nel 2005 ottiene dal tribunale di Roma il
riconoscimento del diritto d'asilo.1
Per quanto riguarda in particolare i rom profughi dal Kosovo, il Ministero
dell'Interno nel 1999/2000 stimava l'arrivo di circa 5.000 persone: la maggior
parte ha ricevuto la protezione umanitaria temporanea, pochissimi hanno avuto il
riconoscimento del diritto d'asilo e quasi nessuno lo status di rifugiato,
secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra.
Nel tempo molte famiglie provenienti dalla ex Yugoslavia, soprattutto in Toscana
e in Piemonte, sono riuscite ad ottenere permessi di soggiorno permanenti, ma in
alcune Regioni, come la Lombardia e il Lazio, la situazione è ancora irrisolta
con conseguenze prevedibili. E' però da segnalare l'iniziativa del Comune di
Roma, che negli ultimi mesi ha iniziato, a partire dagli ex abitanti di Casilino
900, un processo di regolarizzazione per molte famiglie. Diversa è la situazione
a Milano, dove la passata Amministrazione comunale aveva di fatto dichiarato
guerra ai rom. L'allora Vice Sindaco di Milano, Riccardo De Corato, aveva
dichiarato: "Queste sono persone di pelle scura, non europee come voi e me", ha
poi aggiunto: "Il nostro obiettivo finale è quello di avere zero campi nomadi a
Milano".2
La situazione milanese vede per altro coinvolti soprattutto i rom immigrati
dalla Romania. Le migrazioni più consistenti si hanno nel periodo compreso tra
il 1990 e il 1997 e nel 2002. Le due immigrazioni hanno avuto motivazioni
diverse. La prima per sfuggire ai pogrom, la seconda per motivi economici,
facilitata dalla possibilità di entrare in Italia senza il bisogno del visto.
Nel 2007 con l'entrata della Romania nell'Unione europea gli arrivi in Italia
sono insignificanti.
Le esplosioni di violenza razzista nei confronti delle comunità rom sono
ampiamente documentate da diversi organismi internazionali; esemplare in questo
senso, e ormai tristemente famosa, è la sommossa di Hadareni, avvenuta nel 1993,
durante la quale tre rom furono torturati e uccisi, 19 case bruciate e 5
distrutte.3 Eppure, se prendiamo il periodo compreso tra il
1990 e il 2002, non troviamo nessuna persona appartenente alla minoranza rom, di
fatto profuga dalla Romania, che abbia ricevuto una qualsiasi protezione da
parte dell'Italia.
La situazione che ho illustrato è stata fotografata alcune settimane fa anche
dal Rapporto della Commissione per i diritti umani del Senato.4
Questa breve riflessione vuole porre un problema che è ben presente sul
nostro Paese, ma che quasi nessuno sta affrontando, con conseguenze drammatiche
per famiglie intere che dopo essere sfuggite dai loro Paesi si ritrovano nel
nostro, l'Italia, che ancora oggi non applica le convenzione internazionali che
ha sottoscritto.
1
http://www.giuristidemocratici.it/post/20050429052522/post_html
2
http://www.giornalettismo.com/archives/87829/giro-vite-rom-italia-riflette/
3
http://www.comune.torino.it/intercultura/s3.asp?p0=44&p1=APPROFONDIMENTI&p2=Documenti&p3=Minoranze
4
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/RAPPORTO
ROM .pdf
Di Fabrizio (del 25/06/2011 @ 09:56:16, in Regole, visitato 1770 volte)
L'Espresso di Fabrizio Gatti
I moduli dati a vigili e agenti per indicare il gruppo etnico delle
persone identificate. Un censimento occulto. E vietato (20 giugno 2011)
Schedature dei cittadini in base al gruppo etnico. A Milano non se ne aveva
notizia dalla caduta del fascismo. Basta invece sfogliare alcune schede
personali, compilate dai vigili urbani durante l'era del sindaco Letizia
Moratti, per scoprire che la pratica è stata adottata per anni. E
probabilmente è ancora in corso. Il gruppo etnico di appartenenza è uno dei
campi da riempire nel modulo di identificazione. Per gli italiani, viene scritta
la formula generica: "Europeo mediterraneo". Soltanto per i rom, nomadi o
stanziali che siano, italiani o stranieri, viene precisata l'appartenenza. Sulle
schede appare appunto la scritta "rom". Fatta così è sicuramente una
discriminazione: i rom non sono cittadini europei? Ovviamente sì. Allora perché
rimarcare l'etnia di appartenenza soltanto per loro?
Ma c'è di più. Gli uffici della vigilanza urbana, ora promossa al rango di
polizia locale, avrebbero sbagliato numerose schede. I funzionari milanesi,
comprensibilmente confusi su geografia e antropologia, avrebbero schedato come
rom numerosi cittadini romeni che rom non sono. Il risultato è prima di tutto
statistico. Si tratta di solito delle schede sulle persone indagate o arrestate
con l'accusa di avere commesso reati. Così la minoranza rom si ritrova
ingiustamente accusata di crimini che non ha mai compiuto. Non solo a Milano, ma
a livello nazionale. Le schede vengono infatti consegnate al gabinetto di
Polizia scientifica della questura. E da lì, i dati sono inseriti nel casellario
centrale d'identità, potente archivio del dipartimento di Pubblica sicurezza del
ministero dell'Interno. Nessuno è in grado di calcolare quante siano le persone
coinvolte nell'errore.
