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\\ Mahalla : VAI : Regole (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 17/06/2011 @ 09:43:59, in Regole, visitato 1587 volte)

Di Carlo Berini tratto dalla newsletter n. 19 di Articolo 3

Secondo l'UNHCR, le domande di asilo presentate in Italia nel 2008 sono state 30.324, e i principali paesi di origine dei richiedenti asilo sono stati, nell'ordine, la Nigeria con 5.333 domande, la Somalia con 4.473 domande, l'Eritrea con 2.739 domande, l'Afghanistan con 2.500 domande e la Costa d'Avorio con 1.844 domande.
Il numero complessivo dei rifugiati riconosciuti residenti in Italia è indicato dall'UNHCR come pari, a giugno 2009, a circa 47.000 persone.
A titolo di confronto, può evidenziarsi che i rifugiati accolti in Germania sono circa 580.000, quelli accolti nel Regno Unito 290.000, mentre quelli ospitati nei Paesi Bassi ed in Francia sono, rispettivamente, 80.000 e 16.000
(it.wikipedia.org/wiki/Diritto_di_asilo)

A fronte dei numeri dobbiamo certo interrogarci su quanto la nostra legislazione riesca a recepire in maniera adeguata le richieste d'asilo, ma anche le richieste per lo status di rifugiato. In questo breve intervento, però, vorrei limitarmi a sollevare una questione poco affrontata in Italia, ovvero il diritto d'asilo per quei Cittadini di Paesi terzi che appartengono alla minoranza linguistica rom.

In Italia sono presenti dal '400 sinti e rom italiani, a cui per altro lo Stato italiano non ha ancora riconosciuto lo status di appartenenti ad una minoranza storica linguistica (articolo 6 della Costituzione e legge 482/99), ma sono anche presenti rom immigrati dalla ex Yugoslavia e rom immigrati dalla Romania. Sui numeri delle presenze effettive c'è molta confusione, ma incrociando le stime dell'Istituto di Cultura Sinta e i dati del Ministero dell'Interno, la presenza di queste minoranze è molto esigua. Unendo i dati riferiti sia ai sinti e rom italiani che ai rom immigrati non superiamo le centomila persone.

L'immigrazione più consistente di rom in Italia si è vista negli anni Novanta ed è essenzialmente dovuta a due fattori: la dissoluzione della ex Yugoslavia e la caduta del comunismo in Romania.

La dissoluzione della ex Yugoslavia (compresa la guerra in Kosovo nei due momenti, 1996 e 1999) è presente in tutti noi per gli orrori che ha provocato e per il diretto coinvolgimento dell'Italia nel secondo periodo. In quegli anni i rom vengono risucchiati nella voragine della guerra e della violenza ma, non avendo né ambizioni nazionalistiche né rivendicazioni territoriali, sono schiacciati tra le diverse fazioni in guerra. Il risultato evidente, anche per chi è stato poco attento a quanto è avvenuto, è che oggi non esiste uno Stato nazionale rom.

Per queste ragioni le famiglie rom che sono scappate, principalmente dai territori della Bosnia-Erzegovina e dai territori del Kosovo, lo hanno fatto perché le loro case sono state distrutte o occupate da famiglie appartenenti ad altre minoranze, perché erano perseguitate, perché rischiavano di essere sterminate.

Mentre altri Paesi europei si sono attivati per un pronto sistema di accoglienza, con il riconoscimento del diritto d'asilo, in Italia ciò non è successo: ad un primo rilascio dei permessi di soggiorno umanitari non è seguita nessuna altra azione, tant'è che oggi ci sono intere famiglie che non hanno nessun documento. Inoltre, al contrario di quanto fatto per gli altri profughi, queste famiglie sono state costrette a vivere nei cosiddetti 'campi nomadi' (sia regolari che irregolari, come ad esempio il Casilino 900 di Roma chiuso un anno fa), un'invenzione legislativa tutta italiana che non ha eguali in Europa (per la Lombardia si veda la legge 77/89).

I pochi rom profughi dalla ex Yugoslavia che hanno ottenuto il diritto d'asilo lo hanno ottenuto dopo aver intrapreso un percorso giudiziario come è successo a R. A., nata a Sarajevo, che nel 2005 ottiene dal tribunale di Roma il riconoscimento del diritto d'asilo.1

Per quanto riguarda in particolare i rom profughi dal Kosovo, il Ministero dell'Interno nel 1999/2000 stimava l'arrivo di circa 5.000 persone: la maggior parte ha ricevuto la protezione umanitaria temporanea, pochissimi hanno avuto il riconoscimento del diritto d'asilo e quasi nessuno lo status di rifugiato, secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra.

Nel tempo molte famiglie provenienti dalla ex Yugoslavia, soprattutto in Toscana e in Piemonte, sono riuscite ad ottenere permessi di soggiorno permanenti, ma in alcune Regioni, come la Lombardia e il Lazio, la situazione è ancora irrisolta con conseguenze prevedibili. E' però da segnalare l'iniziativa del Comune di Roma, che negli ultimi mesi ha iniziato, a partire dagli ex abitanti di Casilino 900, un processo di regolarizzazione per molte famiglie. Diversa è la situazione a Milano, dove la passata Amministrazione comunale aveva di fatto dichiarato guerra ai rom. L'allora Vice Sindaco di Milano, Riccardo De Corato, aveva dichiarato: "Queste sono persone di pelle scura, non europee come voi e me", ha poi aggiunto: "Il nostro obiettivo finale è quello di avere zero campi nomadi a Milano".2

La situazione milanese vede per altro coinvolti soprattutto i rom immigrati dalla Romania. Le migrazioni più consistenti si hanno nel periodo compreso tra il 1990 e il 1997 e nel 2002. Le due immigrazioni hanno avuto motivazioni diverse. La prima per sfuggire ai pogrom, la seconda per motivi economici, facilitata dalla possibilità di entrare in Italia senza il bisogno del visto. Nel 2007 con l'entrata della Romania nell'Unione europea gli arrivi in Italia sono insignificanti.

