Dal 16 al 28 settembre al Teatrolospazio di Roma, Via Locri 42/44 Tel.+39 0677076486 +39 392 9583409 ; info@teatrolospazio.it
Questo spettacolo è nato dall’incontro di due "ex ragazze dell’Est", l’attrice Dijana Pavlovič e la regista Tatiana Olear. Riflettendo insieme sulle esperienze vissute direttamente o sui racconti di amiche e conoscenti, nella diversità dei destini e dei percorsi hanno ritrovato molti punti in comune, che hanno a che fare con la situazione di stranieri in una diversa società. Ciò che accomuna le diverse esperienze è il punto di vista, mai "interno", e il costante dubbio: abbiamo fatto bene a emigrare? Come sarebbe stata la nostra vita altrove? Con cosa possiamo identificarci? Chi siamo? Intorno a cosa si struttura la nostra identità? Intorno a una qualche ideologia? A una fede religiosa? Alla nostra professione? A ciò che facciamo nella vita?
Queste riflessioni hanno trovato un esito nel testo Una ragazza d’oro (premio speciale della IV edizione del premio letterario nazionale "Lago Gerundo"), scritto da Tatiana Olear. È la storia di una bambina, poi ragazza, poi donna zingara, un’estranea persino nel suo paese d’origine (il personaggio è interpretato da Dijana Pavlovič). In una rapida sequenza di dieci quadri la osserviamo in paesi, contesti sociali, circostanze biografiche diverse: in una repubblica socialista al momento della morte del leader politico, in un giovane paese democratico piombato in piena e drammatica crisi economica che sfocia in una sanguinosa guerra civile e infine in un paese europeo, sotto il timore del terrorismo islamico. Oltre che una migrazione nello spazio e nel tempo, quello di Zlata (tradotto, il suo nome significa "ragazza d’oro") è anche un viaggio interiore alla ricerca della propria identità e del senso della vita. I suoi "momenti di verità" avvengono grazie ad alcuni significativi incontri con persone, che per lei diverranno figure di riferimento nella vita.
Lo spettacolo ha debuttato nel 2006 al teatro Zazie di Milano diretto dall’autrice. Nel 2007 ne sono stati rappresentati alcune scene in occasione della presentazione del libro, pubblicato da Apollo e Dioniso Edizioni alla biblioteca comunale di Dergano-Bovisa a Milano, grazie al prezioso sostegno del centro culturale "Tenda" di Milano, che promuove gli autori stranieri di recente emigrazione in Italia.
Scritto e diretto da Tatiana Olear Con Dijana Pavlović E con Ambra D’Amico, Nicola Ciammarughi e Tatiana Olear Musiche originali di Nicola Ciammarughi e Tatiana Olear, eseguite da Karina Arutyunyan, Nicola Ciammarughi, Tatiana Olear e Dijana Pavlović
L’autrice (Tatiana Olear – ebrea russa, ex attrice del Teatro Maly di Lev Dodin, con cui si è diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica di San Pietroburgo e in cui spettacoli Gaudeamus, Claustrofobia, Giardino dei ciliegi ha avuto parti rilevanti. Dal 1996 vive in Italia lavorando come attrice, regista, autrice di testi teatrali e adattamenti. Insegna alla Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi, conduce i workshop di recitazione e regia al Royal National Theatre di Londra e al Abbey Theatre di Dublino.)
Quando tre anni fa stavo scrivendo Una ragazza d’oro, la mia intenzione era parlare della crisi d’identità di una persona che vive nel mondo postmoderno. Nei tempi torbidi ed incerti, quando molte sicurezze tradizionali sono venute a mancare, cosa ci è rimasto per descrivere la nostra personalità? Quando cominciano a crollare imperi ed ideali, imperversano flussi migratori e guerre civili, tornano in auge religioni, disoccupazione e miseria costringono a cambiar mestiere e il cuore sceglie nuovi compagni e compagne per la vita? L’elenco di aggettivi con cui ci definiamo s’allunga a dismisura e a volte contiene le voci del tutto contraddittorie. Eppure rimane un nocciolo, un nucleo, un qualcosa che ci fa distinguere tra milioni di altre creature che popolano questo pianeta. La mia decisione di far diventare la protagonista un’immigrata era dovuta al fatto che si trattava di un percorso che conoscevo e potevo descrivere con precisione e onestà. Il fatto che fosse una zingara doveva rafforzare la metafora di una vita al di fuori degli schemi. Volevo raccontare la transizione del mondo tradizionale a quello postmoderno. Volevo raccontare la storia della mia generazione.