La responsabilità della schedatura non è soltanto dei vigili urbani di Milano.
Le voci che appaiono sul modulo prestampato sarebbero state decise dal ministero
dell'Interno e sono identiche per tutte le questure d'Italia. Gli stessi moduli
vengono distribuiti anche ai comandi della polizia locale che hanno allestito un
laboratorio per il fotosegnalamento. E' l'operazione in cui alla persona da
arrestare o semplicemente da identificare viene scattata la fotografia di fronte
e di lato. E vengono prese le impronte digitali e i dati personali. La voce
"gruppo etnico" compare almeno dal 2008. "I moduli distribuiti alle questure e
alla polizia locale sono gli stessi", spiega un funzionario del ministero, "il
campo "gruppo etnico" è compreso tra le caratteristiche antropologiche. Ma la
sua compilazione non è obbligatoria, né consente la ricerca automatica nel
databe del casellario. Non posso cioè digitare al terminale un gruppo etnico e
avere l'elenco di tutti gli appartenenti. Gli uffici di fotosegnalamento della
polizia di Stato lasciano di solito il campo libero: il gruppo etnico viene
specificato soltanto se si è di fronte a una persona senza documenti, che non è
in grado di dare notizie sulla propria identità o nazionalità. Ma non sappiamo
quali disposizioni siano state date dai comandi di polizia locale".
Le polizie locali insomma decidono da sé. E' l'effetto della secessione della
sicurezza, tanto cara all'attuale ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e alla
Lega Nord. Ecco alcuni casi, tra quelli scoperti da "l'Espresso". Vasile C., 25
anni, e Ioan N., 49, vengono arrestati per ricettazione. E registrati nel
casellario dalla polizia locale di Milano secondo i normali criteri: cognome,
nome, padre, madre, sesso, data di nascita, stato civile, luogo di nascita,
provincia, Stato di nascita, residenza, comune, provincia, cittadinanza,
professione, motivo del segnalamento, impronte digitali, impronte palmari e
fotografie del volto. Non basta questo alla precisione dell'identificazione? No,
i vigili compilano anche il campo "gruppo etnico": rom.
"L'Espresso" ha rintracciato gli agenti che hanno fatto le indagini, ma non il
fotosegnalamento: "Erano romeni, non rom", spiegano. Tre mesi dopo vengono
arrestati i presunti capi della banda, cinque italiani. Uno è nato a Como, due a
Gravedona e Valsolda in provincia di Como, due a Melito Porto Salvo, Reggio
Calabria. E quale può essere il gruppo etnico dei cinque? Lombardo insubrico per
i comaschi? Grecanico-ionico per gli altri due? I vigili scrivono semplicemente:
"Europeo mediterraneo", una classificazione generica che comprende milioni di
cittadini da Gibilterra a Istanbul.
Di Fabrizio (del 08/07/2011 @ 09:45:33, in Regole, visitato 1461 volte)
Affaritaliani.it Mercoledì 06.07.2011 10:16 - di Fabio Carosi
"A Roma è allarme rosso per la criminalità ma invece di affrontare il problema
chiamando imprese e commercio intorno ad un tavolo, questa politica spreca
risorse facendo la guerra a rom e puttane. E così fanno il gioco del crimine
organizzato che spinge perché il problema sicurezza sia circoscritto a giovani e
alcool".
Vincenzo Ciconte, docente di Storia delle criminalità organizzata a Roma
Tre, ex consulente della Commissione Antimafia e primo tra gli scrittori ad
occuparsi del fenomeno della Ndrangheta, sceglie Affaritaliani.it per analizzare
la serie di avvertimenti, omicidi e sequestri di proprietà riconducibili al
crimine organizzato, che hanno segnato le ultime settimane romane. Tanto da far
gridare ieri al sindaco Alemanno che Roma è un Far West e a porre il problema
sicurezza al ministro Roberto Maroni.
L'analisi di Ciconte è lucida e spietata. "Intanto omicidi e ferimenti non sono
legati ad un unico filo – dice – perché il ritorno alla città delle pistole è un
modo delle bande per accreditarsi sul territorio. Per mostrare la loro potenza
usano metodi plateali e non rinunciano a sparare e uccidere in pieno giorno.
Diversa invece è l'infiltrazione del crimine spa nel tessuto commerciale.
Ndranghetisti e camorristi hanno bisogno di lavorare nel silenzio per riciclare
e non vogliono che si scriva sui giornali, che si racconti cosa accade.
L'elemento comune denominatore è che siamo in una città aperta alle
scorribande".
Professore, eppure il problema sicurezza è stato al centro delle politiche
degli ultimi anni. A leggere la sua analisi sembra di essere di fronte ad un
fallimento. O No?
"Roma non è una città sicura e questo è palese. Solo che l'omicidio della
signora Reggiani è stata indicata come colpa del centrosinistra, mente quello
che è accaduto ieri in Prati non sembra avere colpevoli. Ma il vero nodo è
politico".
Ma la sua analisi tecnica non è troppo ispirata alla politica?
