Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 06/10/2008 @ 08:53:09, in Europa, visitato 1724 volte)
Una segnalazione di
Tom Welschen
Settembre 7, 2008 di
Sergio Bontempelli
Tutti sanno che, accanto al flusso migratorio di rumeni verso l’Italia, ne
esiste uno opposto, di italiani che vanno in Romania: si tratta però di
un’immigrazione diversa, fatta prevalentemente di imprenditori che delocalizzano
le loro attività produttive in città come Timisoara. Sono in pochi a sapere
invece che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, molti italiani
sono emigrati in Romania, nello stesso modo in cui oggi i rumeni arrivano nel
nostro paese: come lavoratori edili, operai di fabbrica e umili salariati.
Quello proveniente dalla Romania è divenuto il principale flusso migratorio
diretto verso l’Italia: questo lo sanno tutti. Ma quanti sanno che nella storia
- tra l’altro in tempi relativamente recenti - è esistito il fenomeno inverso,
di italiani che andavano in Romania? E non si parla qui dell’emigrazione
attuale, fatta di imprenditori del Nord-Est che trasferiscono le proprie
attività in città come Timisoara, non a caso ribattezzata “Trevisoara”: si parla
di un vero e proprio flusso di manodopera salariata - operai, minatori, edili -
che dall’Italia partiva per la Romania. A far luce su questa storia
«dimenticata» è un recente volume sulle migrazioni rumene curato dalla Caritas
[Caritas Italiana, Immigrazioni e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e
prospettive, IDOS, Roma 2008].
I primi flussi verso la Romania cominciano nel XIX secolo: si tratta di
lavoratori dell’odierno Triveneto, diretti per lo più in Transilvania.
«L’Austria Ungheria», scrive Antonio Ricci, curatore del saggio sulle migrazioni
italiane pubblicato nel volume della Caritas, «tende a favorire le migrazioni
interne tra le regioni più povere e di confine» [Caritas, cit., pag. 59]. Le
prime partenze risalgono - pare - al 1821, quando alcune famiglie della Val di
Fassa e della Val di Fiemme (nel Trentino) vengono condotte nei monti Apuseni,
in Transilvania, a lavorare come tagliaboschi e lavoratori del legno per conto
di un commerciante austriaco di legname [Ibid., pag. 61].
L’emigrazione - in Transilvania, ma non solo - prosegue anche dopo l’unità
d’Italia: tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, anzi, la Romania
diventa una meta secondaria ma tutt’altro che irrilevante per l’emigrazione
italiana. Si è calcolato ad esempio che alla fine del XIX secolo circa il 10-15%
degli emigranti partiti dal Veneto si sia diretto in Romania [Ibid., pag. 59].
Si è trattato, spesso, di migrazioni stagionali: una sorta di pendolarismo
transnazionale che ha trovato sbocco nell’edilizia, nella costruzione delle
ferrovie, in attività boschive o nelle miniere [Ibid., pag. 61]. Stando ai
censimenti del Ministero degli Affari Esteri, il numero di emigranti italiani in
Romania è quasi decuplicato nell’arco di tre decenni, passando dagli 830 del
1871 ai più di 8.000 del 1901 [Ibid., pag. 64].
Un «manuale» per l’emigrante italiano nei Balcani e in Romania, pubblicato nel
1910, si sofferma sulle procedure burocratiche necessarie per raggiungere il
paese: e qui le analogie con la situazione attuale - ma, ovviamente, a parti
rovesciate - sono impressionanti. Il Regio Commissariato dell’Emigrazione,
curatore del volumetto, raccomanda infatti di richiedere il passaporto -
opportunamente vistato da un consolato rumeno - e di stipulate un contratto di
lavoro prima della partenza: il datore di lavoro in Romania, d’altra parte, deve
munirsi dell’apposita autorizzazione all’ingresso per il proprio lavoratore, da
richiedere al Ministero dell’Interno. Si tratta di formalità burocratiche -
avverte il Regio Commissariato - senza le quali si rischia di venir respinti
alla frontiera dalle solerti autorità rumene di polizia [Ibid., pag. 60]. Sono
le stesse procedure burocratiche che l’Italia ha chiesto agli immigrati rumeni,
fino all’ingresso del loro paese nell’Unione Europea.
Proseguita nel periodo tra le due guerre mondiali (alcune stime hanno calcolato
la presenza in Romania, negli anni Trenta, di circa 60.000 italiani),
l’emigrazione è andata man mano esaurendosi negli anni Quaranta. Sono rimasti,
nelle città rumene, quegli emigranti che nel frattempo avevano rinunciato alla
cittadinanza italiana: a queste piccole comunità lo Stato rumeno ha
riconosciuto, all’indomani della caduta del regime comunista, lo status di
minoranza linguistica e il diritto ad essere rappresentate alla Camera dei
Deputati da un proprio parlamentare [Ibid., pag. 68]. «Trascorsi ormai un secolo-un secolo e mezzo dalla partenza», conclude il saggio pubblicato dalla
Caritas, «la vicenda degli italiani di Romania mantiene un carattere esemplare,
ancor più oggi che in Italia si assiste a un malumore diffuso nei confronti dei
rumeni».
Di Fabrizio (del 06/10/2008 @ 09:33:29, in Europa, visitato 1389 volte)
Da
Roma_Francais
Gourdon. La gens du voyage pregata di traslocare
Controversia. Marie Odile Delcamp ha depositato una procedura per
direttissima presso il tribunale amministrativo.
L'area "ufficiosa" della gens du voyage è chiusa da sabato 20
settembre alle 11.00. Là installati da metà agosto, la gens du voyage ha
rispettato la richiesta della sindaca di liberare l'area [...]. Problema: altri
ne hanno preso il posto e si sono installati da qualche giorno nel terreno
municipale accanto allo stadio. Incontro con Marie Odile Delcamp, sindaca
del comune:
Come intende reagire la municipalità riguardo l'area nuovamente occupata?
Questi nuovi arrivi di carovane sottolineano, se ce ne fosse ancora bisogno,
la "debolezza" della legge. Dato che l'area regolamentare è totalmente occupata
e che la legge esonera Gourdon ed i comuni della comunità ad accogliere ed
occuparsi delle famiglie; spetta ancora alla municipalità regolare il problema.
Nessuno si assume le proprie responsabilità. Ho richiesto una procedura per
direttissima al Tribunale Amministrativo ingiungendo alla gens de voyage di
lasciare il territorio del comune entro otto giorni.
Di che si tratta precisamente?
La chiusura dell'area ufficiale, gestita per un mese dalla Comunità dei
comuni, ha sollevato diverse difficoltà nella gestione. Forse insufficientemente
recepite in occasione della messa in atto dello schema dipartimentale della gens du voyage.
Ricordo che Gourdon e la Comunità dei comuni del
Quercy Bouriane sono stati i primi nel dipartimento ad avere installato un posto
a norma. In questo senso, occorre far chiarezza. Il regolamento interno da
l'autorizzazione ai gestori di chiudere l'area per un mese all'anno,
generalmente ad agosto. Il problema è che la maggior parte delle famiglie della gens du voyage
sono semi-sedentarizzate e non "di passaggio". In origine, l'area prevedeva
posti per quelle famiglie più integrate. In mancanza di mezzi sufficienti da
parte dei finanziatori, quest'aspetto non è stato realizzato. le famiglie si
sono dunque installate provvisoriamente allo stadio des Hermissens. Soluzione
inaccettabile a due titoli. Il primo per una questione di sanità: non ci
sono ne acqua ne elettricità. Il secondo per una questione di vicinanza: le
associazioni sportive di Gourdon utilizzano l'impianto per scambi e
manifestazioni in quest'epoca dell'anno.
Allora, come si può affrontare il problema?
Si tratta di affrontare tutti questi problemi con umanità e pragmatismo
nell'interesse generale. In diverse riprese, ho dialogato con le donne ed i capi
del campo, ricordando la legislazione in vigore, la responsabilità o meno del
sindaco, ed i i diritti e doveri di tutti. La polizia municipale e la
gendarmeria hanno assicurato i loro compiti, se necessario, come li svolgono in
qualsiasi altro posto del comune. Ho ascoltato le osservazioni dei residenti e
sono intervenuta quando non erano rispettati i diritti e i doveri di tutti.
Oggi, il problema è regolato a metà. L'area è completa. Chiedo quindi a tutti i
partner coinvolti, Stato, CCQB, Consiglio generale, una nuova concertazione
perché le lacune apparse nell'applicazione della legge sul nostro territorio non
siano supportate esclusivamente dal comune di Gourdon.
Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 09:10:20, in Europa, visitato 1519 volte)
Da
Roma_Daily_News
La commissione contro il razzismo del Consiglio d'Europa ha trovato che i Rom
sono la minoranza maggiormente oppressa in Russia, lo scrive il giornale
nazionale "Vremya Novostey" nell'edizione del 24 settembre. "Gli Zingari, come
pure i Caucasici, sono fermati 20 volte di più dalla polizia, rispetto alla
gente dall'apparenza Slava," dice il capo deputato della commissione, Michael
Head, in una conclusione condivisa dall'ombudsman sui diritti umani, Vladimir
Lukin.