Due anni fa avevo messo il testo in scena a Milano con Dijana Pavlović, un’attrice rom serba nei panni della protagonista Zlata, la zingara nata in un paese comunista, il cui nome in traduzione vuol dire "una ragazza d’oro". Lo spettacolo fu accolto dal pubblico e dalla critica con simpatia e commozione. Molti tra gli spettatori (non necessariamente immigrati) si riconoscevano almeno in parte nella travagliata vicenda della ragazza alle prese con il continuo reinventarsi la vita.
Pochi giorni dopo la fine delle repliche scoppiò "l’emergenza rom", alla quale seguì purtroppo una crescente ondata di xenofobia. Dijana Pavlović divenne una mediatrice culturale e, proprio come il suo personaggio, entrò in politica. Stimo immensamente l’energia e la passione che mette nel difendere coloro che sono stati meno fortunati di noi.
Dopo due anni riprendo questo spettacolo che per me ha acquistato un significato nuovo. Ora la questione dell’identità che ponevo prima, mi sembra quasi ridicola. Se tre anni fa non trovavo le parole per definire chi sono, ora mi sembra che una definizione per me, Dijana e molti altri sia stata trovata: siamo stranieri, siamo altri, siamo "loro".
Non avrei mai pensato di ricominciare a ragionare in termini "noi" e "loro". Non pensavo più di dover mai dire ciò che sto per dire adesso. Riprendo questo spettacolo per ricordavi che non siamo dei mostri. Siamo solo persone in balia dei grandi venti della Storia. Il mondo ci costringe a cambiare eppure rimaniamo sempre quelli di prima. Ognuno di noi ha un singolare cammino alle spalle, una propria storia, spesso per niente facile, a volte tragica. Siamo persone. Siamo tutti esseri umani.
L’attrice protagonista ( Dijana Pavlović – romnì serba, si è diplomata come attrice alla Facolty of Dramatic Arts di Belgrado. In Italia dal 1998 ha lavorato come attrice di teatro con L. Loris, R. Sarti, G. De Monticelli, R. Trifirò, E. De Capitani, M. Conti, in televisione e al cinema. È una mediatrice culturale nelle comunità rom italiane. È stata candidata al parlamento nella lista con la Sinistra Arcobaleno, tiene una propria rubrica sull’Unità.)
Quando con Tatiana Olear più di due anni fa abbiamo deciso di mettere in scena Una ragazza d’oro, certo non potevo immaginare come sarebbero andate le cose in questo Paese. Allora lo spettacolo era solo una riflessione sull’essere considerata una persona diversa ovunque e in qualsiasi luogo e insieme una ricerca d’identità e un bisogno di riconoscersi in un’etnia, in una ideologia, in una religione… Anche il mio vissuto personale da Romnì era concentrato su questo, su cosa per me significava essere "zingara" e di come questo ha influenzato la mia vita. Quando avevo sette anni una compagna di classe per gelosia mi aveva detto "… ma sei sempre una sporca zingara e tale rimarrai!" e per me quel momento ha significato il crocevia della vita, il momento nel quale ho preso coscienza della mia diversità e nel quale ho deciso di combattere per essere migliore degli altri per essere considerata degna di rispetto. Allora avevo deciso di combattere contro ogni forma di disuguaglianza e di persecuzione e specialmente quelle su base etnica.
Ma oggi, nell’Italia democratica e civile, nella bella e ricca Milano dove vivo, dopo aver recitato in Una ragazza d’oro, ho dovuto fare uno sciopero della fame perché quattro bambini rom non dormissero al freddo sui prati sotto la pioggia, perché erano espulsi dal dormitorio pubblico senza motivo e con cattiveria gratuita, mentre una raffica di sgomberi impedisce a questi bambini, a queste donne , a questi uomini di iniziare qualsiasi processo di integrazione sociale, per arrivare alle schedature in base etnica per creare un archivio parallelo, quello dei Rom. Si prendono addirittura le impronte digitali a tutti i bambini rom e i giornali escono con i titoli in prima pagina:"Nati per rubare".