"Esatto la mia è un'analisi politica dei fenomeni ma non partitica. Il
sindaco ha vinto una campagna elettorale sulla sicurezza e dopo un po' ha fatto
correre le forze dell'ordine per reprimere lavavetri, prostitute, rom e ragazzi
che si drogano e bevono per manifestare il disagio sociale. Il risultato è che
se si combattono così non si garantisce la sicurezza della città e i fatti lo
dicono, smentendo questa politica. Perdonatemi, ma non penso si possa affrontare
il tema della movida e di ciò che genera con gli arresti. Contro il disagio
sociale ci vuole un'offerta diversa, un modo di vivere la città che non sia solo
aggregazione di massa intorno ad un bicchiere".
Sta forse dicendo che le ordinanze sulla sicurezza hanno distolto le forze
dell'ordine dalla vera emergenza?
"Dico solo che queste politiche concentrano Carabinieri, Polizia e guardia
di Finanza intorno alle risse".
E il resto, le bande, il crimine che acquista bar storici per riciclare cosa
fanno?
"Sono gli stessi mafiosi che spingono sull'allarme sicurezza sociale, perché
questo li mette al riparo dal clamore. E non si può minimizzare come è stato
fatto in questi anni da parte di tutta la classe dirigente politica, l'errore è
stato di non comprendere che si sono chiusi gli occhi".
Dunque, errore politico?
"Sì perché per correr dietro a finte emergenze sociali si è perso di vista
ciò che succedeva nel tessuto economico: l'economia romana è sotto aggressione
da parte della criminalità, basti pensare alla droga, all'usura, all'attacco
alle proprietà per riciclare i fiumi di denaro illegale e al gioco d'azzardo. Il
sequestro di ville, barche e bar storici è solo l'inizio di un lungo percorso e
se si continuerà a scavare si troveranno molte altre proprietà".
Che può fare la politica di fronte a questo fenomeno?
"Intanto piantarla con la pia illusione che basta spostare due prostitute e
vietare l'alcool alla sera per costruire una città sicura. Occorre chiamare i
commercianti e le imprese intorno ad un tavolo, lavorare sull'usura e
controllare municipio per municipio come avvengono i passaggi di proprietà di
immobili e locali e capire se questi fenomeni sono normali compravendite oppure
azioni di riciclaggio".
Così descritta Roma sembra una succursale della Calabria ndranghetista. Non è
esagerato?
"No, perché Roma non è ancora come Milano e la Lombardia dove esiste un
rapporto politica criminalità. Da noi episodi che coinvolgono consiglieri
regionali e sindaci sono ancora periferici come a Fondi e in Ciociaria. Ma se
nel giro di 2 anni avvengono significativi passaggi di proprietà nel cuore più
ricco della città e in un momento di crisi, vuol dire che qualcosa sta
succedendo. Ecco, Roma e il suo tessuto economico sono sotto attacco".
Di Fabrizio (del 11/07/2011 @ 09:38:05, in Regole, visitato 1172 volte)
Da
Roma_Francais (i link sono in francese)
Montpellier journal Le Vendredi 24 juin 2011 à 11:11
Un giovane Rom rumeno di 19 anni di fronte ai disfunzionamenti della
giustizia
Accusato di aver colpito la gamba un poliziotto con una pala, Jiji è in
detenzione provvisoria dal 25 maggio, anche se non ha smesso di proclamarsi
innocente. Si accumulano le anomalie poliziarie e giudiziarie dopo la
movimentata evacuazione di un terreno della SERM il 29 marzo a Montpellier
L'inchiesta del Montpellier journal è stata difficile.
"Sull'identificazione dell'autore del colpo, le versioni delle differenti fonti
di polizia divergono", scrivevamo il 19 aprile dopo la ferita alla testa di
un poliziotto il 29 marzo, durante il
movimentato sgombero di un campo di Rom rumeni installato su un terreno
della SERM a Garosud. Un altro dei quattro poliziotti sarebbe stato leggermente
ferito da un colpo di pala alla gamba, che non comporterebbe alcuna
incapacità totale al lavoro.
Incensurato
Verso la metà di maggio, Jiji, uno dei presunti autori delle violenze, viene
interrogato dalla polizia. Deve sostenere una comparizione immediata il 16
maggio per "violenza aggravata", ma l'udienza viene rinviata al 20
giugno. In questo intervallo, viene posto in detenzione provvisoria. Lunedì,
quando si è presentato al tribunale correzionale, questo giovane di 19 anni,
senza precedenti penali, era dunque alla sesta settimana di detenzione. Rischia
sette anni di prigione.
Dalla sintesi del presidente del tribunale, sembra che Jiji non sia accusato dai
poliziotti di aver portato il colpo alla testa, ma solamente quello alla gamba.
Inoltre, solo la presunta vittima accusa Jiji. Gli altri tre dichiarano
semplicemente che Jiji era presente e che aveva una pala. Due di loro aggiungono
che era "minaccioso". Jiji, da parte sua, aveva dichiarato durante la
prima audizione che era presente e di avere una pala. Oggi, dice che non era
presente in quanto viveva in un altro campo che non c'entrava niente con quello
sgomberato quel giorno. Ha sempre negato di aver colpito il poliziotto.
"Il dettaglio risolutivo"
Inoltre, secondo lil signor Benyoucef, avvocato di Jiji, la presunta vittima del
colpo di pala ha dichiarato durante la sua prima audizione: "Posso dirvi che
chi mi ha aggredito - chi mi ha aggredito - parla un buon francese."