Le esplosioni di violenza razzista nei confronti delle comunità rom sono ampiamente documentate da diversi organismi internazionali; esemplare in questo senso, e ormai tristemente famosa, è la sommossa di Hadareni, avvenuta nel 1993, durante la quale tre rom furono torturati e uccisi, 19 case bruciate e 5 distrutte.3 Eppure, se prendiamo il periodo compreso tra il 1990 e il 2002, non troviamo nessuna persona appartenente alla minoranza rom, di fatto profuga dalla Romania, che abbia ricevuto una qualsiasi protezione da parte dell'Italia.

La situazione che ho illustrato è stata fotografata alcune settimane fa anche dal Rapporto della Commissione per i diritti umani del Senato.4

Questa breve riflessione vuole porre un problema che è ben presente sul nostro Paese, ma che quasi nessuno sta affrontando, con conseguenze drammatiche per famiglie intere che dopo essere sfuggite dai loro Paesi si ritrovano nel nostro, l'Italia, che ancora oggi non applica le convenzione internazionali che ha sottoscritto. 

1 http://www.giuristidemocratici.it/post/20050429052522/post_html
2 http://www.giornalettismo.com/archives/87829/giro-vite-rom-italia-riflette/
3 http://www.comune.torino.it/intercultura/s3.asp?p0=44&p1=APPROFONDIMENTI&p2=Documenti&p3=Minoranze
4 http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/RAPPORTO ROM .pdf

 
Di Fabrizio (del 25/06/2011 @ 09:56:16, in Regole, visitato 1770 volte)

L'Espresso di Fabrizio Gatti

I moduli dati a vigili e agenti per indicare il gruppo etnico delle persone identificate. Un censimento occulto. E vietato (20 giugno 2011)

Schedature dei cittadini in base al gruppo etnico. A Milano non se ne aveva notizia dalla caduta del fascismo. Basta invece sfogliare alcune schede personali, compilate dai vigili urbani durante l'era del sindaco Letizia Moratti, per scoprire che la pratica è stata adottata per anni. E probabilmente è ancora in corso. Il gruppo etnico di appartenenza è uno dei campi da riempire nel modulo di identificazione. Per gli italiani, viene scritta la formula generica: "Europeo mediterraneo". Soltanto per i rom, nomadi o stanziali che siano, italiani o stranieri, viene precisata l'appartenenza. Sulle schede appare appunto la scritta "rom". Fatta così è sicuramente una discriminazione: i rom non sono cittadini europei? Ovviamente sì. Allora perché rimarcare l'etnia di appartenenza soltanto per loro?

Ma c'è di più. Gli uffici della vigilanza urbana, ora promossa al rango di polizia locale, avrebbero sbagliato numerose schede. I funzionari milanesi, comprensibilmente confusi su geografia e antropologia, avrebbero schedato come rom numerosi cittadini romeni che rom non sono. Il risultato è prima di tutto statistico. Si tratta di solito delle schede sulle persone indagate o arrestate con l'accusa di avere commesso reati. Così la minoranza rom si ritrova ingiustamente accusata di crimini che non ha mai compiuto. Non solo a Milano, ma a livello nazionale. Le schede vengono infatti consegnate al gabinetto di Polizia scientifica della questura. E da lì, i dati sono inseriti nel casellario centrale d'identità, potente archivio del dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell'Interno. Nessuno è in grado di calcolare quante siano le persone coinvolte nell'errore.

La responsabilità della schedatura non è soltanto dei vigili urbani di Milano. Le voci che appaiono sul modulo prestampato sarebbero state decise dal ministero dell'Interno e sono identiche per tutte le questure d'Italia. Gli stessi moduli vengono distribuiti anche ai comandi della polizia locale che hanno allestito un laboratorio per il fotosegnalamento. E' l'operazione in cui alla persona da arrestare o semplicemente da identificare viene scattata la fotografia di fronte e di lato. E vengono prese le impronte digitali e i dati personali. La voce "gruppo etnico" compare almeno dal 2008. "I moduli distribuiti alle questure e alla polizia locale sono gli stessi", spiega un funzionario del ministero, "il campo "gruppo etnico" è compreso tra le caratteristiche antropologiche. Ma la sua compilazione non è obbligatoria, né consente la ricerca automatica nel databe del casellario. Non posso cioè digitare al terminale un gruppo etnico e avere l'elenco di tutti gli appartenenti. Gli uffici di fotosegnalamento della polizia di Stato lasciano di solito il campo libero: il gruppo etnico viene specificato soltanto se si è di fronte a una persona senza documenti, che non è in grado di dare notizie sulla propria identità o nazionalità. Ma non sappiamo quali disposizioni siano state date dai comandi di polizia locale".

Le polizie locali insomma decidono da sé. E' l'effetto della secessione della sicurezza, tanto cara all'attuale ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e alla Lega Nord. Ecco alcuni casi, tra quelli scoperti da "l'Espresso". Vasile C., 25 anni, e Ioan N., 49, vengono arrestati per ricettazione. E registrati nel casellario dalla polizia locale di Milano secondo i normali criteri: cognome, nome, padre, madre, sesso, data di nascita, stato civile, luogo di nascita, provincia, Stato di nascita, residenza, comune, provincia, cittadinanza, professione, motivo del segnalamento, impronte digitali, impronte palmari e fotografie del volto. Non basta questo alla precisione dell'identificazione? No, i vigili compilano anche il campo "gruppo etnico": rom.