Io avevo pensato di aver subito forme di discriminazione nel mio paese, ma adesso mi sto rendendo conto di aver avuto una infanzia felice e che quello che ho subito è nulla nei confronti di quello che subiscono quotidianamente i bambini rom e in generale gli stranieri in questo Paese. Per questo, mai come prima, adesso è importante fare Una ragazza d’oro, perché dopo tante manifestazioni, iniziative, impegno politico e sociale, ho capito una cosa: questa battaglia per essere vinta non può essere che una battaglia culturale.
I have really enjoied this journey in to the recent history. Martin Crimp
Il testo dà conto delle esperienze avventurose, spesso drammatiche, della generazione dell’ultimo quarto del Novecento e degli inizi del Terzo Millennio…. Il candore con cui l’autrice trasforma la dura vita in una sorta di reve éveille, in una specie di favola librata sopra le ingiustizie e le sofferenze, potrebbe sembrare ingenuo. E invece questa favola, che Tatiana racconta a se stessa per non spezzare il mistero e la gioia di vivere, è un concreto messaggio di speranza. Per lei, per i giovani, per tutti. Ugo Ronfani
Forse perché conosco poco quella parte del mondo che chiamano Est, mi colpisce che Dio e la religione siano così presenti nel testo. È perché non la ricchezza ma la povertà fa pensare a Dio? O perché – più probabilmente – Tolstoi e Dostoevskij non sono così lontani come lo è per noi Manzoni? Giuseppe Di Leva
Tatiana Olear cerca di esprimere i disagi e le contraddizioni di un'epoca che dalla fine del Novecento si riflette nei nostri giorni. L'interpretazione sua e di Diana Pavlovic è molto realistica e non sempre teatrale, tuttavia efficace nell'esprimere una condizione a cui troppo spesso in un passato più lontano si sono trovati milioni di italiani. Claudio Elli
insieme all’autore Pino Petruzzelli
intervengono: Gad Lerner e Laura Marinoni
Difficile raccontare la storia di un popolo dalle tradizioni e dal vissuto
orali, difficile stabilire il senso e le origini del nome con cui conosciamo, o
meglio non conosciamo, questa cultura. Pino Petruzzelli in Non
chiamarmi zingaro (Chiarelettere) non ci racconta la storia degli
zingari ma, tramite la raccolta di una serie di testimonianze, riesce a far
cadere le nostre certezze, per cui iniziamo a dubitare del termine zingaro sin
dalle primissime pagine. Le voci raccolte riprendono uno spazio che è stato loro
lungamente rifiutato e che continua a esserlo, dalla negazione del genocidio
commesso contro il popolo rom nella II Guerra Mondiale fino ad arrivare a oggi,
alle leggi che approva l’ultimo nostro governo e prima ancora, dal 1500 in
avanti, da quando abbiamo testimonianza delle loro interminabili persecuzioni. E
loro vengono perseguitati e scappano. Scappano da sgomberi, incendi, cacciate
scandite da slogan vergognosi, minacce e violenze. Storie scomode, che nessuno
vuole riconoscere. E chi difende gli zingari? Nessuno. Intervengono insieme
all’autore Gad Lerner e l’attrice Laura Marinoni.