Ma Galina Kozhevnikova del Centro Sova ha osservato che per i provenienti
dall'Asia Centrale è più facile cadere vittima della violenza neonazista.
La commissione ha anche trovato che il governo russo non ha preso le misure
necessarie contro i neonazisti e che le leggi sull'immigrazione contribuiscono a
discriminare i migranti. Sia la commissione europea che Kozhevnikova trovano che
la polizia russa ha aumentato il numero di arresti di neonazisti, anche se le
leggi contro i crimini razziali sono raramente applicate.
Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 09:22:26, in Italia, visitato 2053 volte)
Ricevo da Roberto Malini
Perché non interrompiamo la persecuzione dei Rom di Pesaro e iniziamo
finalmente ad aiutarli?
Pesaro, 5 ottobre 2008 - Nella mattina venerdì 3 ottobre la polizia e i vigili
urbani di Pesaro, con un notevole spiegamento di forze e di mezzi mobili, hanno
effettuato un vero e proprio "blitz", alle sei e mezza del mattino,
nell'edificio rurale in via Solferino n° 121, dove da alcuni mesi si sono
rifugiate alcune famiglie Rom in gravissime condizioni di indigenza e sanitarie.
Presso la minuscola comunità Rom, come è noto, ci sono persone che soffrono
di patologie oncologiche incurabili, cardiopatie, handicap di entità assai
importante, gravi malattie da precarietà. Si tratta di pazienti di cui si è
preso cura l'Ospedale San Salvatore e che hanno urgente bisogno di un alloggio
dignitoso, assistenza sociale e possibilità di curarsi regolarmente. il Gruppo
EveryOne desidera precisare alcuni aspetti, a proposito del "blitz" delle forze
dell'ordine. Innanzitutto, che le famiglie Rom si trovavano, al momento dei
controlli per identificazione e della comunicazione di ipotesi di reato
(occupazione di stabile rurale), all'interno della casa fatiscente per una
ragione ben precisa e conosciuta dalle autorità cittadine. Non avendo altro
possibile riparo, le famiglie sono rimaste, come comunicato alla proprietà -
Campus s.r.l. - all'interno dello stabile, in attesa dei primi giorni di
settembre. In quei giorni, lasciati trascorrere irresponsabilmente dai politici
cittadini, avrebbe dovuto iniziare il programma di assistenza e integrazione dei
Rom che vivono a Pesaro, come promesso dal sindaco e dagli assessori alla salute
e ai servizi sociali, in linea con le disposizioni previste dalle norme
internazionali, norme da noi consegnate al Comune e dal Comune protocollate) e
dalla Costituzione italiana.
Il piano di inclusione avrebbe dovuto mettere in atto con urgenza assoluta
un'azione di sostegno socio-sanitario, inserimento professionale e soprattutto
la concessione di un alloggio dignitoso, necessario per l'urgenza umanitari.
Disattese le promesse, le persone Rom all'interno della casa (fredda, umida,
fatiscente, senza alcun servizio né acqua né corrente elettrica) non avevano
alternativa a quella di permanere nell'edificio. Accusarli di un reato o
perseguitarli ancora vuol dire affermare ufficialmente che i malati, le donne, i
bambini, le persone in difficoltà di etnia Rom avrebbero dovuto e dovrebbero,
per essere "a norma di Legge", incamminarsi in una tragica marcia della morte
verso il nulla, al freddo, senza cibo né farmaci, senza riparo né aiuti sociali.
Come topi usciti da un luogo disinfestato. E' importante che sia chiara questa
realtà, perché una diversa spiegazione sarebbe solo un'indegna ipocrisia. Il
Gruppo EveryOne ha inviato alla Procura della Repubblica un documento in cui è
spiegata chiaramente la contraddizione - una tragica contraddizione - secondo
cui le famiglie Rom avrebbero commesso un reato rimanendo sotto l'unico tetto
che hanno, dopo che gli impegni del Comune, impegni noti a tutti anche grazie ai
giornali, sono stati traditi.
Basta digitare in un motore di ricerca internet le parole "Pesaro" e "Rom" per
avere una rassegna stampa degli episodi di intolleranza e persecuzione che hanno
colpito e funestato la comunità Rom locale, negli ultimi mesi. Riteniamo che la
costante repressione, i trattamenti inumani e l'abbandono in cui sono sottoposti
i Rom di Pesaro siano inconcepibili e inaccettabili persino nell'attuale clima
di intolleranza e odio razziale che imperversa in Italia. Nessuna città, nessun
paese, finora - a quanto ci risulta, salvo le recenti esternazioni del
vicesindaco di Treviso - aveva posto famiglie indigenti nella condizione di
scegliere fra lasciarsi morire di stenti o andare incontro a procedimenti
giudiziari e polizieschi. Atroce. Ci aspettiamo quantomeno, da parte del sindaco
e delle altre autorità pesaresi, a partire dalle forze dell'ordine che avrebbero
il dovere di difendere i deboli e gli oppressi, che ci concedano il tempo per
mettere al sicuro le famiglie Rom che vivono a Pesaro.
Siamo già riusciti ad ottenere protezione umanitaria da parte di una cittadina
del Sud presso Potenza per la famiglia Jivan Petrici, salvando la vita alla
piccola Annamaria, malata di polmonite e costretta a vivere, qui a Pesaro, al
freddo, senza sostegno sociale, nell'indifferenza più gelida, mentre la tosse la
scuoteva e la febbre la indeboliva ogni giorno. Ora Annamaria sta meglio, perché
vive in una casa, al caldo, con persone di buona volontà che la assistono e un
lavoro per il papà. Vi sono in Italia altre località, altre autorità comunali,
altre persone solidali che, indignate e addolorate per il calvario che i Rom di
Pesaro stanno attraversando, manifestano solidarietà nei loro confronti. Siamo
in contatto con loro e presto saremo in grado di assicurare un riparo al caldo,
una situazione protetta e programmi di inclusione ad altre famiglie. La "caccia
al Rom" scatenata dalle Istituzioni locali, la terribile oppressione, la furiosa
intenzione di rendere rapidamente la città di Pesaroi "zigeunerfrei", libera da
"zingari", ostacola gravemente la lotta per la vita che il nostro Gruppo
conduce, fra mille difficoltà, insieme a cittadini di Pesaro che non seguono la
corrente razzista. Dopo il "blitz" delle forze dell'ordine, con le procedure di
identificazione, la comunicazione di ipotesi di reato (il "reato" di non
lasciarsi morire, di tentare disperatamente di tenere unite e in vita le
famiglie), alcune donne di via Solferino 121 si sono sentite male; tutti,
bambini, malati, genitori si sentono affranti.
Avvertiti da un agente, affinché se ne andassero subito, pena finire in carcere,
privati dei bambini, avevano già radunato le loro povere cose e il nostro Gruppo
ha dovuto attuare una difficile opera di persuasione per impedire che si
allontanassero al freddo e senza niente, in una "marcia della morte" che solo in
un Paese imbarbarito, senza più traccia di civiltà e umanità sarebbe pensabile.
Mentre li controllavano e compilavano schede e denuncia, gli agenti non
mostravano alcun sentimento di compassione per l'umanità dolente che avevano di
fronte. Non si è sentita una parola di solidarietà. Non si è visto un sorriso.
Solo gelo e frasi impersonali. "Lunedì torneranno e ci porteranno in prigione,"
ripeteva un ragazzo fra le lacrime. "Ci hanno detto che abbiamo commesso un
reato grave, rifugiandoci in questa casa e che se non ce ne andiamo, sarà peggio
per noi". Alcuni di noi, eredi dei Testimoni dell'Olocausto, lottano ogni giorno
perché i fantasmi più oscuri siano ricacciati nel buio della Storia. Eppure,
quegli spettri ritornano, i loro riecheggiano ancora ai confini della "civiltà",
dove un'umanità martoriata è costretta a vivere nel dolore, nell'esclusione,
senza alcun diritto. Che cosa siamo diventati?
Contatti:
Gruppo EveryOne
www.everyonegroup.com
:: info@everyonegroup.com
Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 15:09:50, in Italia, visitato 1343 volte)
Da
CittàPerTutti
Esattamente 70 anni fa, il 6 ottobre del 1938, il Gran Consiglio (cioè il
vertice massimo del fascismo, presieduto da Mussolini) varava un testo nel quale
indicava nel dettaglio le linee della persecuzione razziale antisemita decisa
dal regime. Leggete questo testo, è istruttivo. E non crediate che lo
pubblichiamo solo perché è il settantesimo anniversario. Non ci chiedete perché
lo pubblichiamo, non ci chiedete se lo riteniamo attuale. Cercate di darvi da
soli una spiegazione...
Il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell'Impero, dichiara
l'attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza
razziale. Ricorda che il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge un'attività
positiva, diretta al miglioramento quantitativo e qualitativo della razza
italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con
conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti.