Qualche settimana dopo, Jiji si fa interrogare e, sottolinea l'avvocato, "è
necessario rinviare la notifica dei suoi diritti, perché incapace di comprendere
e parlare il francese." E conclude: "E' il dettaglio
risolutivo".
Cioè: Jiji non può essere l'aggressore.
A chi credere? Al poliziotto o a Jiji? Dovremmo attribuire importanza alle
dichiarazioni di diverse persone presenti che hanno dichiarato ai membri del
Collettivo di sostegno ai Rom di Montpellier, cheper alcuni i poliziotti erano
"molto aggressivi" e "ben bevuti"? O a quelle di chi [...]
ha dichiarato che quella sera i poliziotti avevano "un comportamento
bizzarro"? (audizione riportata da Benyoucef)
Risultati dell'analisi del DNA non pervenuto al tribunale
Meraviglia inoltre la capacità dei poliziotti ad identificare Jiji tra diverse
centinaia di foto. In effetti, erano le 21.00 al momento dei fatti, dunque era
notte, erano presenti una ventina di persone e visibilmente regnava una certa
confusione. Il rapporto delle analisi sulle impronte ed il DNA sulla pala e
sulla rotula (si sospetta che la pala sia stata usata anche per il colpo alla
testa) potrebbe fornire indicazioni. Problema: lunedì il rapporto del
laboratorio Biomnis non era ancora giunto in tribunale. Da parte di Biomnis,
incaricata ad inizio aprile si disse al Montpellier journal che "il
caso non era stato segnalato come urgente" dagli inquirenti, ma che il
rapporto era pronto e doveva essere inviato al più tardi la prossima settimana.
Altro problema: Jiji è accusato di concorso in violenza o è il solo sospettato
ad essere stato arrestato.
Il procuratore ha dovuto riconoscere che il caso era stato condotto male e ha
tentato di giustificarlo con un cattivo passaggio di consegne tra il personale
di turno nel fine settimana e chi ha ripreso il dossier. Da parte sua Benyoucef
ha commentato: "Si è commesso un errore per la fretta. Si rinvii il dossier
all'istruttoria, ma occorre smettere di giocare con la libertà delle persone,
anche quando sono Rom." Il tribunale l'ha seguita nella prima parte e la
procedura è ripartita da zero: messa sottoaccusa di Jiji da parte di u
procuratore e presentazione davanti ad un giudice. Problema: se il rapporto del
laboratorio dovrà pur arrivare alla fine, l'arresto dei tre altri sospetti
potrebbe richiedere tempo. Durante il quale Jiji dovrà rimanere in carcere.
"E' fantastico, non importa cosa!"
Dopo l'udienza, spiega Benyoucef: "Avrebbe dovuto esserci un'apertura
d'informazione immediata. Quando si presenta in questo modo un presunto
colpevole, dev'essere pronto un dossier. A prescindere! Siamo talmente sommersi
di lavoro a livello d'accusa, siamo talmente soggetti a circolari che dicono:
"Bisogna perseguire, bisogna giudicare, bisogna condannare," che non ci si fa
più attenzione. C'è una volontà repressiva che inquina il dibattito. Siamo ad un
anno da una scadenza elettorale, siamo nella religione dei numeri: ci vorranno
7-8 mesi per fornire i dati dello spettro politico. Bisogna essere stakanovisti
dell'arresto,del giudizio breve, della condanna e dell'esecuzione della pena."
Occorre lo stesso ricordare che le accuse si basano sulle dichiarazioni di
quattro poliziotti, di cui uno solo, la vittima, afferma di essere stato colpito
da Jiji. Che quindi l'inchiesta viene condotta da poliziotti colleghi dei
quattro in questione. Commenta Benyoucef a tal proposito: "L'inchiesta
avrebbe dovuto essere assegnata alla gendarmeria." Infine va ricordato che
non è stato effettuato alcun alcoltest sui poliziotti. Quindi non possiamo
sapere se le accuse mosse da alcuni testimoni della scena siano accurate o meno.
Lamenti della madre di Jiji
Il caso è proseguito mercoledì, dato che il giudice doveva stabilire se
mantenere Jiji in detenzione o meno. Malgrado un certificato d'alloggio e la
proposta di firma quotidiana al commissariato, il giudice Philippe Treille ha
deciso di non liberare Jiji per due ragioni: "evitare una collusione tra
l'indagato ed i suoi (presunti) co-autori o complici" e "garantire
il mantenimento delle persone coinvolte alla giustizia". L'assoggettamento a
sorveglianza giudiziaria o agli arresti domiciliari non permetterebbe, secondo
il giudice, di raggiungere questi obiettivi. Diversi minuti dopo l'annuncio
della decisione, il pianto della madre di Jiji e la parole di rabbia di suo
padre, presenti in aula durante tutto il lunedì pomeriggio, risuonavano ancora
nel palazzo di giustizia.
Durante l'udienza, aveva dichiarato Benyoucef: "Non si può prendere in giro
la situazione. Sapete che è Rumeno. Abbiamo messo in carcere un Rumeno, come
volete che sia problematico? La libertà degli altri non è mai problematica. La
presunzione d'innocenza degli altri non è mai problematica. [...] Niente vale
fino al giorno che qualcosa vale la pena. Ma quel giorno, non ci sarà più
nessuno a rispondere, perché il sistema è fatto così. E' il tesoro pubblico che
emette un assegno il giorno che si rende conto di non potere affrontare il
problema."