Tom Welschen mi suggerisce questo post di
Viadellebelledonne (Io trovo l'uso dell'aggettivo "romantico" un trucco per
trattare i Rom come una categoria aliena, esotica, per forza distante dalla
nostra vita. Altra cosa: un Rom definirebbe mai se stesso "romantico" o è una
definizione che noi gli abbiamo appiccicato? Comunque, non è giusto giudicare un
libro dal titolo o dalla copertina: leggendo la recensione che segue, si trovano anche molte
considerazioni interessanti e condividibili. Fatemi sapere)
Chi sono veramente i rom? Il diario edito da Magi svela la vera identità di
una popolazione umiliata, bistrattata e dalle tradizioni incomprese. Un popolo senza patria, dalle origini avvolte nel mistero, che mantiene un senso
estremo dell’unità e un grande rispetto delle tradizioni. Sono questi gli
elementi che contraddistinguono la peculiare identità dei rom, i quali affollano
i paesi europei da tempi immemori ma che continuano, ancora oggi, a richiamare
su di sé pregiudizi che alimentano il disprezzo e in alcuni casi addirittura
l’odio degli autoctoni. Ecco, allora, che emerge la necessità urgente di fare
chiarezza e gettare luce su un mondo troppo spesso misconosciuto e frainteso, in
modo tale da favorire il rispetto reciproco e l’integrazione. È proprio questo
l’ambizioso obiettivo del libro scritto da Daniela Lucatti, Romantica gente
(Edizioni Magi). Si tratta di un prodotto letterario dalle caratteristiche
inconsuete, dato che non assume la forma tradizionale del romanzo e neppure
quella del saggio. Si presenta, invece, come un diario, grazie al quale
l’autrice, una psicologa, rievoca e ricostruisce i momenti salienti del suo
lavoro come referente presso il Centro informazione e consulenza cittadini
extracomunitari e rom del comune di Pisa, sua città natale. È nel corso di
questa importantissima esperienza lavorativa che l’autrice entra per la prima
volta in contatto ravvicinato con la comunità di etnia rom e impara a conoscerne
la cultura, le tradizioni, le abitudini, i difetti e gli straordinari pregi. Il
suo contributo letterario è pregnante, proprio perché nasce dall’esperienza
diretta sul campo, maturata giorno dopo giorno e a prezzo di notevoli difficoltà
per ben undici anni, contrassegnati dalla soddisfazione di avere fatto tutto il
possibile per migliorare le condizioni di vita di chi stenta a essere
riconosciuto e accettato.
Chi sono realmente i rom? Per sradicare il pregiudizio e il sospetto dal nostro cuore è fondamentale,
innanzitutto, conoscere e comprendere l’identità di coloro che siamo abituati a
tacciare sbrigativamente come “diversi”. La confusione e l’ignoranza sono
accresciute dalla mancanza di libri scritti dai membri di questa popolazione,
testi che ci raccontino il loro universo, le loro individualità e le loro
storie. Ciò accade perché quella romanì è una cultura prettamente orale, che
solo negli ultimi anni sta assistendo a qualche rara eccezione. Inoltre, i rom
dislocati in Occidente sono generalmente frequentati soltanto da operatori
pubblici e del privato sociale, i quali danno loro assistenza, o da
rappresentanti di confessioni religiose disparate, che tentano di fare
proselitismo, per non parlare dei molteplici criminali, che se ne servono
facendo leva sulla povertà per i loro sporchi traffici. Questa situazione non
produce altro effetto se non quello di incoraggiare i sentimenti di timore,
preconcetto e razzismo, ulteriormente accresciuti dai più recenti casi di
cronaca nera, che hanno ricoperto i rom di pubblicità negativa. Ma non si può
certo fare di tutta l’erba un fascio. Tocca, dunque, chiederci chi siano
realmente gli appartenenti al popolo romanì. In primo luogo, dobbiamo chiarire
che “rom” significa “uomo” e che con questo termine si fa riferimento a coloro
che appartengono alle comunità di lingua e cultura romanes, giunte per la prima
volta in Europa all’inizio del XV secolo. Si tratta di una popolazione
indoariana, costituita da cinque grandi gruppi: rom, sinti, manouches,
romanichals e kalé. Ciascun raggruppamento è costituito da numerosi sottogruppi
contrassegnati da caratteristiche economiche, etiche, linguistiche e
socioculturali particolari, sebbene vi sia comunque un’omogeneità sostanziale.
In tutto il mondo si contano circa dodici milioni di individui (otto milioni
circa in Europa e quasi centoventimila nel nostro paese, di cui l’ottanta per
cento di antico insediamento e con cittadinanza italiana). Essi rappresentano
una nazione senza stato e senza territorio e sulle motivazioni del loro esodo
esistono solo supposizioni non suffragate da dati di fatto. Si crede provengano
dalle regioni a Nord-Ovest dell’India (Pakistan, Panjub, Rajasthan, Valle del
Sindh) e pare che abbiano intrapreso un percorso storico comune (inizialmente
raggiungono l’Armenia, l’Impero bizantino e la Persia, per poi distribuirsi nei
paesi europei e infine allontanarsi ulteriormente a causa delle deportazioni
nelle colonie delle potenze europee in Africa, America e Australia).