Il problema ebraico non è che l'aspetto metropolitano di un problema di
carattere generale.
Il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce:
a) il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle
razze camita, semita e altre razze non ariane;
b) il divieto per i dipendenti dello Stato e da Enti pubblici - personale civile
e militare - di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza;
c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri, anche di razze ariane,
dovrà avere il preventivo consenso del Ministero dell'Interno;
d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio della
razza nei territori dell'Impero.
Ebrei ed ebraismo
Il Gran Consiglio del Fascismo ricorda che l'ebraismo mondiale - specie dopo
l'abolizione della massoneria - è stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i
campi e che l'ebraismo estero o italiano fuoruscito è stato - in taluni periodi
culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica unanimemente ostile al
Fascismo.
L'immigrazione di elementi stranieri - accentuatasi fortemente dal 1933 in poi -
ha peggiorato lo stato d'animo degli ebrei italiani, nei confronti del Regime,
non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la psicologia, la
politica, l'internazionalismo d'Israele. Tutte le forze antifasciste fanno capo
ad elementi ebrei; l'ebraismo mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevici
di Barcellona.
Il divieto d'entrata e l'espulsione degli ebrei stranieri
Il Gran Consiglio del Fascismo ritiene che la legge concernente il divieto
d'ingresso nel Regno, degli ebrei stranieri, non poteva più oltre essere
ritardata, e che l'espulsione degli indesiderabili - secondo il termine messo in
voga e applicato dalle grandi democrazie - è indispensabile.
Il Gran Consiglio del Fascismo decide che oltre ai casi singolarmente
controversi che saranno sottoposti all'esame dell'apposita commissione del
Ministero dell'Interno, non sia applicata l'espulsione nei riguardi degli ebrei
stranieri i quali:
a) abbiano un'età superiore agli anni 65;
b) abbiamo contratto un matrimonio misto italiano prima del 1° ottobre XVI.
Ebrei di cittadinanza italiana
Il Gran Consiglio del Fascismo, circa l'appartenenza o meno alla razza ebraica,
stabilisce quanto segue:
a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;
b) è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da madre di
nazionalità straniera;
c) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da un matrimonio
misto, professa la religione ebraica;
d) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da un matrimonio misto,
qualora professi altra religione all'infuori della ebraica, alla data del 1°
ottobre XVI.
Discriminazione fra gli ebrei di cittadinanza italiana
Nessuna discriminazione sarà applicata - escluso in ogni caso l'insegnamento
nelle scuole di ogni ordine e grado - nei confronti di ebrei di cittadinanza
italiana - quando non abbiano per altri motivi demeritato - i quali appartengono
a:
1) famiglie di Caduti nelle quattro guerre sostenute dall'Italia in questo
secolo; libica, mondiale, etiopica, spagnola;
2) famiglie dei volontari di guerra nelle guerre libica, mondiale, etiopica,
spagnola;
3) famiglie di combattenti delle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola,
insigniti della croce al merito di guerra;
4) famiglie dei Caduti per la Causa fascista;
5) famiglie dei mutilati, invalidi, feriti della Causa fascista;
6) famiglie di Fascisti iscritti al Partito negli anni 19- 20- 21- 22 e nel
secondo semestre del 24 e famiglie di legionari fiumani.
7) famiglie aventi eccezionali benemerenze che saranno accertate da apposita
commissione.
Gli altri ebrei
I cittadini italiani di razza ebraica, non appartenenti alle suddette categorie,
nell'attesa di una nuova legge concernente l'acquisto della cittadinanza
italiana, non potranno:
a) essere iscritti al Partito Nazionale Fascista;
b) essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino
cento o più persone;
c) essere possessori di oltre cinquanta ettari di terreno;
d) prestare servizio militare in pace e in guerra. L'esercizio delle professioni
sarà oggetto di ulteriori provvedimenti.
Il Gran Consiglio del Fascismo decide inoltre:
1) che agli ebrei allontanati dagli impieghi pubblici sia riconosciuto il
normale diritto di pensione;
2) che ogni forma di pressione sugli ebrei, per ottenere abiure, sia
rigorosamente repressa;
3) che nulla si innovi per quanto riguarda il libero esercizio del culto e
l'attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti;
4) che, insieme alle scuole elementari, si consenta l'istituzione di scuole
medie per ebrei.
Immigrazione di ebrei in Etiopia
Il Gran Consiglio del Fascismo non esclude la possibilità di concedere, anche
per deviare la immigrazione ebraica dalla Palestina, una controllata
immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell'Etiopia.
Questa eventuale e le altre condizioni fatte agli ebrei, potranno essere
annullate o aggravate a seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà nei
riguardi dell'Italia fascista.
Cattedre di razzismo
Il Gran Consiglio del Fascismo prende atto con soddisfazione che il Ministro
dell'Educazione Nazionale ha istituito cattedre di studi sulla razza nelle
principali Università del Regno.
Alle camicie nere
Il Gran Consiglio del Fascismo, mentre nota che il complesso dei problemi
razziali ha suscitato un interesse eccezionale nel popolo italiano, annuncia ai
Fascisti che le direttive del Partito in materia sono da considerarsi
fondamentali e impegnative per tutti e che alle direttive del Gran Consiglio
devono ispirarsi le leggi che saranno sollecitamente preparate dai singoli
Ministri.
Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 21:46:36, in Regole, visitato 7796 volte)
Ricevo da Agostino Rota Martir (qui
i fatti a cui si riferisce), con preghiera di fare circolare
All’Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di ______
ATTO DI DENUNCIA E QUERELA
Il sottoscritto ______, nato a ____ (_____), il _______, residente in ____, via
_____, in qualità di legale rappresentante dell’Associazione _____, [iscritta al
registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della
lotta alle discriminazioni (art. 6 del D. Lgs.215/03) con il numero __]
assistito e rappresentato, giusta delega in calce al presente atto, dall’avv.
_______ del Foro di _______, con studio in ______, via _______ n. __, espone
quanto segue:
- in occasione del raduno politico organizzato dal partito politico "Lega Nord"
a Venezia in data 14.09.2008, GENTILINI Giancarlo, vicesindaco di Treviso ed
esponente politico di rilievo del partito"Lega Nord", nel corso di un pubblico
comizio innanzi ad una pluralità di astanti si rendeva autore di numerose
affermazioni di carattere indiscutibilmente razzista;
Di seguito si dà nota di alcune delle frasi pronunciate dal Gentilini:
( L’intervento nella sua interezza è reperibile sia al
sito: http://it.youtube.com/watch?v=_WCZNQJkV3E
sia a :
http://bontempelli.altervista.org/gentilini.flv)
"Io voglio la rivoluzione contro gli extracomunitari clandestini!"; "voglio la
pulizia dalle strade di tutte queste etnie che distruggono il nostro paese!";
"voglio la rivoluzione nei confronti di nomadi! Dei zingari!"; "ho distrutto due
campi di nomadi e di zingari a Treviso!"; "voglio eliminare tutti i bambini dei
zingari che vanno a rubare dagli anziani!"; "voglio tolleranza a doppio zero!";
"voglio la rivoluzione contro coloro che vogliono aprire le moschee e i centri
islamici!"; "no! Vadano a pregare nei deserti!"; "basta islamici! Che tornino ai
loro paesi!"; "che vadano a pisciare nelle loro moschee!" (a proposito degli
avventori dei locali etnici); "voglio la rivoluzione nei confronti (di coloro)
che tollerano i veli e i burqua!"; "io non so chi si nasconda sotto il velo o
col burqua, ci potrebbe essere uno coi coglioni o col mitra tra le gambe!"; "non
voglio vedere consigliere neri, gialli, marroni, grigi, insegnare ai nostri
giovani! Cosa insegnano? La civiltà del deserto? La civiltà di coloro che
scappano dietro ai leoni o quelli che corrono dietro alle gazzelle per
mangiarle?".
- Il contenuto delle parole pronunciate pubblicamente da Gentilini è
incontestabilmente razzista e connotato in modo tale da assumere una autonoma
rilevanza penale ai sensi della normativa in tema di discriminazione;
- tali affermazioni possono essere considerate come fattispecie di propaganda di
idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, come vera e
propria istigazione alla commissione di atti discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi e, infine, come istigazione alla
violenza o ad atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici,
nazionali o religiosi.
Tali comportamenti sono condannati dalla Convenzione internazionale
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale adottata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il del 21 dicembre 1965, ratificata
in Italia con legge 13 ottobre 1975, n. 654;
- la legge 13.10.1975, n. 654, così come modificata dalla legge 25 giugno 1993,
n. 205, punisce da un lato la propaganda di idee fondate sulla superiorità o
sull'odio razziale o etnico, dall’altro l’istigazione alla commissione di atti
discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e, come
figura di reato più grave l’istigazione alla violenza o ad atti di provocazione
alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
- l’art. 3 della legge 654/75, così come sostituito dall’art. 13, l. 85/2006,
prevede che:
"1) Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini
dell’attuazione della disposizione dell’art. 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro
chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico,
ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi.