"L'Espresso" ha rintracciato gli agenti che hanno fatto le indagini, ma non il fotosegnalamento: "Erano romeni, non rom", spiegano. Tre mesi dopo vengono arrestati i presunti capi della banda, cinque italiani. Uno è nato a Como, due a Gravedona e Valsolda in provincia di Como, due a Melito Porto Salvo, Reggio Calabria. E quale può essere il gruppo etnico dei cinque? Lombardo insubrico per i comaschi? Grecanico-ionico per gli altri due? I vigili scrivono semplicemente: "Europeo mediterraneo", una classificazione generica che comprende milioni di cittadini da Gibilterra a Istanbul.

 
Di Fabrizio (del 08/07/2011 @ 09:45:33, in Regole, visitato 1461 volte)

Affaritaliani.it Mercoledì 06.07.2011 10:16 - di Fabio Carosi

"A Roma è allarme rosso per la criminalità ma invece di affrontare il problema chiamando imprese e commercio intorno ad un tavolo, questa politica spreca risorse facendo la guerra a rom e puttane. E così fanno il gioco del crimine organizzato che spinge perché il problema sicurezza sia circoscritto a giovani e alcool".

Vincenzo Ciconte, docente di Storia delle criminalità organizzata a Roma Tre, ex consulente della Commissione Antimafia e primo tra gli scrittori ad occuparsi del fenomeno della Ndrangheta, sceglie Affaritaliani.it per analizzare la serie di avvertimenti, omicidi e sequestri di proprietà riconducibili al crimine organizzato, che hanno segnato le ultime settimane romane. Tanto da far gridare ieri al sindaco Alemanno che Roma è un Far West e a porre il problema sicurezza al ministro Roberto Maroni.
L'analisi di Ciconte è lucida e spietata. "Intanto omicidi e ferimenti non sono legati ad un unico filo – dice – perché il ritorno alla città delle pistole è un modo delle bande per accreditarsi sul territorio. Per mostrare la loro potenza usano metodi plateali e non rinunciano a sparare e uccidere in pieno giorno. Diversa invece è l'infiltrazione del crimine spa nel tessuto commerciale. Ndranghetisti e camorristi hanno bisogno di lavorare nel silenzio per riciclare e non vogliono che si scriva sui giornali, che si racconti cosa accade. L'elemento comune denominatore è che siamo in una città aperta alle scorribande".

Professore, eppure il problema sicurezza è stato al centro delle politiche degli ultimi anni. A leggere la sua analisi sembra di essere di fronte ad un fallimento. O No?
"Roma non è una città sicura e questo è palese. Solo che l'omicidio della signora Reggiani è stata indicata come colpa del centrosinistra, mente quello che è accaduto ieri in Prati non sembra avere colpevoli. Ma il vero nodo è politico".

Ma la sua analisi tecnica non è troppo ispirata alla politica?
"Esatto la mia è un'analisi politica dei fenomeni ma non partitica. Il sindaco ha vinto una campagna elettorale sulla sicurezza e dopo un po' ha fatto correre le forze dell'ordine per reprimere lavavetri, prostitute, rom e ragazzi che si drogano e bevono per manifestare il disagio sociale. Il risultato è che se si combattono così non si garantisce la sicurezza della città e i fatti lo dicono, smentendo questa politica. Perdonatemi, ma non penso si possa affrontare il tema della movida e di ciò che genera con gli arresti. Contro il disagio sociale ci vuole un'offerta diversa, un modo di vivere la città che non sia solo aggregazione di massa intorno ad un bicchiere".

Sta forse dicendo che le ordinanze sulla sicurezza hanno distolto le forze dell'ordine dalla vera emergenza?
"Dico solo che queste politiche concentrano Carabinieri, Polizia e guardia di Finanza intorno alle risse".

E il resto, le bande, il crimine che acquista bar storici per riciclare cosa fanno?
"Sono gli stessi mafiosi che spingono sull'allarme sicurezza sociale, perché questo li mette al riparo dal clamore. E non si può minimizzare come è stato fatto in questi anni da parte di tutta la classe dirigente politica, l'errore è stato di non comprendere che si sono chiusi gli occhi".

Dunque, errore politico?
"Sì perché per correr dietro a finte emergenze sociali si è perso di vista ciò che succedeva nel tessuto economico: l'economia romana è sotto aggressione da parte della criminalità, basti pensare alla droga, all'usura, all'attacco alle proprietà per riciclare i fiumi di denaro illegale e al gioco d'azzardo. Il sequestro di ville, barche e bar storici è solo l'inizio di un lungo percorso e se si continuerà a scavare si troveranno molte altre proprietà".

Che può fare la politica di fronte a questo fenomeno?
"Intanto piantarla con la pia illusione che basta spostare due prostitute e vietare l'alcool alla sera per costruire una città sicura. Occorre chiamare i commercianti e le imprese intorno ad un tavolo, lavorare sull'usura e controllare municipio per municipio come avvengono i passaggi di proprietà di immobili e locali e capire se questi fenomeni sono normali compravendite oppure azioni di riciclaggio".

Così descritta Roma sembra una succursale della Calabria ndranghetista. Non è esagerato?
"No, perché Roma non è ancora come Milano e la Lombardia dove esiste un rapporto politica criminalità. Da noi episodi che coinvolgono consiglieri regionali e sindaci sono ancora periferici come a Fondi e in Ciociaria. Ma se nel giro di 2 anni avvengono significativi passaggi di proprietà nel cuore più ricco della città e in un momento di crisi, vuol dire che qualcosa sta succedendo. Ecco, Roma e il suo tessuto economico sono sotto attacco".