Il termine con il quale noi occidentali usiamo definire le popolazioni romanes è
“zingari”, che deriva dal nome di origine orientale di una setta eretica, quella
degli athingani, che, a partire dall’VIII secolo, si introdussero nell’Impero
bizantino. L’accezione fortemente negativa del termine “zingari” deriva proprio
dalla cattiva fama di cui questa setta, confusa con la comunità romanì, godeva,
essendo dedita all’arte della magia. Un altro nome con il quale vengono
designati i rom è “nomadi”, anche quando questi sono stanziati nel territorio da
secoli. Dobbiamo, inoltre, tenere in considerazione che la continua mobilità che
ha caratterizzato la popolazione romanì in Europa e nel mondo non è stata il
frutto di una scelta culturale, bensì la conseguenza di politiche inospitali e
repressive (basti pensare alla persecuzione di cui fu fatta oggetto dai
nazisti), di cui la creazione dei campi nomadi costituisce solo l’ultimo
baluardo. In questi luoghi, infatti, si è determinata una vera e propria
situazione di segregazione razziale, una ghettizzazione che spinge i rom al
degrado sociale e culturale e all’impossibilità dell’integrazione, se non a
prezzo di un’assimilazione forzata che produce l’annientamento della propria
peculiare identità.
Storie toccanti di uomini e donne che lottano per un futuro migliore
Il diario scritto dalla Lucetti tratteggia, attraverso la ricostruzione dei
giorni di servizio, vite umane autentiche che non vogliono arrendersi
all’apartheid a cui sono costretti e che, giorno dopo giorno, tentano di
costruire per se stessi, e in particolare per i propri figli, un futuro più
roseo, improntato all’integrazione e al multiculturalismo.
Vi è Argia, dai capelli brizzolati legati a coda di cavallo e l’andatura
tipicamente maschile, donna che incute un senso di rispetto profondo, come se
fosse un’anziana, pur non essendolo realmente. Sarà per il colore dei capelli o
per il viso provato, ma soprattutto per la sua straordinaria saggezza, che le
consente di fronteggiare con estrema determinazione anche le difficoltà più
ardue. Argia si reca al Centro informazione e consulenza cittadini
extracomunitari e rom per poter riavere la sua casa, una stanza nel cimitero, da
cui è stata mandata via, costretta a vivere in una precaria roulotte infestata
da “creature minacciose”.
Poi c’è Nariba, la quale non vuole che i suoi figli vengano inseriti nella lista
dei bambini rom, perché «non sono “zingheri” come quelli del campo». La donna è
disposta a rinunciare agli aiuti previsti per coloro che ne fanno parte, purché
le sue creature non diventino oggetto del dileggio, del disprezzo e del
pregiudizio razzista dei compagni di scuola e dei borbottii infastiditi e
intolleranti dei loro genitori. Malgrado un marito sfaccendato e una vita ben al
di sotto delle aspettative di gioventù, Nariba si fa in quattro per garantire ai
suoi bambini un’esistenza serena e dignitosa e per fare in modo che non nutrano
complessi di inferiorità nei confronti dei loro coetanei.
Il dramma di Lukia è, invece, determinato dal fatto che in un periodo di grandi
difficoltà le è stato sottratto il figlio, rinchiuso in un Istituto per minori.
Da mesi non vede il suo bambino e non le è neppure consentito di parlargli per
telefono. Nonostante un marito violento e innumerevoli sacrifici, la donna non
si arrende e lotta disperatamente per il bene più prezioso della sua esistenza.
Trascorsi «i primi tempi di studio reciproco e di estraneità nei quali viene
mantenuta una certa distanza valutativa», si creano splendidi rapporti di
vicinanza emotiva e confidenza tra l’autrice e queste donne tormentate, eppure
così «piacevoli e intelligenti». È Lucatti stessa a raccontarci, non senza una
punta di malinconia e commozione, quanto sia importante, anche nell’ambito
lavorativo, instaurare relazioni autentiche, improntate alla reciproca
comprensione. Ci svela, infatti: «Parlare con le donne straniere è una cosa che
ogni volta mi fa sentire più ricca e le rom in particolare mi lasciano dentro un
senso strano, quasi un antidepressivo. Nonostante il dolore che riescono a
trasmettere, mantengono sempre qualcosa di estremamente vitale che si attacca
addosso a chi si permette di lasciarlo entrare, non ponendo nel mezzo il muro
del pregiudizio». E ancora: «Nei momenti di più acuta tristezza incontrarli mi
calma, mi restituisce un senso. Sento che nonostante tutti gli sforzi che fanno
per riuscire ad assicurarsi la sopravvivenza non sopravvivono ma vivono comunque
e a qualsiasi costo. Come se non perdessero mai, anche nel dolore più grande,
questo senso del vivere nel quale riescono a includere tutto senza lasciarsi
portare via».