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a
commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi;";
- E’ del tutto incontrovertibile che le affermazioni pubbliche del Gentilini
assumano rilevanza penale ai sensi delle norme di cui sopra sotto la plurima
valenza della propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale
o etnico, dell’istigazione alla commissione di atti discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi e sotto quella, più grave ancora,
dell’istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla
violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
a) La nozione di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio
razziale o etnico, utilizzabile ai fini dell’applicazione delle norme contro le
manifestazioni verbali di discriminazione, si riferisce alla diffusione di idee
razziste che inducono, in capo ai destinatari, la formazione di un giudizio che
giustifichi o incoraggi forme di odio e di discriminazione razziale;
- Si ritiene che il reato si perfezioni nel momento in cui il pensiero di
matrice razzista, oltre ad essere esternato, venga "divulgato", pervenendo a
conoscenza di una pluralità di altre persone. In altri termini, il reato si
considera consumato a prescindere dall’effettivo "credito" riscontrato presso
"l’altro", bastando bensì la mera ricezione. La propaganda razzista si può
pertanto definire come reato di mera condotta, che assume cioè rilevanza penale
senza necessariamente comportare una modificazione nell’ambiente esterno. In tal
senso, si dà nota di quanto afferma la giurisprudenza in materia: "La condotta
di diffusione di idee fondate sull’odio razziale presuppone che il "diffusore"
si rivolga a molti interlocutori o comunque svolga un’opera di proselitismo e di
istigazione indiretta" (Trib. Treviso, sent. 6.6.2000, n. 492);
b) La condotta tenuta da Gentilini può inoltre ben configurare un’ipotesi di
reato di istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi
razziali o etnici, essendo ravvisabile nel discorso da lui pronunciato un vis istigativa alla formazione di propositi razzisti e un sotteso plauso verso atti
di discriminazione fondati sulla superiorità etnica (si veda a tal proposito
Trib. Verona, sent. 2.12.2004/24.2.2005, n. 2203);
- basti dire che per la sussistenza del reato in parola, non rileva che
l’incitamento sia stato effettivamente accolto da coloro a cui è rivolto,
essendo bensì sufficiente che questo sia potenzialmente idoneo ad influire sul
pensiero altrui. D'altronde non si può non tenere conto della circostanza della
carica istituzionale ricoperta da Gentilini e della credibilità che gli uditori
del comizio indubbiamente riconoscono a quanto da lui affermato;
- è importante peraltro sottolineare che gli atti di discriminazione oggetto di
istigazione non devono essere per forza illegittimi, al contrario quindi di
quelli presi in considerazione dalla normativa civilistica. Una differenza
importante tra l’ambito della tutela civile e quello della normativa penale è
infatti costituta, per la prima, dal requisito della illegittimità, che deve
essere propria della condotta perché sia considerata discriminatoria ai sensi
dell’art. 43 d.lgs. 286/98, mentre la norma penale, nel vietare l’istigazione
alla commissione di atti discriminatori, comprende anche quelle condotte che ai
sensi della norma civile non sarebbero vietate, ma bensì considerate legittime.
c) Infine, non si può non evidenziare come il discorso tenuto da Gentilini sia
connotato da un grado di violenza tale da configurare un’autonoma imputazione
per istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla
violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Affermazioni del tipo "voglio la pulizia dalle strade di tutte queste etnie che
distruggono il nostro paese!"; "voglio la rivoluzione nei confronti di nomadi!
Dei zingari!"; "ho distrutto due campi di nomadi e di zingari a Treviso!";
"voglio eliminare tutti i bambini dei zingari che vanno a rubare dagli anziani!"
mostrano un’intenzione non solo ostile, ma caratterizzata da un ulteriore grado di
violenza ancora più estremo.
E’ del tutto manifesto quanta violenza vi sia in chi inneggia pubblicamente alla
"pulizia" nei confronti di altri esseri umani, alla "distruzione" totale delle
abitazioni di Rom e Sinti o, infine, addirittura ad una vera e propria
"eliminazione" di bambini. Tali parole non possono che riportare alla mente
immagini inquietanti di pulizie etniche e di stermini di massa.
- Nessuna giustificazione ha peraltro la circostanza che Gentilini abbia
pronunciato tali parole all’interno di una manifestazione politica giacchè si
ritiene che, in un ambito "sensibile" qual è la tutela contro il razzismo, ci si
debba nondimeno attenere ai principi della giurisprudenza in materia di reati di
opinione, secondo i quali "il diritto alla libera manifestazione del pensiero,
tutelato dall’art. 21 Cost., non può essere esteso fino alla giustificazione di
atti o comportamenti che, pur estrinsecandosi in una esternazione delle proprie
convinzioni, ledono tuttavia altri principi di rilevanza costituzionale ed i
valori tutelati dall’ordinamento giuridico interno e internazionale" (Corte
Cass., sez. I, sent. 28.2.2001, n. 341);
- il bene tutelato dalla normativa in tema di antidiscriminazione è la stessa
dignità umana, intesa come il diritto umano fondamentale, pieno ed assoluto di
ogni uomo ad essere differente per razza, etnia, religione, nazionalità, senza
che tale diversità diventi ragione per alcuna diminuzione nel rispetto, nella
comprensione e nella tolleranza ricevuti;
- infine: "Non è illecito avere pregiudizi in sé, nemmeno se tali pregiudizi
sono di tipo razziale, etnico, nazionale o religioso. E’ illecito se, e solo se,
il pregiudizio (…) si trasforma da pensiero intimo del singolo uomo a pensiero
che l’uomo (singolo o in gruppo) diffonde in qualunque modo argomentando la
superiorità della propria razza, etnia o nazione o compiendo o incitando a
compiere atti di discriminazione per ragioni di razza, etnia, nazione,
religione." (Trib. Verona, sent. 2.12.2004/24.2.2005, n. 2203).
* * * * *
Per tutti i suesposti motivi, poiché negli episodi sopra descritti paiono
ravvisarsi gli estremi:
- del reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o
etnico, di cui all’art. 3, c. 1, lett. a) legge 654/1975,
- del reato di istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi di cui all’art. 3, c. 1, lett. a) legge
654/1975,
- del reato di istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione
alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi di cui all’art.
3, c. 1, lett. b) legge 654/1975,
lo scrivente sporge formale
DENUNCIA-QUERELA
affinché si proceda nei termini di legge nei confronti del sig. GENTILINI
Giancarlo e delle persone che la S.V. individuerà come autori o responsabili,
anche per omissione, dei fatti, e per tutti i reati che comunque saranno
ravvisati nelle fattispecie descritte, anche ai sensi delle disposizioni di cui
all’art. 3 della legge 654/1975.
Riservandosi la costituzione di parte civile in prosieguo di causa, nomina suo
difensore di fiducia ex art. 96, 101 c.p.p., l’avv. _____ del Foro di ______,
con studio in ____, via ______ n. __.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 408, co. 2, c.p.p., chiede di essere
informato di eventuali richieste di archiviazione.
Dichiara altresì, ai sensi e per gli effetti dell’art. 459, comma 1, c.p.p. di
opporsi all’eventuale emissione di decreto penale di condanna, nei confronti dei
responsabili dei fatti di cui in narrativa perseguibili a querela di parte.
Con osservanza.
Luogo e data
Nome cognome legale rappresentante associazione
E’ autentica
(avv. ________)
Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 00:46:14, in Italia, visitato 2576 volte)
Avevo chiesto ad Ernesto Rossi come fosse andato il convegno
su
Carlo Cuomo, a cui (seppure a malincuore) non avevo potuto partecipare. Mi
scrive di un convegno caldo e partecipato, con circa 150 presenze. Se qualcuno
vi ha partecipato, mi faccia sapere le sue
impressioni, anche commentando qui. Intanto, ecco il testo del lungo intervento
svolto da Ernesto Rossi, che partendo dai ricordi, affronta molti temi di
attualità.
4 ottobre 2008 - C'è un libro straordinario di Gianni Rodari, uno dei
più grandi scrittori del Novecento italiano: C'era due volte il Barone
Lamberto. Sembra un libro per bambini, categoria letteraria del
sussiego. Vi si racconta la ventura di un ricco signore che può ricomprarsi la
vita, perché scopre che "L'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita".
Carlo, Carlo, Carlo…ecco cosa stiamo facendo, qui, oggi, adesso: ripetiamo il
suo nome per raccogliere la nostra memoria e per continuare a tenerlo vivo fra
di noi.
Perché in effetti non è vero che Carlo non ci sia più, né quando ci si occupa di
Zingari, né per altre questioni, nelle quali ha lasciato segni forti e
inconfondibili. È solo che, purtroppo per noi, facciamo fatica, nel mutare dei
tempi, delle sensibilità, delle politiche, ad incontrarlo.