 
Di Fabrizio (del 11/07/2011 @ 09:38:05, in Regole, visitato 1172 volte)

Da Roma_Francais (i link sono in francese)

Montpellier journal Le Vendredi 24 juin 2011 à 11:11

Un giovane Rom rumeno di 19 anni di fronte ai disfunzionamenti della giustizia

Accusato di aver colpito la gamba un poliziotto con una pala, Jiji è in detenzione provvisoria dal 25 maggio, anche se non ha smesso di proclamarsi innocente. Si accumulano le anomalie poliziarie e giudiziarie dopo la movimentata evacuazione di un terreno della SERM il 29 marzo a Montpellier

L'inchiesta del Montpellier journal è stata difficile. "Sull'identificazione dell'autore del colpo, le versioni delle differenti fonti di polizia divergono", scrivevamo il 19 aprile dopo la ferita alla testa di un poliziotto il 29 marzo, durante il movimentato sgombero di un campo di Rom rumeni installato su un terreno della SERM a Garosud. Un altro dei quattro poliziotti sarebbe stato leggermente ferito da un colpo di pala alla gamba, che non comporterebbe alcuna incapacità totale al lavoro.

Incensurato

Verso la metà di maggio, Jiji, uno dei presunti autori delle violenze, viene interrogato dalla polizia. Deve sostenere una comparizione immediata il 16 maggio per "violenza aggravata", ma l'udienza viene rinviata al 20 giugno. In questo intervallo, viene posto in detenzione provvisoria. Lunedì, quando si è presentato al tribunale correzionale, questo giovane di 19 anni, senza precedenti penali, era dunque alla sesta settimana di detenzione. Rischia sette anni di prigione.

Dalla sintesi del presidente del tribunale, sembra che Jiji non sia accusato dai poliziotti di aver portato il colpo alla testa, ma solamente quello alla gamba. Inoltre, solo la presunta vittima accusa Jiji. Gli altri tre dichiarano semplicemente che Jiji era presente e che aveva una pala. Due di loro aggiungono che era "minaccioso". Jiji, da parte sua, aveva dichiarato durante la prima audizione che era presente e di avere una pala. Oggi, dice che non era presente in quanto viveva in un altro campo che non c'entrava niente con quello sgomberato quel giorno. Ha sempre negato di aver colpito il poliziotto.

"Il dettaglio risolutivo"

Inoltre, secondo lil signor Benyoucef, avvocato di Jiji, la presunta vittima del colpo di pala ha dichiarato durante la sua prima audizione: "Posso dirvi che chi mi ha aggredito - chi mi ha aggredito - parla un buon francese." Qualche settimana dopo, Jiji si fa interrogare e, sottolinea l'avvocato, "è necessario rinviare la notifica dei suoi diritti, perché incapace di comprendere e parlare il francese." E conclude: "E' il dettaglio risolutivo". Cioè: Jiji non può essere l'aggressore.

A chi credere? Al poliziotto o a Jiji? Dovremmo attribuire importanza alle dichiarazioni di diverse persone presenti che hanno dichiarato ai membri del Collettivo di sostegno ai Rom di Montpellier, cheper alcuni i poliziotti erano "molto aggressivi" e "ben bevuti"? O a quelle di chi [...]  ha dichiarato che quella sera i poliziotti avevano "un comportamento bizzarro"? (audizione riportata da Benyoucef)

Risultati dell'analisi del DNA non pervenuto al tribunale

Meraviglia inoltre la capacità dei poliziotti ad identificare Jiji tra diverse centinaia di foto. In effetti, erano le 21.00 al momento dei fatti, dunque era notte, erano presenti una ventina di persone e visibilmente regnava una certa confusione. Il rapporto delle analisi sulle impronte ed il DNA sulla pala e sulla rotula (si sospetta che la pala sia stata usata anche per il colpo alla testa) potrebbe fornire indicazioni. Problema: lunedì il rapporto del laboratorio Biomnis non era ancora giunto in tribunale. Da parte di Biomnis, incaricata ad inizio aprile si disse al Montpellier journal che "il caso non era stato segnalato come urgente" dagli inquirenti, ma che il rapporto era pronto e doveva essere inviato al più tardi la prossima settimana. Altro problema: Jiji è accusato di concorso in violenza o è il solo sospettato ad essere stato arrestato.

Il procuratore ha dovuto riconoscere che il caso era stato condotto male e ha tentato di giustificarlo con un cattivo passaggio di consegne tra il personale di turno nel fine settimana e chi ha ripreso il dossier. Da parte sua Benyoucef ha commentato: "Si è commesso un errore per la fretta. Si rinvii il dossier all'istruttoria, ma occorre smettere di giocare con la libertà delle persone, anche quando sono Rom." Il tribunale l'ha seguita nella prima parte e la procedura è ripartita da zero: messa sottoaccusa di Jiji da parte di u procuratore e presentazione davanti ad un giudice. Problema: se il rapporto del laboratorio dovrà pur arrivare alla fine, l'arresto dei tre altri sospetti potrebbe richiedere tempo. Durante il quale Jiji dovrà rimanere in carcere.

"E' fantastico, non importa cosa!"

Dopo l'udienza, spiega Benyoucef: "Avrebbe dovuto esserci un'apertura d'informazione immediata. Quando si presenta in questo modo un presunto colpevole, dev'essere pronto un dossier. A prescindere! Siamo talmente sommersi di lavoro a livello d'accusa, siamo talmente soggetti a circolari che dicono: "Bisogna perseguire, bisogna giudicare, bisogna condannare," che non ci si fa più attenzione. C'è una volontà repressiva che inquina il dibattito. Siamo ad un anno da una scadenza elettorale, siamo nella religione dei numeri: ci vorranno 7-8 mesi per fornire i dati dello spettro politico. Bisogna essere stakanovisti dell'arresto,del giudizio breve, della condanna e dell'esecuzione della pena."