"Il prefetto ha dato istruzioni improprie"
Infine, Benyoucef ricorda al Montpellier journal come, secondo lui, si è
arrivati a quel punto: "Il prefetto [Claude Baland] ha dato istruzioni
improprie ai servizi di polizia, perché tutta la giornata [29 marzo] ha
attaccato verbalmente queste persone. Se si è venuto a creare un tale stato dei
tensione, credo che sia dovuto a quello che ha subito quella gente durante il
giorno." (per ulteriori dettagli, leggere:
L'expulsion de Roms roumains d'un terrain
de la Serm se termine mal)
Coincidenza, giovedì mattina apprendiamo che
Georges Tron
era stato incriminato per "stupro e violenza sessuale in un incontro".Crimini
passibili con 20 anni di recluzione. L'ex segretario di stato nega le accuse
contro di lui. E' stato lasciato in libertà sotto controllo giudiziario. Gli è
proibito entrare in contatto con le presunte vittime e i testimoni. Una delle
due ricorrenti a dichiarato a
RTL: "Si fosse trattato del macellaio della porta accanto, sarebbe in
prigione. Oggi, lui è libero. Ci sono pressioni e minacce. Bisogna viverle. Ci
si aspetta che la giustizia sia battuta per aspettare a mettere queste persone
in prigione?"
Di Fabrizio (del 30/07/2011 @ 09:11:25, in Regole, visitato 2090 volte)
Reggionline.com giovedì 28 luglio 2011 - Il primo intervento alle prime
luci dell'alba a Roncocesi, seguito da molti altri blitz. Si indaga su una serie
di furti
REGGIO - Intervento dei carabinieri di Parma, questa mattina, nel campo nomadi
di via Ancini, a Roncocesi. La retata - iniziata alle prime luci dell'alba - si
è protratta per molte ore, per concludersi poco dopo le 11.
Sul posto sono arrivate almeno 3 volanti e una camionetta: i carabinieri non
hanno voluto rivelare ulteriori particolari sul tipo di intervento effettuato.
Le famiglie sono state svegliate presto, le roulotte setacciate: le forze
dell'ordine avrebbero requisito materiale, ma al momento non è dato sapere se si
tratti di armi o altro.
Guarda la
fotogallery
In un primo momento, era sembrato che i militari stessero cercando armi
all'interno del campo di via Ancini - dove vive anche il pastore della locale
comunità evangelica - ma col passare delle ore si è venuto a sapere che quello
di Roncocesi è stato solo uno dei nove interventi compiuti dai militari in
altrettanti campi nomadi tra Reggio e provincia: i carabinieri sono intervenuti
anche in due accampamenti di Modena e in uno della provincia di Milano, a Senago.
Nell'operazione, denominata "Raiders", si stanno cercando i responsabili dei
numerosi furti avvenuti tra il marzo del 2009 e il febbraio del 2011 in ville
isolate, condomini e casali di campagna nei Comuni di Parma, Neviano Degli
Arduini, Langhirano, Lesignano de' Bagni e Traversetolo.
Le indagini sui colpi, partite dai carabinieri di Neviano, nel parmense, hanno
cercato di far luce su una sequela impressionante di ruberie, avvenute tutte con
la stessa modalità: i ladri entravano nelle case per poi tagliare e vuotare le
casseforti.
Nessuno, tra le decine di persone controllate, è stato arrestato. Sono però
stati sequestrati diversi oggetti in oro, gioielli e orologi ritenuti rubati,
oltre ad alcune ricevute emesse da negozi che acquistano oro e che ora sono al
vaglio degli investigatori.
Tra gli oggetti sequestrati anche numerosi attrezzi, come flessibili, trapani
elettrici e armi da scasso; i carabinieri hanno portato via anche alcune pistole
scacciacani.
Le perquisizioni di oggi sono state eseguite con l'impiego complessivo di 140
carabinieri e l'ausilio di unità cinofile e di un elicottero: iniziate alle
prime luci dell'alba, le operazioni terminate in tarda serata.
La protesta dei nomadi
Il giorno dopo il blitz dei carabinieri, i nomadi contestano alle forze
dell'ordine i modi del loro intervento. Lo ha riportato "La Gazzetta di Reggio".
A parlare, per loro, è Vladimiro Torre, sinto e presidente dell'associazione
Them Romanò: "Non si può fare di tutta l'erba un fascio. Non siamo ladri: siamo
contro la droga e contro la delinquenza - ha detto Torre - Penso che sia giusto
che chi sbaglia paghi, ma non è corretto spaventare i nostri bambini e le donne
arrivando alle 5 del mattino e buttando tutti fuori dalle nostre roulotte".
Torre, in contatto con diverse realtà del Comune di Reggio, racconta della
voglia di integrazione della comunità: "Io penso che sia giusto fare controlli,
giusto fermare chi non si comporta bene, ma non è possibile che si arrivi
all'alba in un luogo dove vivono tanti bambini e tante donne - continua - Ci
hanno sequestrato le cassette degli attrezzi, i trapani che usiamo per la
manutenzione delle roulotte e penso che questo non sia corretto. Noi vogliamo
integrarci. L'ho detto tante volte al sindaco Graziano Delrio e all'assessore
Matteo Sassi che non vogliamo più essere discriminati, accusati di essere quello
che non siamo. Eppure nonostante tanti sforzi, non cambia niente".