Ho avuto la fortuna di un'amicizia fraterna troppo breve con Carlo. Venne nel
'68, giovane consigliere comunale, a vedere e a capire cosa succedeva nella
biblioteca che dirigevo: un esperimento di gestione partecipata che sembrava
anticipare nuove forme di decentramento.
Così adesso per questa amicizia e per il fatto d'aver cercato di proseguire il
suo impegno con i Rom e i Sinti, mi tocca un compito difficile: parlare di Carlo
coi verbi al passato, parlare di Carlo e del suo impegno per gli Zingari.
Per molti anni –una quindicina- Carlo e questo impegno sono stati strettamente
legati. Certo, si occupava dei destini della sinistra a Milano e lavorava come
presidente della FILEF Lombardia, l'associazione internazionale fondata
da un altro Carlo, lo scrittore e pittore Levi, per la quale aveva coniato,
allargando e in parte rovesciando il primo impegno a favore dei nostri
emigranti, uno slogan che era un vero sintetico programma: chiediamo per i nuovi
immigrati gli stessi diritti che abbiamo chiesto per i nostri emigranti.
Ma occuparsi di zingari è impresa d'imparagonabile diversità: essi sono la
minoranza delle minoranze. Il minimo possibile dell'altrui conoscenza, della
considerazione, del rispetto dei diritti. Non esiste paese di riferimento, in
cui siano una maggioranza. Non esiste paese, quale più, quale meno, in cui i
loro diritti siano veramente rispettati e garantiti.
Carlo ha disseminato idee e proposte innovative dovunque è stato
presente.
Per poter fare questo, ci vuole indubbiamente intelligenza e cultura, sapersi
porre domande, ma lui aveva di più: aveva una capacità non comune di passare dal
ragionamento alle ipotesi, alle proposte concrete; dal pensare al fare,
impastando teoria, discussione, suggerimenti, finché non diventavano un progetto
visibile agli occhi della mente, per divenire poi un'iniziativa.
Lo ha scritto con felice sintesi, il giorno dopo la sua morte, Manuela Cartosio
sul Manifesto: aveva la capacità di tenere insieme la rilettura di Marx
con la fontanella in un campo di Zingari. Insieme. Non una cosa accanto
all'altra, ma nella successione stessa del ragionamento e del progetto.
Era, non solo come lasciò detto di sé, una brava persona, ma slow,
lento. Questa definizione è associata attualmente al contrasto della frenesia,
del consumo, del cattivo gusto, che sarebbe uno splendido programma politico, ed
è riferita soprattutto ad un campo, quello enogastronomico; e a Carlo, uomo di
gusto, che sapeva apprezzare cibi e vini, non sarebbe dunque certamente
dispiaciuta.
Ma il senso in cui gliela attribuisco riguarda il suo atteggiamento nei
confronti dell'altro: il sorriso, dolce e aperto, il rispetto, l'ascolto,
l'attenzione, il ragionare pacato e coinvolgente; una serie insomma di qualità
maieutiche. Una cosa nata dalle sue parti. Era lento perché si prendeva il tempo
e il piacere di ascoltare e ragionare, di gustare e di far gustare il
ragionamento nel suo articolarsi e procedere dalle premesse alle conclusioni.
Questa era la sua qualità essenziale, strutturale, quella che gli conquistava
simpatia, attenzione, stima, affetto.
Sono stato adescato da Carlo ad occuparmi di Rom e Sinti, quelli che col
sommario disprezzo della non conoscenza chiamiamo Zingari.
Come nasce un'idea così nella testa d'una persona, di occuparsi di un
problema marginale di poche persone marginali, 150-160 mila in tutta Italia?
Quante volte l'hanno chiesto anche a me, ed ora che mi tocca parlare di Carlo,
mi accorgo che a lui non l'ho mai domandato. Eppure si tratta di una questione
importante, fondamentale. Forse tra di noi era scontata la risposta: per
indignazione. Ma è una risposta troppo morale, adulta. Forse quella precedente
nasce nei giochi da bambino, tra cowboy e indiani, o davanti alle porte Scee
leggendo i poemi omerici.
Ma credo che qualunque sia il caso che apre l'impegno, questo arriva su un
terreno già predisposto, incontri, esperienze, che rimangono a giacere in un
angolo della memoria, pronti a crescere, ad affermarsi, se si formano
circostanze favorevoli. Come una rosa di Gerico, che verdeggia nuovamente quando
la bagnate.
Ho un ricordo preciso di una situazione che Carlo raccontava, riferita forse
anche ai suoi anni giovanili in Grecia, quando nel villaggio o nel quartiere,
durante la riunione per organizzare una festa di matrimonio o di battesimo,
qualcuno, inevitabilmente, diceva Carlo, saltava su con un ma i 'nostri'
zingari qualcuno li ha avvertiti?
Questa frase, che sicuramente si pronuncia ancora oggi in molte lingue nei
Balcani, dice di una presenza e di una continuità di costume: una tradizione.
I Rom nei Balcani, la regione d'Europa che per prima hanno raggiunto nel loro
lungo viaggio, e dove tuttora vivono più numerosi che in qualunque altra, con la
sola eccezione della Spagna, sono portatori di una cultura musicale propria, ma
anche custodi di quelle locali, che hanno saputo raccogliere e reinterpretare e
tramandare, traendone una musica nuova senza confini.
Il caso che muove Carlo è l'incarico di assessore, oltre che al
decentramento, al lavoro, che comporta anche la responsabilità dell'Ufficio
Stranieri e Nomadi. Così si chiamavano e credo tuttora si chiamino gli uffici di
molte città italiane, cui compete di occuparsi di stranieri. E di nomadi,
che così definiti e percepiti, anche se italiani da secoli, finiscono col parere
stranieri, persino a se stessi. È qui che Carlo si trova a dover affrontare il
problema. Come assessore delle giunte di sinistra negli anni dal 1975 all'85, ha
dovuto gestire temi diversi e per lui talvolta inediti. E ogni volta, magari
dimenticando le vacanze, ha macinato libri e documenti per prepararsi.
Ma per questa materia, credo che lo sforzo sia stato minore. C'è una strada già
tracciata nella sua memoria e nella sua pratica politica, un marxismo usato come
chiave, non come binario: il senso della dignità umana, come valore fondante di
ogni politica; della diversità e ricchezza delle storie e delle culture come
ricchezza unica di tutta l'unica razza umana. Non è un caso dunque che
quando imposta e in parte redige, per incarico dell'amico e compagno editore
Nicola Teti, un numero speciale del Calendario del Popolo, dedicato agli
Zingari, il richiamo costante è alla Costituzione antifascista della
Repubblica italiana.
"Un patto di amicizia e fraternità", furono le parole usate da Umberto
Terracini, che con De Gasperi e De Nicola firmò quel testo, nel presentarlo nel
1947 al popolo italiano.
Parole straordinarie se le pensiamo rivolte a Rom e Sinti, in quegli anni quasi
esclusivamente cittadini di questo paese, essendovi giunti fin dagli inizi del
Quattrocento. Un popolo che le statistiche rappresentano come un popolo di
bambini (oltre il 50% minori di diciott'anni).
Una piccola società sparpagliata in quella più grande, con le sue tradizioni e
le sue regole, reciprocamente incomunicante con la nostra, con effetti
devastanti per loro, contro qualche fastidio per noi. Con la quale un patto
bisogna dunque stabilirlo, un patto sociale, non regole speciali, una strada
chiara, lineare, aperta, che per condurre tutti nella stessa unica società, deve
nascere dal rispetto, dall'attenzione, dalla comprensione, da regole nuove. A
partire dai diritti. I doveri, come ognuno sa, vengono, magari quasi subito ma
comunque dopo. È su questa mancanza che si esercita la capacità d'indignarsi, se
sei riuscito a salvarla dal tuo diventare adulto e beneducato.
Ma quanti sono? è il nostro tormentone. Le contiamo e ricontiamo, queste
pecorelle, quasi sperando, poco evangelicamente, che siano ogni volta di meno.
Ma di affrontare i problemi sociali poco se ne parla, quasi nulla si fa.
Negli anni di Carlo, da buon comunista vicepresidente dell'Opera Nomadi, da lui
fondata a Milano nei primi anni Ottanta, nascono i primi campi. Una
scelta che, senza l'intervento sociale connesso, previsto e mai attuato, gli
anni dimostreranno inadeguata ad affrontare i problemi dell'abitare.
I campi, soluzione quasi solo italiana, sono dei ghetti da cui non si esce che a
fatica verso altre soluzioni abitative, mentre per non trovare lavoro... basta
l'indirizzo.
Sono questi i percorsi generosi e accidentati di chi cercava una strada giusta.
Adesso, chi cerca una strada?