Occorre lo stesso ricordare che le accuse si basano sulle dichiarazioni di quattro poliziotti, di cui uno solo, la vittima, afferma di essere stato colpito da Jiji. Che quindi l'inchiesta viene condotta da poliziotti colleghi dei quattro in questione. Commenta Benyoucef a tal proposito: "L'inchiesta avrebbe dovuto essere assegnata alla gendarmeria." Infine va ricordato che non è stato effettuato alcun alcoltest sui poliziotti. Quindi non possiamo sapere se le accuse mosse da alcuni testimoni della scena siano accurate o meno.

Lamenti della madre di Jiji

Il caso è proseguito mercoledì, dato che il giudice doveva stabilire se mantenere Jiji in detenzione o meno. Malgrado un certificato d'alloggio e la proposta di firma quotidiana al commissariato, il giudice Philippe Treille ha deciso di non liberare Jiji per due ragioni: "evitare una collusione tra l'indagato ed i suoi (presunti) co-autori o complici" e "garantire il mantenimento delle persone coinvolte alla giustizia". L'assoggettamento a sorveglianza giudiziaria o agli arresti domiciliari non permetterebbe, secondo il giudice, di raggiungere questi obiettivi. Diversi minuti dopo l'annuncio della decisione, il pianto della madre di Jiji e la parole di rabbia di suo padre, presenti in aula durante tutto il lunedì pomeriggio, risuonavano ancora nel palazzo di giustizia.

Durante l'udienza, aveva dichiarato Benyoucef: "Non si può prendere in giro la situazione. Sapete che è Rumeno. Abbiamo messo in carcere un Rumeno, come volete che sia problematico? La libertà degli altri non è mai problematica. La presunzione d'innocenza degli altri non è mai problematica. [...] Niente vale fino al giorno che qualcosa vale la pena. Ma quel giorno, non ci sarà più nessuno a rispondere, perché il sistema è fatto così. E' il tesoro pubblico che emette un assegno il giorno che si rende conto di non potere affrontare il problema."

"Il prefetto ha dato istruzioni improprie"

Infine, Benyoucef ricorda al Montpellier journal come, secondo lui, si è arrivati a quel punto: "Il prefetto [Claude Baland] ha dato istruzioni improprie ai servizi di polizia, perché tutta la giornata [29 marzo] ha attaccato verbalmente queste persone. Se si è venuto a creare un tale stato dei tensione, credo che sia dovuto a quello che ha subito quella gente durante il giorno." (per ulteriori dettagli, leggere: L'expulsion de Roms roumains d'un terrain de la Serm se termine mal)

Coincidenza, giovedì mattina apprendiamo che Georges Tron era stato incriminato per "stupro e violenza sessuale in un incontro".Crimini passibili con 20 anni di recluzione. L'ex segretario di stato nega le accuse contro di lui. E' stato lasciato in libertà sotto controllo giudiziario. Gli è proibito entrare in contatto con le presunte vittime e i testimoni. Una delle due ricorrenti a dichiarato a RTL: "Si fosse trattato del macellaio della porta accanto, sarebbe in prigione. Oggi, lui è libero. Ci sono pressioni e minacce. Bisogna viverle. Ci si aspetta che la giustizia sia battuta per aspettare a mettere queste persone in prigione?"

 
Di Fabrizio (del 30/07/2011 @ 09:11:25, in Regole, visitato 2090 volte)

Reggionline.com giovedì 28 luglio 2011 - Il primo intervento alle prime luci dell'alba a Roncocesi, seguito da molti altri blitz. Si indaga su una serie di furti

REGGIO - Intervento dei carabinieri di Parma, questa mattina, nel campo nomadi di via Ancini, a Roncocesi. La retata - iniziata alle prime luci dell'alba - si è protratta per molte ore, per concludersi poco dopo le 11.
Sul posto sono arrivate almeno 3 volanti e una camionetta: i carabinieri non hanno voluto rivelare ulteriori particolari sul tipo di intervento effettuato.
Le famiglie sono state svegliate presto, le roulotte setacciate: le forze dell'ordine avrebbero requisito materiale, ma al momento non è dato sapere se si tratti di armi o altro.

Guarda la fotogallery

In un primo momento, era sembrato che i militari stessero cercando armi all'interno del campo di via Ancini - dove vive anche il pastore della locale comunità evangelica - ma col passare delle ore si è venuto a sapere che quello di Roncocesi è stato solo uno dei nove interventi compiuti dai militari in altrettanti campi nomadi tra Reggio e provincia: i carabinieri sono intervenuti anche in due accampamenti di Modena e in uno della provincia di Milano, a Senago.
Nell'operazione, denominata "Raiders", si stanno cercando i responsabili dei numerosi furti avvenuti tra il marzo del 2009 e il febbraio del 2011 in ville isolate, condomini e casali di campagna nei Comuni di Parma, Neviano Degli Arduini, Langhirano, Lesignano de' Bagni e Traversetolo.
Le indagini sui colpi, partite dai carabinieri di Neviano, nel parmense, hanno cercato di far luce su una sequela impressionante di ruberie, avvenute tutte con la stessa modalità: i ladri entravano nelle case per poi tagliare e vuotare le casseforti.
Nessuno, tra le decine di persone controllate, è stato arrestato. Sono però stati sequestrati diversi oggetti in oro, gioielli e orologi ritenuti rubati, oltre ad alcune ricevute emesse da negozi che acquistano oro e che ora sono al vaglio degli investigatori.
Tra gli oggetti sequestrati anche numerosi attrezzi, come flessibili, trapani elettrici e armi da scasso; i carabinieri hanno portato via anche alcune pistole scacciacani.
Le perquisizioni di oggi sono state eseguite con l'impiego complessivo di 140 carabinieri e l'ausilio di unità cinofile e di un elicottero: iniziate alle prime luci dell'alba, le operazioni terminate in tarda serata.