Un mediatore culturale, secondo Torre, potrebbe aiutare il processo di
integrazione: "Ho proposto più volte di nominarne uno - conclude - ma non sono
mai stato ascoltato".
Daniele Paletta
Di Fabrizio (del 01/08/2011 @ 09:27:56, in Regole, visitato 1509 volte)
DOMU DËKK BI corso Buenos Aires, 45, 20124 Milano, Italy
Lun: 10.00 - 13.00
Mar: 15.00 - 18.00
NEGLI ALTRI GIORNI E' POSSIBILE FISSARE UN APPUNTAMENTO.
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diritti, della cittadinanza, della convivenza CON LO SCOPO DI PROMUOVERE UN
APPROCCIO CONSAPEVOLE SULLA LEGGE PER CIASCUNO.
Cari amici,
siamo un gruppo di professionisti, esperti di pratiche e leggi
dell'immigrazione, che desiderano mettere le loro conoscenze a disposizione di
chi ne ha bisogno.
Abbiamo alle spalle circa dodici anni di esperienza sul campo, di politica e di
lotte a fianco degli immigrati, a Milano e a livello nazionale.
Il progetto si chiama DOMU DËKK BI, che in wolof significa cittadino per
diritto, per affetto, per convivenza e condivisione con i cittadini, e questo è
quello in cui crediamo.
Ci occupiamo delle pratiche dei visti e del permessi di soggiorno, della
compilazione del KIT POSTE per il rinnovo, di orientare le persone perché non
perdano tempo tra un ufficio e l'altro, di ricongiungimenti famigliari, di asilo
politico, di orientamento al lavoro e ai servizi sociali, siamo accreditati in
Questura e in Prefettura e al Consolato Senegalese e a quello dello Sri Lanka a
Milano, e presto anche presso gli altri consolati.
Ci occupiamo anche di orientare chi desidera costituire un'associazione per
sostenere i progetti nel proprio paese.
Offriamo corsi di formazione sulla legge e sulle pratiche burocratiche
dell'immigrazione.
In questa pagina cercheremo di raccogliere tutte le informazioni utili,
reperibili on-line, ma riteniamo che il colloquio vis-à-vis sia il modo
migliore per lavorare insieme alle persone che ci portano i loro probemi e ci
chiedono di risolverli, perché ogni persona ha una sua specificità da tutelare.
Benvenuti nella nostra pagina
su Facebook!
CRISTINA SEBASTIANI
Trasporti pubblici
MM1 fermata LIMA
E-mail progettodomu@gmail.com
Telefono
+39.0240047261
Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:10:28, in Regole, visitato 1358 volte)
Va dato atto a Reggionline di essere l'unica testata che ha
seguito passo passo l'indagine, dando anche più volte
voce ai Rom e ai Sinti
Reggionline.com martedì 2 agosto 2011 - La coordinatrice Carla Ruffini:
"Senza indagati precisi, quelle operazioni hanno infranto la legge italiana"
REGGIO - La
retata dei carabinieri di Reggio e Parma dello scorso 28 luglio in 9 campi
rom di Reggio e provincia ha fatto alzare più di un sopracciglio nel mondo della
politica locale, soprattutto negli ambienti di centro sinistra.
Un commento su quanto accaduto, anche se con qualche giorno di ritardo, è
giunto dalla Sel reggiana: "A ferita ancora aperta - fa sapere la coordinatrice
Carla Ruffini - vogliamo esprimere il nostro deciso disappunto per il
blitz effettuato. Sinistra Ecologia Libertà ritiene che la magistratura
competente e i carabinieri di Parma che hanno condotto l'operazione (insieme a
quelli reggiani, ndr) debbano fornire delle spiegazioni. Non può passare sotto
silenzio l'ingresso forzato in tutte le abitazioni dei nomadi residenti nei
campi a loro destinati. Quando le operazioni di polizia giudiziaria non portano
a indagare persone precise, ma si estendono all'intera popolazione di un
quartiere (come deve essere considerato un campo nomadi), si infrange la legge
sulla inviolabilità del domicilio e della libertà personale di soggetti non
indagati. I nomadi non sono sottouomini e chi lo pensa è un razzista bandito
dalla costituzione italiana. A questo proposito è opportuno che siano resi
pubblici i mandati di perquisizione firmati dal magistrato competente".
Secondo la Sel reggiana, un elemento inviolabile di civiltà è rappresentato
dalla legalità. "Ancor più se costituzionale - aggiunge la Ruffini - Siamo per
la repressione di chi delinque, siamo contro chi ruba nelle abitazioni e attenta
alla libertà degli altri cittadini. Condanna chi spaccia le droghe, senza se e
senza ma, perché alimenta la grande criminalità organizzata. Ciononostante,
pensiamo anche che l'opinione pubblica debba avere delle spiegazioni dalla
magistratura competente e dai carabinieri su quanto accaduto. Non basta
presentare arnesi da scasso o gioielli posseduti da qualcuno per giustificare
una operazione condotta contro una intera popolazione. La cultura muscolare che
appartiene ad una parte delle forze dell'ordine non si può conciliare con la
vita democratica e il rispetto che si deve a tutti i cittadini della nostra
nazione".