In quegli stessi anni troviamo, inattesa, una soluzione per una famiglia di
Sinti lombardi ben conosciuta nel suo quartiere, ma non per questo meno
sgomberata: non pare vero, ma si fece una raccolta di firme a loro favore,
un'offesa alla logica, come l'uomo che morde il cane; e con Carlo indicemmo
nelle loro roulotte una conferenza stampa, cui intervennero quotidiani e
televisioni, che stroncò l'insensata persecuzione di vigili e multe. Quel tratto
di via abbandonata che tuttora abitano serenamente da 12 anni, lo ebbero in base
alla prima convenzione del genere sottoscritta con il Comune di Milano. E ci
parve allora che da lì avremmo potuto avviare a soluzione almeno il problema
delle poche famiglie sinte milanesi.
Nel frattempo erano nate le prime cooperative rom, si era formato, sotto la
direzione del professor Angelo Arlati, e con la partecipazione di Giovanna
Lodolo, il Centro Documentazione Zingari, che raccoglieva libri, dischi, video,
documenti; e studenti e assistenti sociali venivano a prendere confidenza con
gli Zingari. E si avviavano i progetti per la mediazione sanitaria, che
in parte ripeteranno l'esperienza di quella scolastica: cosa può essere meglio
di questa per un popolo di bambini?
Mediazione ha il suono d'un termine filosofico, tecnico, professionale.
In realtà è tutte queste cose, ma molto di più. Non posso non ricordare questa
straordinaria invenzione di Carlo, ma non entrerò nella storia delle vicende che
portarono alla nascita di un gruppo di giovani romnià, donne rom,
preparate ad intervenire nelle scuole frequentate da bambini zingari per aiutare
la reciproca comprensione, la reciproca integrazione. Nella sostanza
queste ragazze, conseguita la licenza media, proseguirono con un corso impostato
con la collaborazione di Susanna Mantovani, preside della Facoltà di Magistero,
con un diploma finale abilitante.
Mi limito a ricordare l'essenza, il nucleo creativo di questa tormentata
e sottovalutata –o combattuta?- storia. Le maestrine zingare avrebbero
affiancato le titolari, aiutandole a comprendere i problemi dei bambini rom,
sarebbero intervenute per facilitare il rapporto fra loro e i bambini non-rom –e
perché no? le rispettive famiglie. Ma, soprattutto, sarebbero state un ponte tra
i bambini. E i piccoli rom avrebbero visto per la prima volta una di loro
in una posizione autorevole, non solo per loro stessi, ma anche per gli altri
bambini. E questi per la prima volta si sarebbero trovati davanti una zingara
che era un'autorità. Uno sconvolgimento. Di quelli da cui può cominciare un
nuovo mondo.
Se, e quanto, così sia stato lo lascio ad altri approfondimenti: il ponte era
lanciato, costruito; i ponti son fatti per essere attraversati, per unire rive
diverse. Non è detto che vengano utilizzati. Spesso ci vuol tempo, circostanze,
volontà per compiere la traversata. Da una parte e dall'altra. Ovviamente di
più, per chi è più debole e indifeso, per il quale un ponte potrebbe costituire
anche una minaccia d'invasione, un pericolo, non d'integrazione, di
assimilazione.
Progetti grandi e piccoli, dunque (questo della mediazione trovò interesse
presso altre città italiane e anche all'estero), ma che rimanevano quasi sempre
rinchiusi fra pochi addetti e un manipolo di funzionari e operatori. Bisognava
puntare di più sulla cultura come messaggio, trovare Rom e Sinti che fossero
immagine positiva, ambasciatori del loro popolo, raccontare storia e vicende
umane.
"Per occuparsi di zingari, bisogna essere matti", mi disse Carlo una sera
prima di cena."Tu e io, aggiunse ridendo, ci siamo".
Mancava Fredi Drugman, che aveva un approccio alla realtà dei problemi
diametralmente opposto a quello di Carlo, metodico e preciso, quanto Fredi era
estroso e inventivo. Ma questo divertiva Carlo, che diceva di lui ridendo
compiaciuto, 'è matto come un cavallo'. Con questo matto abbiamo dunque
organizzato la prima uscita pubblica per parlare di Zingari, nientemeno
che in un'aula della Facoltà di Architettura del Politecnico. Fu quel
giorno, credo, una delle prime volte che risuonarono a Milano le musiche
sfrenate e dolenti della tradizione zingara davanti a un pubblico d'una
settantina di studenti, stupiti e attentissimi per quasi quattro ore,
nell'ambito del corso di museografia, di cui Fredi era docente, insieme a
storia, lingua, tradizioni, musica, sotto le ipotetiche specie della creazione
d'un Museo degli Zingari.
Un modello che avremmo poi esportato, presi dal successo, in un corso presso l'Unitre,
in piazza Vetra, che il primo anno, per un solo trimestre (non ci eravamo fidati
ad andare oltre), beneficiò anche dei suoi interventi. Facevamo una lezione, e
la volta dopo la proiezione d'un film.
Il giorno della prima lezione arrivammo davanti all'aula assegnata: piena. Ci
guardammo interdetti, concludendo che avevamo sbagliato porta e lui propose di
andarci a bere qualcosa, tanto era ancora presto. Avremmo trovato poi l'aula
giusta, con i nostri quattro ascoltatori.
Ma proprio lì ritornammo.
Andammo poi avanti con tre fine settimana di musiche, balli e ragionamenti
presso il Barrio's di don Gino Rigoldi, appena inaugurato, e con altre
iniziative, per far conoscere i grandi Rom e Sinti, e il contributo
d'arte e cultura che questo popolo ha dato al mondo: Django Reinhardt, inventore
del jazz europeo, Esma Redžepova, candidata al Nobel, scrittori, poeti, pittori
come Antonio Solaro e Otto Müller, calciatori, naturalmente, uomini politici.
Come succede in tutti i popoli.
Una di queste iniziative vive ancora. Rom e Sinti hanno attraversato negli anni
del nazifascismo uno dei periodi più feroci della loro storia. 600.000 vittime è
una stima al ribasso, perché non sarà mai possibile ricostruire il numero delle
famiglie sterminate sul posto in tutti i territori occupati, come in quelli
degli stati fantoccio o alleati del Reich.
Ma Rom e Sinti non furono vittime inerti. In tutti i paesi in cui operò una
Resistenza organizzata essi ne fecero parte, combattendo e morendo per una
libertà che ancora non li ha raggiunti.
Dopo averne parlato con Carlo, come sempre facevamo, avevo cominciato a indagare
su questo capitolo storico , che non veniva citato in nessuna pubblicazione. Con
le prime scarne notizie raccolte, unite a quelle sullo sterminio, confezionai il
primo volantino, meticolosamente corretto da Carlo, che venne diffuso al corteo
del 25 Aprile 1998, come tuttora succede ogni anno a cura dell'Associazione Aven
Amentza, che prosegue in quell'azione, oltre che nella ricerca sulla
partecipazione di Rom e Sinti alla Resistenza.
Debout les damnès de la terre, dice un canto che abbiamo insieme
tante volte intonato: in piedi, dannati della terra, il cui titolo lo indica
come adatto a tutti i popoli, insomma internazionale. E infatti uno zingaro
disse: seppellitemi in piedi, perché tutta la vita sono stato in ginocchio.
Ma con gli Zingari in genere è difficile: seicento anni di persecuzioni
li hanno convinti che la ribellione non paga.
Eppure qualcosa si muove finalmente anche in Italia. Dopo il periodo delle
piccole associazioni autoreferenziali o familiari, ecco che queste
finalmente si uniscono in una federazione, che ha come valore aggiunto un Rom
e Sinti insieme. E a Milano è attivo un tavolo di associazioni, in Camera
del Lavoro.
Nei suoi ultimi mesi, Carlo affronta instancabile, respingendo la resa al male
che ormai lo consuma, ancora una battaglia, quella fondamentale, per il
diritto. La commissione Affari costituzionali del Senato, nel testo
predisposto per la discussione in aula, ha sgomberato Rom e Sinti
dall'elenco delle minoranze, peraltro malamente tutelate. La legge uscirà così,
pretestuosamente monca, l'anno dopo (L.482/99). Ma lui diffonde subito un
appello per il loro reinserimento, in cui si chiede con lungimiranza di valutare
anche le nuove minoranze, quelle degli immigrati, la cui presenza diventerà
stabile nel paese.
E mentre tratta per la sistemazione dei Rom di Palizzi-Fattori, trasferiti in
blocco dall'altra parte della città, lancia un nuovo progetto: una Casa dei
popoli e delle culture, che ne sia il luogo d'incontro, di valorizzazione e
di conoscenza.
Ma la nuova vecchia politica è quella degli sgomberi, intervento
feroce e stupido, che serve solo a spostare persone e problemi, senza risolvere
nulla: solo nel 2007 a Milano ne sono stati attuati una quarantina. Il campo di
Triboniano viene positivamente sistemato, ma ne viene distrutta l'organizzazione
sociale tradizionale. Per abitare questa terra promessa e recintata bisogna
sottoscrivere un regolamento speciale, che vale solo lì. È un bantustan. Si
parlerà imprudentemente d'un intervento epocale.
Ciò che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti, forse segna davvero una nuova
epoca: quella della tolleranza che non ce n'è mai stata ed ora mostra il
suo vero aspetto: sotto lo zero.