La protesta dei nomadi

Il giorno dopo il blitz dei carabinieri, i nomadi contestano alle forze dell'ordine i modi del loro intervento. Lo ha riportato "La Gazzetta di Reggio".
A parlare, per loro, è Vladimiro Torre, sinto e presidente dell'associazione Them Romanò: "Non si può fare di tutta l'erba un fascio. Non siamo ladri: siamo contro la droga e contro la delinquenza - ha detto Torre - Penso che sia giusto che chi sbaglia paghi, ma non è corretto spaventare i nostri bambini e le donne arrivando alle 5 del mattino e buttando tutti fuori dalle nostre roulotte".
Torre, in contatto con diverse realtà del Comune di Reggio, racconta della voglia di integrazione della comunità: "Io penso che sia giusto fare controlli, giusto fermare chi non si comporta bene, ma non è possibile che si arrivi all'alba in un luogo dove vivono tanti bambini e tante donne - continua - Ci hanno sequestrato le cassette degli attrezzi, i trapani che usiamo per la manutenzione delle roulotte e penso che questo non sia corretto. Noi vogliamo integrarci. L'ho detto tante volte al sindaco Graziano Delrio e all'assessore Matteo Sassi che non vogliamo più essere discriminati, accusati di essere quello che non siamo. Eppure nonostante tanti sforzi, non cambia niente".
Un mediatore culturale, secondo Torre, potrebbe aiutare il processo di integrazione: "Ho proposto più volte di nominarne uno - conclude - ma non sono mai stato ascoltato".

Daniele Paletta

 
Di Fabrizio (del 01/08/2011 @ 09:27:56, in Regole, visitato 1509 volte)

DOMU DËKK BI corso Buenos Aires, 45, 20124 Milano, Italy

Lun: 10.00 - 13.00
Mar: 15.00 - 18.00
NEGLI ALTRI GIORNI E' POSSIBILE FISSARE UN APPUNTAMENTO.

STUDIO IMMIGRAZIONE - CABINET DE CONSEIL POUR LES IMMIGRANTS - CONSULTING FIRM FOR IMMIGRATION
progetto di consulenza professionale rivolta ai cittadini immigrati sui temi dei diritti, della cittadinanza, della convivenza CON LO SCOPO DI PROMUOVERE UN APPROCCIO CONSAPEVOLE SULLA LEGGE PER CIASCUNO.

Cari amici,
siamo un gruppo di professionisti, esperti di pratiche e leggi dell'immigrazione, che desiderano mettere le loro conoscenze a disposizione di chi ne ha bisogno.

Abbiamo alle spalle circa dodici anni di esperienza sul campo, di politica e di lotte a fianco degli immigrati, a Milano e a livello nazionale.

Il progetto si chiama DOMU DËKK BI, che in wolof significa cittadino per diritto, per affetto, per convivenza e condivisione con i cittadini, e questo è quello in cui crediamo.

Ci occupiamo delle pratiche dei visti e del permessi di soggiorno, della compilazione del KIT POSTE per il rinnovo, di orientare le persone perché non perdano tempo tra un ufficio e l'altro, di ricongiungimenti famigliari, di asilo politico, di orientamento al lavoro e ai servizi sociali, siamo accreditati in Questura e in Prefettura e al Consolato Senegalese e a quello dello Sri Lanka a Milano, e presto anche presso gli altri consolati.

Ci occupiamo anche di orientare chi desidera costituire un'associazione per sostenere i progetti nel proprio paese.
Offriamo corsi di formazione sulla legge e sulle pratiche burocratiche dell'immigrazione.

In questa pagina cercheremo di raccogliere tutte le informazioni utili, reperibili on-line, ma riteniamo che il colloquio vis-à-vis sia il modo migliore per lavorare insieme alle persone che ci portano i loro probemi e ci chiedono di risolverli, perché ogni persona ha una sua specificità da tutelare.

Benvenuti nella nostra pagina su Facebook!

CRISTINA SEBASTIANI

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Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:10:28, in Regole, visitato 1358 volte)

Va dato atto a Reggionline di essere l'unica testata che ha seguito passo passo l'indagine, dando anche più volte voce ai Rom e ai Sinti

Reggionline.com martedì 2 agosto 2011 - La coordinatrice Carla Ruffini: "Senza indagati precisi, quelle operazioni hanno infranto la legge italiana"

REGGIO - La retata dei carabinieri di Reggio e Parma dello scorso 28 luglio in 9 campi rom di Reggio e provincia ha fatto alzare più di un sopracciglio nel mondo della politica locale, soprattutto negli ambienti di centro sinistra.

Un commento su quanto accaduto, anche se con qualche giorno di ritardo, è giunto dalla Sel reggiana: "A ferita ancora aperta - fa sapere la coordinatrice Carla Ruffini - vogliamo esprimere il nostro deciso disappunto per il blitz effettuato. Sinistra Ecologia Libertà ritiene che la magistratura competente e i carabinieri di Parma che hanno condotto l'operazione (insieme a quelli reggiani, ndr) debbano fornire delle spiegazioni. Non può passare sotto silenzio l'ingresso forzato in tutte le abitazioni dei nomadi residenti nei campi a loro destinati. Quando le operazioni di polizia giudiziaria non portano a indagare persone precise, ma si estendono all'intera popolazione di un quartiere (come deve essere considerato un campo nomadi), si infrange la legge sulla inviolabilità del domicilio e della libertà personale di soggetti non indagati. I nomadi non sono sottouomini e chi lo pensa è un razzista bandito dalla costituzione italiana. A questo proposito è opportuno che siano resi pubblici i mandati di perquisizione firmati dal magistrato competente".