Di Fabrizio (del 12/08/2011 @ 09:17:17, in Regole, visitato 1703 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
RomaBuzzMonitor
COMUNICATO STAMPA 1 agosto 2011
Le Nazioni Unite, tramite Patricia O’Brien, sottosegretaria agli affari legali,
hanno respinto un reclamo di 155 Rom IDP (Persone Internamente Disperse, ndr)
in Kosovo, dove furono rilocate su un terreno contaminato dal piombo, dalle
agenzie ONU, UNMIK compresa, in base all'errato ragionamento che il reclamo è
piuttosto un attacco all'amministrazione UNMIK del Kosovo, e non una pretesa di
diritto privato. Per cinque anni e cinque mesi sino al 25 luglio2011, l'ufficio
affari legali dell'ONU non ha intrapreso nessuna azione.
La comunità Rom compilò il reclamo il 6 febbraio 2006, in base alla
risoluzione dell'assemblea 52-247, che diceva chiaramente:
9. Decide anche, nel rispetto dei reclami di terze parti contro
l'Organizzazione per lesioni personali, malattia o morte da operazioni di peacekeeping,
che:
(a) Tipologie risarcibili di danni o perdite saranno limitate alla
perdita economica, come spese mediche o riabilitative, mancati guadagni,
perdita di sostegno finanziario, spese di trasporto associate al danno,
malattia o assistenza medica, spese legali o di sepoltura...
Il reclamo presentato dai Rom riguardava chiaramente lesioni personali,
malattia e morte, causate dall'avvelenamento da piombo a cui i bambini e le
famiglie furono soggetti causa la sistemazione su terreno contaminato. La
richiesta era di affermare le responsabilità UNMIK in quanto in quel periodo era
gestore dell'amministrazione ad interim del Kosovo. Mentre l'UNMIK ha fatto, a
detta di diverse agenzie ed autori, sicuramente agito male come amministrazione
ad interim, la risposta richiesta in base alla risoluzione 52-247 era
chiaramente riferita ai danni e perdite subite dai Rom, quindi una pretesa di
diritto privato come previsto dalla risoluzione stessa.
L'ONU ha giustificato il proprio comportamento affermando che l'intera area
di Mitrovica è contaminata dal piombo, e difatti è così. Tuttavia, i Rom hanno
dimostrato come fossero stati costretti ad abbandonare un sito a bassa
contaminazione, per essere rilocati in un altro ad alta contaminazione,
dopodiché i livelli di piombo nel loro sangue erano diventati molto più alti di
quelli della popolazione circostante, inoltre l'OMS aveva richiesto
ripetutamente l'immediata evacuazione a causa dei gravi rischi per la salute. L'UNMIK
non ha mai intrapreso nessuna azione. Ora, in base a false argomentazioni,
declinano ogni responsabilità.
E' un giorno vergognoso quando la principale organizzazione dei diritti umani
nega persino l'apparenza della giustizia ad una delle minoranze più abusate del
mondo.
Per ulteriori informazioni, contattare:
Dianne Post, Attorney -
postdlpost@aol.com
602-271-9019 (USA)
Per scaricare la risposta ONU (testo in inglese e formato .pdf)
QUI
Di Fabrizio (del 25/08/2011 @ 09:55:32, in Regole, visitato 1662 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
La Macedonia non ha alcuna base giuridica per vietare ai Rom di viaggiare
9 agosto 2011, by Karin Waringo - Quasi 800 persone, soprattutto Rom, sono
state rimandate a casa dalle autorità di frontiera macedoni
Sembra un brutto scherzo. Cinque componenti di una famiglia macedone sono in
viaggio dalla loro città natale verso Belgrado, per partecipare al matrimonio di
un parente stretto. La macchina è carica di abiti tradizionali da sposa e
regali per la giovane coppia. Eppure, all'attraversamento del confine a Tabanovce,
una guardia di frontiera macedone ritira i loro passaporti, dicendo che sono
diretti a Surcin, l'aeroporto di Belgrado, per imbarcarsi su di un aereo diretto
verso l'Unione Europea.
La guardia li accusa di essere falsi richiedenti d'asilo, di quelli che
stanno mettendo la Macedonia nei guai con la UE. La famiglia nega. Dopo tutto,
hanno lasciato dietro a loro due bambini a scuola, così certo che torneranno in
Macedonia dopo il matrimonio. Ma le loro proteste non hanno sortito risultato,
se non i francobolli apposti dalla guardia di frontiera sui loro passaporti, ad
indicare il divieto a viaggiare. La famiglia è stata rispedita a casa.
Casi come questo - che è stato riportato dal network di OnG ARKA - sono
diventati frequenti da quando ai cittadini macedoni sono stati concessi visti
per viaggi di breve durata verso la UE. Un mese fa, la rivista internet
Balkan Insight ha citato il portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski,
che affermava che 80 persone erano state respinte alla frontiera.