Romantica gente umiliata per il colore della pelle e l’aspetto dimesso
Il rapporto speciale e simbiotico con le “sue donne rom” fa emergere nell’animo
sensibile della scrittrice un profondo senso di colpa e di vergogna per la razza
a cui appartiene, la quale costringe i “diversi” a una vita che non è degna di
essere definita tale, caratterizzata da ingiustizie, disparità di trattamento,
umiliazioni e torti, “giustificati” unicamente dall’appartenenza a un’etnia
differente.
La forma di diario scritto in prima persona mette in evidenza i sentimenti e le
emozioni provati dall’autrice del libro nei suoi undici anni di lavoro
entusiasta presso il Centro, durante le innumerevoli battaglie (alcune perse con
onore, molte altre vinte con soddisfazione) condotte fianco a fianco a questa
umanità bistrattata e, nonostante ciò, mai fiaccata del tutto. È proprio questa
carica di straordinaria empatia, che filtra da ogni pagina di Romantica gente, a
costituire il principale punto di forza e di attrattiva di un libro, scritto in
uno stile semplice, asciutto e diretto, che si propone l’intento di instillare
nelle menti dei lettori il concetto per il quale professionalità significa anche
umanità e compartecipazione e, soprattutto, lo scopo di contribuire a condurre i
rom fuori dai campi, «intesi simbolicamente come recinti pregiudiziali
all’interno dei quali sono collocati». Speriamo davvero che l’obiettivo venga
centrato.
Associazione culturale MARGINeMIGRANTE 'ROMANCES' Sabato 20 Settembre
2008,
Teatro Monteverdi, Cremona ore 21.00
Le storie raccolte durante una ricerca condotta in un campo nomadi di Padova
sono il tessuto intorno a cui si intrecciano le maglie della drammaturgia. Come
in un gioco di bambini, il gruppo di sei attori in scena crea e distrugge
frammenti di mondi: emozioni, situazioni ed immagini si sviluppano in una
concatenazione continua per dare vita ad una narrazione collettiva,
rielaborazione delle storie raccolte.
Dagli argini della città le storie raggiungono il centro come sassi leggeri che,
trascinati dal flusso, arrivano a destinazione carichi di esperienza. Ogni
storia è un viaggio, ogni viaggio è una pietra che lanciata nell'acqua si
moltiplica in tanti anelli per intersecare altre storie. La pietra si deposita
poi sul fondo, aggiungendosi alle fondamenta, per modificare un po' il corso
degli eventi.
Piccoli frantumi di vita diventano così schegge che generano spiragli nelle
categorie condivise, creano spifferi pungenti ed inafferrabili che
destabilizzano le categorie per dare vita a nuovi immaginari in continua
metamorfosi.
Lo spettacolo Romances è uno dei risultati del progetto Rappresentazione al
limite, finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del programma Youth in
Action, promosso dal gruppo informale AltreLenti dell’Associazione Culturale
Marginemigrante. Tema del progetto è l’indagine dello stereotipo della figura
dello “zingaro”, attraverso uno studio approfondito delle realtà rom e sinti
presenti in alcune città venete.
La necessità di approfondimento di questa tematica nasce dalla constatazione di
una distanza, di un vuoto relazionale generato da entrambe le parti da un
pregiudizio.
Il racconto inizia con il viaggio che Mari, il fratello Cristian, sua moglie
Catarina e i bambini fanno dalla Serbia all’Italia dopo lo scoppio della guerra
nel 1999. La scena si svolge fra il pubblico, gli attori salgono e scendono da
tre sedie che spostano nella platea, raccontano i vari passaggi fino ad
avvicinarsi al palcoscenico – Italia.