Secondo la Sel reggiana, un elemento inviolabile di civiltà è rappresentato dalla legalità. "Ancor più se costituzionale - aggiunge la Ruffini - Siamo per la repressione di chi delinque, siamo contro chi ruba nelle abitazioni e attenta alla libertà degli altri cittadini. Condanna chi spaccia le droghe, senza se e senza ma, perché alimenta la grande criminalità organizzata. Ciononostante, pensiamo anche che l'opinione pubblica debba avere delle spiegazioni dalla magistratura competente e dai carabinieri su quanto accaduto. Non basta presentare arnesi da scasso o gioielli posseduti da qualcuno per giustificare una operazione condotta contro una intera popolazione. La cultura muscolare che appartiene ad una parte delle forze dell'ordine non si può conciliare con la vita democratica e il rispetto che si deve a tutti i cittadini della nostra nazione".

 
Di Fabrizio (del 12/08/2011 @ 09:17:17, in Regole, visitato 1703 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

RomaBuzzMonitor

COMUNICATO STAMPA 1 agosto 2011

Le Nazioni Unite, tramite Patricia O’Brien, sottosegretaria agli affari legali,  hanno respinto un reclamo di 155 Rom IDP (Persone Internamente Disperse, ndr) in Kosovo, dove furono rilocate su un terreno contaminato dal piombo, dalle agenzie ONU, UNMIK compresa, in base all'errato ragionamento che il reclamo è piuttosto un attacco all'amministrazione UNMIK del Kosovo, e non una pretesa di diritto privato. Per cinque anni e cinque mesi sino al 25 luglio2011, l'ufficio affari legali dell'ONU non ha intrapreso nessuna azione.

La comunità Rom compilò il reclamo il 6 febbraio 2006, in base alla risoluzione dell'assemblea 52-247, che diceva chiaramente:

9. Decide anche, nel rispetto dei reclami di terze parti contro l'Organizzazione per lesioni personali, malattia o morte da operazioni di peacekeeping, che:

(a) Tipologie risarcibili di danni o perdite saranno limitate alla perdita economica, come spese mediche o riabilitative, mancati guadagni, perdita di sostegno finanziario, spese di trasporto associate al danno, malattia o assistenza medica, spese legali o di sepoltura...

Il reclamo presentato dai Rom riguardava chiaramente lesioni personali, malattia e morte, causate dall'avvelenamento da piombo a cui i bambini e le famiglie furono soggetti causa la sistemazione su terreno contaminato. La richiesta era di affermare le responsabilità UNMIK in quanto in quel periodo era gestore dell'amministrazione ad interim del Kosovo. Mentre l'UNMIK ha fatto, a detta di diverse agenzie ed autori, sicuramente agito male come amministrazione ad interim, la risposta richiesta in base alla risoluzione 52-247 era chiaramente riferita ai danni e perdite subite dai Rom, quindi una pretesa di diritto privato come previsto dalla risoluzione stessa.

L'ONU ha giustificato il proprio comportamento affermando che l'intera area di Mitrovica è contaminata dal piombo, e difatti è così. Tuttavia, i Rom hanno dimostrato come fossero stati costretti ad abbandonare un sito a bassa contaminazione, per essere rilocati in un altro ad alta contaminazione, dopodiché i livelli di piombo nel loro sangue erano diventati molto più alti di quelli della popolazione circostante, inoltre l'OMS aveva richiesto ripetutamente l'immediata evacuazione a causa dei gravi rischi per la salute. L'UNMIK non ha mai intrapreso nessuna azione. Ora, in base a false argomentazioni, declinano ogni responsabilità.

E' un giorno vergognoso quando la principale organizzazione dei diritti umani nega persino l'apparenza della giustizia ad una delle minoranze più abusate del mondo.

Per ulteriori informazioni, contattare:
Dianne Post, Attorney - postdlpost@aol.com
602-271-9019 (USA)


Per scaricare la risposta ONU (testo in inglese e formato .pdf) QUI

 
Di Fabrizio (del 25/08/2011 @ 09:55:32, in Regole, visitato 1662 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

La Macedonia non ha alcuna base giuridica per vietare ai Rom di viaggiare

9 agosto 2011, by Karin Waringo - Quasi 800 persone, soprattutto Rom, sono state rimandate a casa dalle autorità di frontiera macedoni

Sembra un brutto scherzo. Cinque componenti di una famiglia macedone sono in viaggio dalla loro città natale verso Belgrado, per partecipare al matrimonio di un parente stretto. La macchina è carica di abiti tradizionali da sposa e regali per la giovane coppia. Eppure, all'attraversamento del confine a Tabanovce, una guardia di frontiera macedone ritira i loro passaporti, dicendo che sono diretti a Surcin, l'aeroporto di Belgrado, per imbarcarsi su di un aereo diretto verso l'Unione Europea.

La guardia li accusa di essere falsi richiedenti d'asilo, di quelli che stanno mettendo la Macedonia nei guai con la UE. La famiglia nega. Dopo tutto, hanno lasciato dietro a loro due bambini a scuola, così certo che torneranno in Macedonia dopo il matrimonio. Ma le loro proteste non hanno sortito risultato, se non i francobolli apposti dalla guardia di frontiera sui loro passaporti, ad indicare il divieto a viaggiare. La famiglia è stata rispedita a casa.