Ora è il tempo della sicurezza, anzi della sua percezione.
Ma non si tratta di morti sul lavoro, di violenze su donne e bambini fra le mura
di casa dolce casa, di arrivare alla quarta o terza settimana, di pezzi d'Italia
in mano alla criminalità. Il pericolo additato per distrarre sono quattro gatti
di Zingari: ricontiamoli, anche se poi le cifre deludono, dov'è l'invasione? ci
son solo problemi trascurati a lungo, cioè le emergenze, che nascono dal
malgoverno.
È stato avviato in questo periodo un processo di degenerazione della società e
della democrazia.
Si è cercato di lasciare nella storia impronte di bambini, non con
l'inchiostro della scuola, con quello della polizia, cui vengono affidate parti
delle politiche sociali. Un inizio subito maldestramente ringoiato, che è
bastato a promuovere il nostro paese da barzelletta a preoccupazione
internazionale. Aspettiamo ancora di vedere qualche sussulto in più
d'indignazione. E invece la prossima primavera rischia di portare nuove
tempeste.
È vero, la storia non si ripete, ormai forse lo imparano anche a scuola. Ma
risuona. Oggi in modo orribile: Berlin ohne Zigeuner, dicevano i
manifesti diffusi nella capitale germanica per le Olimpiadi del 1936, Berlino
senza Zingari. Non sarà in preparazione, insieme a molti affari, una
Mailand ohne Zigeuner per l'Expo 2015?
Perché il problema è sempre lo stesso, immutabile, eterno: non sono gli
Zingari che disturbano –loro sono utili. Non ci piacciono i poveri.
E di questi è pieno il mondo. Sempre di più, sempre più poveri, premono fuori
dalle mura della fortezza di Schengen, come tanti gengiscan disarmati, sbarcano
sugli scogli, sulle spiagge, di cui è ricco, ancora, il nostro paese. Quando ci
arrivano. Di baracche è pieno il mondo. Tempeste e terremoti le distruggono, le
guerre e la fame ne creano altre.
E noi siamo quando va bene solidali. Purché i loro disperati abitanti restino là
dove sono.
Non so cosa avrebbe fatto Carlo davanti a quello che sta succedendo. Ma
non è difficile immaginarlo, perché noi tutti sappiamo che non si sarebbe
arreso. Per questo è importante che oggi siamo qui con lui, perché si continui a
rimanere insieme.
Avete sentito quante volte ho pronunciato il suo nome?
Ernesto Rossi
Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 09:06:37, in Italia, visitato 1895 volte)
Segnalazione da Clochard
Di Vittorio Bonanni su Liberazione del 5 ottobre Intervista a Sandro
Portelli, scrittore e saggista, ripubblicata su
Bellaciao.org
Sandro Portelli non ha bisogno di presentazioni. Scrittore, docente di
letteratura angloamericana all’Università La Sapienza di Roma, già delegato del
sindaco di Roma per la memoria, è uno degli intellettuali più autorevoli per
commentare quello che sta succedendo in Italia nei confronti dei migranti. Da
Parma a Roma, da Milano a Castelvolturno fino agli stadi dove i
calciatori di colore vengono insultati è un susseguirsi di avvenimenti che
stanno trasformando il nostro paese in una vera e propria patria del razzismo.
A lui abbiamo chiesto innanzitutto dove vanno cercate le radici di questi
comportamenti così preoccupanti. "Il razzismo in Italia ha una storia molto
lunga - dice Portelli - abbiamo secoli di antisemitismo che sono culminati nelle
leggi razziali del ’38, e una vergognosa storia di colonialismo particolarmente
becero soprattutto in Etiopia. Proprio da quella avventura coloniale nacquero le
prime leggi razziali che furono alla base della persecuzione degli ebrei".
Come si sviluppa questo sentimento nell’Italia del dopoguerra?
Ricordo che all’inizio degli anni 60 un gruppo di studiosi tra cui Alfonso
Di Nola scrissero un libro in cui parlavano di un razzismo latente nel nostro
paese. Cioè di un razzismo che stava sotto traccia, pronto ad esplodere ma che
non esplodeva per mancanza di un oggetto contro cui scatenarsi. E anche la
coscienza o la falsa coscienza della forze politiche italiane, dal Partito
comunista alla Democrazia cristiana, rendevano indicibili queste cose. Insomma
questi discorsi non li permettevano. Che sotto sotto serpeggiassero al loro
interno è possibile ma erano stigmatizzati.
Lo scenario oggi è mutato radicalmente...
E in peggio. Abbiamo forze politiche che o promuovono attivamente il
razzismo come è il caso della Lega, o, come succede negli altri casi, lo
coccolano negando che esista. Ed è questa la cosa straordinaria. Ogni volta che
succede qualche cosa si sente dire sempre "è grave ma il razzismo non c’entra".
Dunque non c’è più un tappo che renda indicibili certe cose e contemporaneamente
ora c’è anche l’oggetto contro cui scatenarsi, cioè l’immigrazione.
Veniamo ora alle responsabilità della sinistra moderata. All’indomani della
morte della signora Reggiani anche Veltroni e il Partito democratico hanno
cavalcato la pericolosissima tigre del razzismo, additando praticamente tutta la
comunità dei rumeni come un potenziale covo di assassini. Ora le cose stanno
cambiando ma intanto il danno è stato fatto. Che cosa ne pensa?
Io non so ancora se è stato un calcolo ipocrita a fini elettorali o se
veramente se ne sono usciti con naturalezza. Quello che so è che tatticamente e
a fini elettorali è stato un errore enorme. Perché ogni volta che tu vai
incontro ai temi della destra non fai altro che dire: "La destra ha ragione". E
siccome la destra su queste cose è sempre più avanti e più credibile di noi non
fai altro che portare consenso e voti a loro. Se Veltroni sostiene che bisogna
cacciare i rumeni e vigilare su di loro in quanto tali o portare i rom fuori dal
raccordo anulare, fa un regalo assoluto all’avversario. La sinistra deve avere
dei modi propri di affrontare un bisogno di sicurezza, peraltro in parte
indotto. In passato da noi sono venute molte idee. Penso ad un’altra emergenza
più reale, come quella degli anni 70, e alla risposta data con l’Estate romana.
Oggi nel deserto di idee a sinistra, le uniche proposte sul campo sono quelle
della destra. La quale è sempre più credibile.
Come si può legare questa deriva con la crisi della pregiudiziale
antifascista?
Innanzitutto un antifascismo che non sia antirazzista non esiste. E dunque
dobbiamo chiederci quali sono i principi e i valori che ci ha lasciati
l’antifascismo, come l’uguaglianza, la partecipazione dei cittadini, il rifiuto
della guerra, la libertà di parola e appunto il rifiuto del razzismo. Insomma i
valori che troviamo nella Costituzione. E ora che questi valori sono tutti sotto
attacco, l’antifascismo non si può ridurre alle polemiche, peraltro necessarie,
su quello che è successo negli anni 30 o negli anni 40. Si deve, al contrario,
tradurre in qualcosa di positivo. Quando Fini dice che qualsiasi democratico
deve essere antifascista bisogna rispondere che chiunque sia democratico
dovrebbe rifiutare la schedatura dei rom o il lodo Alfano che viola
l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, difendere la libertà di stampa
e rifiutare di far entrare l’Italia nelle guerre di Bush. Non è un caso che nel
documento programmatico del Pd l’antifascismo se lo fossero scordato.
Fuori tema, ma non troppo, un commento sul film di Spike Lee su Sant’Anna di
Stazzema e le polemiche che sono scoppiate...
Intanto dico che il film non l’ho ancora visto. E comunque voglio
sottolineare due cose: mi ha molto colpito la lettera che Spike Lee ha
indirizzato a Bocca, uscita su Repubblica , dove dice "immagino che le ferite
del fascismo in Italia non si siano ancora rimarginate". Ma come può dire
"immagino"? Ma non doveva informarsi prima? Questa è un’arroganza tipica di
tanta cultura americana per cui tu arrivi e metti le mani su una realtà che non
conosci veramente. Voglio poi dire un’altra cosa: se uno realizzasse una
versione fiction della strage delle bambine ammazzate da una bomba razzista a
Birminghan nel ’63 e questo film dice, inventandoselo, che è vero che sono stati
i razzisti ma il fatto è partito da un tradimento di un attivista per i diritti
civili; oppure che le bambine sono state ammazzate perché Martin Luther King ha
fatto incazzare i razzisti e poi non le ha protette io credo che Spike Lee
direbbe che questo è un film razzista. Ora nel suo caso il film non è certamente
razzista come intenzione perché rivaluta il ruolo dei soldati afro-americani
nella Seconda guerra mondiale.
Però lui non si rende conto che facendo una cosa, peraltro inventata
completamente, che può essere strumentalizzata dalla destra razzista in questo
paese dà armi dialogiche ed ideologiche a coloro che fomentano il razzismo nei
confronti dei suoi fratelli africani e immigrati in Italia. E l’intenzione
antirazzista sui soldati americani rischia di tradursi indirettamente e
paradossalmente in un argomento in più dato alle forze razziste in questo paese.