Le scene dello spettacolo si riducono a tre sedie che vengono utilizzate di
volta in volta a seconda delle necessità che ogni singola immagine richiede e
non in tutte le scene. L’uso dello spazio e della divisione fra platea e scena è
convenzionale: gli attori salgono e scendono dal palco come entrano ed escono
dalla narrazione, lo spettacolo non necessita di quinte né sipari.
regia: Beatrice Sarosiek con: Aurora Diotti, Margherita Fantoni, Tommaso Franchin, Anna Manfio,
Laura Serena, Anna Serlenga costumi: Aurora Diotti, Isabella Sannipoli luci: Tommaso Trivellato
Milano: L'approccio proposto dal maestro è completamente
diverso ed insolito grazie ad una visione adogmatica in cui non esistono
spartiti, manuali o metronomi.
Per questa ragione il corso é aperto non solo a chi vuole apprendere la
fisarmonica ma a chiunque desideri avvicinarsi ad uno strumento musicale con una
modalità diversa e più libera di quella tradizionale.
Questo approccio alla musica può essere applicato a qualsiasi strumento.
La “terra del fuoco” riconosce una identità di vedute con il metodo del maestro
Jovica per cui promuove il suo corso e lo ospita nella sua sede.
Le modalità ed i tempi del corso sono ancora da definire.
Per informazioni o per
dare la propria disponibilità, scrivere a
terradelfuoco.info@gmail.com
telefono: 347 9768206 - 320 2183165
Jovica Jovic, nato in Serbia da una famiglia di musicisti Rom, all'età di 12
anni già suonava ai matrimoni ed alle feste, poi, dopo aver a lungo girato in
tutta Europa, si stabilisce nel 1996 in Italia dove collabora con l'Opera Nomadi
e dove ha una intensa attività sia come musicista che come maestro di musica,
collabora con i Muzikanti ed ha inciso diversi dischi come solista e come membro
di orchestra, tra cui uno con Piero Pelù.
Oltre alla fisarmonica suona ed insegna violino, tromba, chitarra.
The Boston GlobeFacendo rivivere una cultura, un accordo alla voltaBy Andrew Gilbert, Globe Correspondent - (Photo Mike Bowring)
19 settembre 2008 - La banda zingara serba Kal è in missione per salvare la
cultura romanì dal kitsch,
dalla discriminazione e dall'assimilazione. Oltre alla maestria stupefacente, le
armi primarie del combo di sette componenti nella lotta alla
marginalizzazione sono l'attitudine al rock 'n' roll e la resistenza accanita
alla ghettizzazione stilistica.
"Sento fortemente la mia identità nazionale, quella è la mia origine," dice
il fondatore di Kal, il chitarrista e voce solista Dragan Ristic, parlando dalla
sua casa di Belgrado. "Ma vivo anche nel XXI secolo. Rigetto fortemente lo
stereotipo della musica Rom, che dev'essere per forza tradizionale. C'è un'altra
strada su cui la musica Rom si può sviluppare, un posto per la nuova cultura Rom
nell'Europa contemporanea."
Ristic lanciò la banda nel 2004 assieme al fratello Dushan, che si è
trasferito in California ma continua a condurre la Scuola Estiva
Amala, un'organizzazione
culturale nel loro villaggio natale di Valjevo, in Serbia. Almeno la quarta
generazione musicale nella famiglia Ristic, i fratelli sono stati svezzati
all'orgoglio zingaro dal padre, un pioniere dell'istruzione dei Rom. Ma hanno
anche assorbito molta musica contemporanea, da Leonard Cohen a Iggy Pop da Manu Chao
a B.B. King.
Nel fondare Kal, i Ristic hanno cercato un cast disparato di musicisti,
incluso il fisarmonicista Dragan Mitrovic, il violinista Djordje Belkic, il bassista Branko Isakovic,
i percussionisti Neat Junuzi e Vladimir Stojkovic, e Vladan Mitrovic alla
fisarmonica e alla voce. Al posto di radicarsi nelle cadenze rom balcaniche, la
band disegna uno spettro internazionale di stili, incorporando arpeggi
chitarristici flamenchi, ritmi mediorientali, passi di rock ed acuti clarinetti
turchi.