Casi come questo - che è stato riportato dal network di OnG ARKA - sono diventati frequenti da quando ai cittadini macedoni sono stati concessi visti per viaggi di breve durata verso la UE. Un mese fa, la rivista internet Balkan Insight ha citato il portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski, che affermava che 80 persone erano state respinte alla frontiera.

Gordana Jankulovska, ministro dell'interno, è stata persino più specifica. In un incontro al Forum di Salisburgo, dove si riuniscono i ministri di otto paesi dell'Europa centrale ed orientale, ha annunciato che a 764 persone è stato impedito di lasciare la Macedonia tra il 29 aprile ed il 27 giugno. Ha affermato che lo scopo di questa "energica misura" era di prevenire l'abuso del regime senza visti - nel 2010, 7.550 macedoni fecero richiesta di asilo nella UE.

Il problema è che le autorità macedoni non hanno alcun fondamento legale per emettere un divieto a viaggiare. Rispondendo ad una nostra richiesta, ci è stato detto che la misura si basa sull'art. 15 della legge sulla sorveglianza di frontiera, che prende a prestito elementi del cosiddetto codice delle frontiere di Schengen. Ma mentre il secondo definisci i criteri secondo cui ai cittadini di paesi terzi può essere rifiutato l'ingresso nell'area Schengen, la Macedonia ha effettivamente iniziato ad impedire ai suoi cittadini di lasciare il proprio paese, cioè tutt'altra cosa.

Ciò che è ancora più preoccupante in queste misure è il fatto che, come nel caso sopra riportato, sembrano riguardare principalmente i Rom. I Rom macedoni sono spesso di pelle scura, per le guardie di frontiera è facile identificarli ed isolarli. Al tempo della nostra indagine, uno dei pochi incaricati consolari che aveva accettato di rispondere alle nostre domande senza far finta di non sapere, ci raccontò di un caso, un esempio di manifesto abuso nel regime della liberalizzazione dei visti per la UE - che diversi Rom viaggiassero in bus alla volta di un matrimonio, ma si suppone che furono in grado di informare la guardia di frontiera sull'esatta destinazione. Pudicamente riferì anche in qualche modo di "problemi che abbiamo in alcune zone del paese" e sul fatto che la Macedonia non fosse capace di fare di più per combattere la povertà.

Di conseguenza, per i Rom poter viaggiare è diventato una specie di lotteria. Molti di quanti vengono fermati al confine, ci riproveranno. E' per questo che le autorità macedoni hanno iniziato a bollare i loro passaporti. Ma non ci sono basi giuridiche per questo divieto, che in realtà viola le leggi internazionali sui diritti umani. E' per questo che la mia organizzazione, assieme ad altre, ha scritto al governo macedone per esortarlo ad abbandonare questa pratica. Governo che da parte sua non ha ancora sviluppato completamente la propria strategia.

Il mese scorso Antonio Milošoski, ex ministro della giustizia, ha presentato una proposta di riforma del codice penale, che renderebbe l'abuso del regime di esenzione dei visti un reato penale. Mentre l'attuale proposta è rivolta alle imprese di viaggio, che possono essere sanzionate anche in assenza di prove sul loro coinvolgimento in presunti abusi, un'altra proposta intende sanzionare quanti hanno fatto domanda d'asilo "sulla base di false ragioni", secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa macedone INA che cita fonti vicino al governo. Queste sanzioni potrebbero includere la confisca temporanea dei passaporti.

Come ha spiegato l'ex ministro della giustizia in un incontro con Cecilia Malmström, commissario UE agli affari interni, il governo macedone "si aspetta che queste misure possano sradicare questi fenomeni non voluti e spiacevoli". Questo è, alla fine, l'elemento più preoccupante dell'intera storia: il fatto che queste violazioni dei diritti umani fondamentali accadano sotto gli auspici e probabilmente il coinvolgimento della UE. Che a sua volta ha già inviato propri rappresentanti nella regione.

Martellano nella testa dei governi: "Le migrazioni di Rom potrebbero condizionare il processo di allargamento", come citato dai media serbi a proposito di Pierre Mirel, direttore della commissione per i Balcani Occidentali. O, nel caso di due settimane fa, di Robert Liddell, capo della sezione politica della delegazione UE a Skopje: "Se nel clima attuale le prossime adesioni  saranno associate alle questioni migratorie,  allora aumenteremo il rischio di rifiuto."

Consapevole delle implicazioni, il governo macedone, al pari di quello serbo, sta già negoziando con la commissione sulle misure da prendere senza interferire con gli standard sui diritti umani. Sarebbe bene se questi negoziati fossero aperti e se fossero condotti per una reale salvaguardia e non per protezioni fasulle.

Dr Karin Waringo è presidente di Chachipe, un gruppo di pressione e consulenza per il rispetto dei diritti dei Rom


NDR - Ho chiesto un parere a Francesco, nostro redattore: ha sposato una ragazza macedone e conosce da tempo i meandri kafkiani della burocrazia e della politica macedone. Questo il suo parere:

"Questa storia la conosco dai media macedoni, fondamentalmente dipende dal fatto che alcuni stati europei hanno minacciato alla Macedonia il ritiro del regime no visa, perché molti rom ne hanno approfittato per espatriare. Ecco perché adesso la Macedonia blocca l'espatrio in assenza di requisiti molto rigidi per la popolazione rom. La mia opinione è che è un ricatto folle, si parla di poche migliaia di persone (considerate che in tutto i macedoni saranno circa due milioni) che vengono usate come strumento di pressione per politiche razziste."

 
Di Fabrizio (del 16/09/2011 @ 14:46:40, in Regole, visitato 1724 volte)

Sono quasi 19' e tutti in inglese, ma visto che qualcuno voleva informazioni...

E se volete sapere che fine hanno fatto le migliaia di firme raccolte S - (

 
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