Per finire ripeto ancora: il film andrebbe visto prima di esprimere un giudizio.
Ma se nella pellicola c’è questo tema per cui i partigiani erano irresponsabili
perché ponevano le comunità al rischio di rappresaglie e l’invenzione per cui la
strage a Sant’Anna è avvenuta perché un partigiano ha tradito, tutto questo è
molto grave ed è il frutto dell’ignoranza di chi si sente onnipotente.
Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 09:29:51, in Europa, visitato 1585 volte)
Segnalazione di Roberto Malini
Da
EL PAIS.com MIGUEL MORA - Roma - 06/10/2008
Circa 50.000 persone, immigrati e cittadini italiani, hanno manifestato
assieme questo fine settimana contro la xenofobia e il razzismo. A Caserta,
Roma, Milano, Parma e Ancona, convocati da piccoli partiti della sinistra
extraparlamentare, c'era gente di tutti i colori, grida contro la Camorra,
appelli al Governo perché freni il clima di intolleranza.
Però la grande novità delle ultime ore è che il montare xenofobo che vive il
paese inizia a preoccupare anche una parte della destra. E' stato Gianfranco
Fini, leader della postfascista Alleanza Nazionale e presidente della Camera dei
Deputati, il primo tra le fila del Popolo delle Libertà nel riconoscere che i
recenti attacchi agli immigrati mostrano che l'Italia vive "un pericolo di
razzismo e xenofobia che sarebbe sbagliato negare".
Secondo Fini, la politica italiana deve tenere la "guardia alta" perché "il
tema del razzismo segnerà il nostro impegno incluso durante i prossimi anni".
Fini ha lanciato l'idea di creare un Osservatorio contro il Razzismo nel
Parlamento, però ha chiesto che si agisca "con tutte le cautele" in casi come
quelli della donna somala, sposata con un italiano, che venerdì ha denunciato di
essere stata denudata e umiliata da diversi poliziotti nell'aeroporto di
Ciampino.
La prudenza di Fini contrasta con lo stile impetuoso della Lega Nord, sua
compagna di coalizione nel Governo. Il Ministro degli Interni, Roberto Maroni,
ha negato che l'Italia viva un'emergenza razzista, e ha considerato che gli
episodi delle ultime settimane siano solo episodi, appunto, e non un fenomeno
generalizzato di cui preoccuparsi. "Ci sono episodi, che devono essere puniti e
lo saranno, come ci sono dei montaggi, per esempio il caso della donna somala,
che saranno puniti nello stesso modo", ha detto Maroni, che ha annunciato che
chiederà i danni alla somala denunciante. Secondo il ministro, "la polizia si è
limitata ad applicare la legge con rigore".
E' entrato nel dibattito anche il presidente del Senato, Renato Schifani, che
in un curioso esercizio ha accusato il Partito Democratico di avvelenare il
clima politico, ha negato che in Italia ci sia razzismo - "non può esistere, non
è nel nostro DNA" - , ed ha riconosciuto che "una parte massimalista" del paese
ha reagito "in maniera xenofoba" contro fatti come l'omicidio della signora
Reggiani, che la polizia ha attribuito ad un gitano rumeno. Schifani, in
qualsiasi caso, si appella all'unità per affrontare il tema. "Contro la mafia la
politica non si divise, non deve farlo nemmeno col razzismo".
Prima di questo incrociarsi di opinioni, sabato, il presidente, Giorgio
Napolitano, ed il papa Benedetto XVI hanno chiesto, durante un incontro
celebrato nel Quirinale, che la solidarietà ed i rispetto della dignità umana
presiedano la relazione con gli immigranti.
L'OnG EveryOne, nel frattempo, ha inviato ieri a diverse autorità spagnole ed
al Parlamento Europeo una petizione di protezione umanitaria urgente per diverse
famiglie rumene di etnia gitana che risiedono a Pesaro EveryOne afferma che le
autorità italiane da mesi continuano a perseguire e negare l'accesso alla sanità
e ad una vita degna per questa piccola comunità in cui diverse persone soffrono
di gravi infermità.
Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 23:23:21, in blog, visitato 2002 volte)
Un osservatorio sul razzismo
Gad Lerner mette in fila con preoccupazione quelli che chiama "scricchiolii
della pacifica convivenza" e invita i Presidenti delle Camere a promuovere un
osservatorio parlamentare sul razzismo...
L’incubatrice del razzismo
Colonia, 20 settembre: divieto di una manifestazione razzista. Venezia, 15
settembre, esempi di oratoria all’annuale raduno della Lega: "Macché moschee,
gli immigrati vadano a pregare e pisciare nel deserto" (Giancarlo Gentilini, che
rivendica la primogenitura come "sindaco-sceriffo" d’Italia);...
Il razzismo nelle "sfumature" di chi guida l'Italia
Il razzismo è un tema grave e delicato che va affrontato senza divisioni o
contrapposizioni politiche. Lo ha sostenuto il presidente del Senato, Renato
Schifani, intervistato nel salotto politico di "Domenica in", condotto da Monica
Setta su Raiuno...
Roma, grande successo per il volume «Romanó Drom»
Grande successo per la presentazione in prima assoluta della raccolta di
partiture musicali per orchestra sinfonica del musicista compositore Alexian
Santino Spinelli dal titolo «Romanó Drom» (Carovana Romaní), svoltasi a Roma
presso la...
L'Italia è razzista
Da alcuni giorni tutti i media nazionali discutono sul tema del razzismo. Gli
eventi delle ultime settimane hanno scalfito quell’invisibile muro che permea la
società italiana. In molti stanno cercando di chiudere questa scalfittura con le
solite considerazioni: sono fatti isolati, sono...
Slovacchia, la xenofobia è un problema irrisolto nell'Unione europea
"Nell’Unione Europea le frontiere nazionali diventeranno virtuali: vedrete che
questo risolverà anche i problemi delle minoranze etniche come quella ungherese
vivente in Slovacchia." – queste erano le profezie ricorrenti di politici,
esperti e intellettuali alla vigilia dell’ampliamento dell’UE del 2004...
Ferrara, ma i Rom non fanno paura
Una questione spinosa quella dei rom di cui «si è troppo scritto e parlato
male», come ha detto introducendo gli ospiti il direttore di Internazionale
Giovanni De Mauro. Ospiti guidati, più che moderati, da Gad Lerner che con
interesse e consapevolezza ha affrontato un tema difficile...
Reggio Calabria, l'Opera Nomadi interviene sulla proposta di legge sulla casa
Oggi la questione della casa, a causa dell’aumento degli affitti e della crisi
dei salari, rappresenta uno dei problemi sociali più importanti che interessa
una larga fascia della popolazione non abbiente...
Roma, nuova udienza del processo Reggiani
«Il volto insanguinato, le mani piene di graffi». Così nell'udienza di lunedì 6
ottobre del processo per l'omicidio di Giovanna Reggiani, aggredita e uccisa il
30 ottobre scorso nei pressi della stagione ferroviaria Tor di Quinto a Ro...
Genova, una compagnia teatrale di Sinti e di Rom
Il suo nome è Sejad, ma tutti lo chiamano Sergio. Molto teso su una sedia,
racconta una favola capovolta sull’ultima “zingara” di Auschwitz, dove i cattivi
hanno gli occhi azzurri e le mani pulite, mentre i buoni hanno gli oc...
Cattolici, dalla delega in bianco ai "peccati di omissione"
Scrive padre Sorge: «La destra ha avuto buon gioco nel presentarsi come garante
dell'ordine pubblico, promettendo "pugno di ferro" e "tolleranza zero". Se è
stato...
Previsioni del tempo
Le borse non la smettono di crollare, il che fa tanto previsioni del tempo
[pessime]. A Vicenza la gente va a votare, più di quanto ha fatto in molte
occasioni passate, per un referendum non ufficiale [proibito dallo Stato
italiano], e anche questo fa...
Roma, siamo arrivati ai punti (permesso di soggiorno) e ai referendum ("nomadi")
Come per la patente, la Lega propone il permesso di soggiorno a punti per gli
immigrati, con revoca in caso di violazioni della legge. E inoltre gli
emendamenti del Carroccio al ddl sicurezza, assegnato alle commissioni Affari
costituziona...
Chiari (BS), i cinque bambini fantasma
Ci sono cinque bambini che hanno una colpa. Quella di essere nomadi sinti nati
in Italia. E c'è un'amministrazione municipale senza cuore che li ha messi nel
mirino fino a rendere loro impossibile un vita normale...
Razzismo, FaceBook smentisce Maroni
«Basta poltrire davanti al computer tutto il santo giorno! Basta con la scuse,
non ci sono più né “se” né “ma”, il bene della comunità non può più aspettare!!!
BRUCIAMO TUTTI QUEI MERDOSI UNTERMENSCHEN ZINGARI!!!», «ovunque c’è uno zingaro
ci deve essere una molotov!!!...
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