Gordana Jankulovska, ministro dell'interno, è stata persino più specifica. In
un incontro al Forum di Salisburgo, dove si riuniscono i ministri di otto paesi
dell'Europa centrale ed orientale, ha annunciato che a 764 persone è stato
impedito di lasciare la Macedonia tra il 29 aprile ed il 27 giugno. Ha affermato
che lo scopo di questa "energica misura" era di prevenire l'abuso del regime
senza visti - nel 2010, 7.550 macedoni fecero richiesta di asilo nella UE.
Il problema è che le autorità macedoni non hanno alcun fondamento legale per
emettere un divieto a viaggiare. Rispondendo ad una nostra richiesta, ci è stato
detto che la misura si basa sull'art. 15 della legge sulla sorveglianza di
frontiera, che prende a prestito elementi del cosiddetto codice delle frontiere
di Schengen. Ma mentre il secondo definisci i criteri secondo cui ai cittadini
di paesi terzi può essere rifiutato l'ingresso nell'area Schengen, la Macedonia
ha effettivamente iniziato ad impedire ai suoi cittadini di lasciare il proprio
paese, cioè tutt'altra cosa.
Ciò che è ancora più preoccupante in queste misure è il fatto che, come nel
caso sopra riportato, sembrano riguardare principalmente i Rom. I Rom macedoni
sono spesso di pelle scura, per le guardie di frontiera è facile identificarli
ed isolarli. Al tempo della nostra indagine, uno dei pochi incaricati consolari
che aveva accettato di rispondere alle nostre domande senza far finta di non
sapere, ci raccontò di un caso, un esempio di manifesto abuso nel regime della
liberalizzazione dei visti per la UE - che diversi Rom viaggiassero in bus alla
volta di un matrimonio, ma si suppone che furono in grado di informare la
guardia di frontiera sull'esatta destinazione. Pudicamente riferì anche in
qualche modo di "problemi che abbiamo in alcune zone del paese" e sul fatto che
la Macedonia non fosse capace di fare di più per combattere la povertà.
Di conseguenza, per i Rom poter viaggiare è diventato una specie di lotteria.
Molti di quanti vengono fermati al confine, ci riproveranno. E' per questo che
le autorità macedoni hanno iniziato a bollare i loro passaporti. Ma non ci sono
basi giuridiche per questo divieto, che in realtà viola le leggi internazionali
sui diritti umani. E' per questo che la mia organizzazione, assieme ad altre, ha
scritto al governo macedone per esortarlo ad abbandonare questa pratica.
Governo che da parte sua non ha ancora sviluppato completamente la propria
strategia.
Il mese scorso Antonio Milošoski, ex ministro della giustizia, ha presentato
una proposta di riforma del codice penale, che renderebbe l'abuso del regime di
esenzione dei visti un reato penale. Mentre l'attuale proposta è rivolta alle
imprese di viaggio, che possono essere sanzionate anche in assenza di prove sul
loro coinvolgimento in presunti abusi, un'altra proposta intende sanzionare
quanti hanno fatto domanda d'asilo "sulla base di false ragioni", secondo quanto
riportato dall'agenzia di stampa macedone INA che cita fonti vicino al governo.
Queste sanzioni potrebbero includere la confisca temporanea dei passaporti.
Come ha spiegato l'ex ministro della giustizia in un incontro con Cecilia Malmström,
commissario UE agli affari interni, il governo macedone "si aspetta che queste
misure possano sradicare questi fenomeni non voluti e spiacevoli". Questo è,
alla fine, l'elemento più preoccupante dell'intera storia: il fatto che queste
violazioni dei diritti umani fondamentali accadano sotto gli auspici e
probabilmente il coinvolgimento della UE. Che a sua volta ha già inviato propri
rappresentanti nella regione.
Martellano nella testa dei governi: "Le migrazioni di Rom potrebbero
condizionare il processo di allargamento", come citato dai media serbi a
proposito di Pierre Mirel, direttore della commissione per i Balcani
Occidentali. O, nel caso di due settimane fa, di Robert Liddell, capo della
sezione politica della delegazione UE a Skopje: "Se nel clima attuale le
prossime adesioni saranno associate alle questioni migratorie,
allora aumenteremo il rischio di rifiuto."
Consapevole delle implicazioni, il governo macedone, al pari di quello
serbo, sta già negoziando con la commissione sulle misure da prendere senza
interferire con gli standard sui diritti umani. Sarebbe bene se questi negoziati
fossero aperti e se fossero condotti per una reale salvaguardia e non per
protezioni fasulle.
Dr Karin Waringo è presidente di Chachipe, un gruppo di pressione e
consulenza per il rispetto dei diritti dei Rom
NDR - Ho chiesto un parere a Francesco,
nostro redattore: ha sposato una ragazza macedone e conosce da tempo i
meandri kafkiani della burocrazia e della politica macedone. Questo il suo
parere:
"Questa storia la conosco dai media macedoni, fondamentalmente dipende dal
fatto che alcuni stati europei hanno minacciato alla Macedonia il ritiro del
regime no visa, perché molti rom ne hanno approfittato per espatriare. Ecco
perché adesso la Macedonia blocca l'espatrio in assenza di requisiti molto
rigidi per la popolazione rom. La mia opinione è che è un ricatto folle, si
parla di poche migliaia di persone (considerate che in tutto i macedoni saranno
circa due milioni) che vengono usate come strumento di pressione per politiche
razziste."
Di Fabrizio (del 16/09/2011 @ 14:46:40, in Regole, visitato 1724 volte)
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