"Siamo in parte musicisti Rom dei sobborghi di Belgrado, e in parte
suonatori professionisti di diverse bande di rock 'n' roll a Belgrado," dice
Ristic. "Sono due mondi differenti che non si sarebbero incontrati se non ci
fosse stata Kal."
La banda ebbe la prima notorietà nel 2006, quando il suo album omonimo
prodotto dall'etichetta tedesca
Asphalt Tango
raggiunse la cima delle classifiche europee della world-music, un avvenimento
senza precedenti per un ensemble Rom balcanico. Molto del fascino di Kal
proviene dalle su e performance ad alta energia e dal loro atteggiamento sul
palco. [...]
In diverse maniere, Kal è un'estensione dell'amore di Ristic per il teatro.
Produttore rispettato, lasciò Belgrado per Budapest nel 1999 e fondò la premiata
compagnia teatrale indipendente Vareso Aver (Qualcos'Altro).
Nel 2004 si attenuava l'isolamento politico della Serbia, e Ristic ritornò a
Belgrado per trovare un rinascimento culturale sotterraneo della città, con la
caduta di
Slobodan Milosevic. Invece di continuare la carriera teatrale, Ristic decise che
la musica forniva un megafono molto più potente al suo messaggio. E l'enorme
popolarità di Kal manda un potente segnale al pubblico più desiderato da Ristic,
giovani Rom che si stanno allontanando dalla loro cultura.
"Nei nostri concerti per l'Europa vedo tanta gente Rom, e questa è una delle
mete più importanti," dice Ristic. "Siamo capaci di mostrare a questa nuova
generazione una nuova maniera per esprimersi com Rom."
La situazione per i Rom nei Balcani continua ad essere precaria. Affrontano
una discriminazione diffusa nell'alloggio, impiego ed istruzione, sono oggetto
di stereotipi e miti senza fine. Dalle loro origini nell'India settentrionale, i
Rom iniziarono a disperdersi attraverso l'Europa e il Mediterraneo nell'XI
secolo [...]
Come nota Isabel Fonseca nel suo inestimabile libro del 1995, "Seppellitemi
in Piedi: gli Zingari e il Loro Viaggio", l'immagine romanticizzata dello
Zingaro nomade è in forte contrasto con la realtà di secoli di schiavitù in
Romania, schiavitù che durò sino alla fine del XIX secolo.
L'organizzazione che cura il tour nordamericano di Kal,
Voice of Roma, è una
delle OnG che lavora far affrontare la difficile situazione dei Rom, colpiti
dalla caduta del comunismo e dalle guerre seguite alla disgregazione della
Yugoslavia.
Fondata da Sani Rifati, un Rom di Pristina - la capitale del Kosovo, e dalla
sua moglie americana, Carol Bloom, Voice of Roma ha lasciato il segno nei
circoli musicali producendo nel 2004 il tour americano della leggendaria
cantante Rom macedone Esma Redzepova. Rifati vede Kal come un benvenuto sviluppo
nella cultura Rom.
"Quello che stupisce è un giovane gruppo dalla Serbia che suona musica
tradizionale romanì assieme al beat urbano," dice Rifati dal suo ufficio a
Petaluma, in California. "Sono rockabilly, rock, jazz, blues e latini, ma
mantengono le loro radici. Nei paesi balcanici, c'è questo turbo-folk con donne
mezze nude, spazzatura senza niente musicalmente. Ma Kal ha attirato una vasta
gamma di pubblico, specialmente tra i giovani, con un nuovo suono che è romanì
senza ombra di dubbio."
A Roma, venerdì 3 ottobre alla Feltrinelli Libri e Musica di Piazza Colonna
31/35, con inizio alle 18.00, sarà presentata in prima assoluta la collezione di
partiture musicali per orchestra sinfonica del musicista e compositore
Alexian Santino Spinelli intitolata "Romanó Drom". Il libro,
contenente 11 canzoni, è pubblicato e distribuito internazionalmente dalle
edizioni Ut Orpheus di Bologna, prestigiosa casa editrice di musica classica, in
collaborazione con CNI Music. Sarà presentata la versione Ensamble ed assolo per
Fisarmonica. Ogni volume avrà un colore differente: blu, verde e rosso che sono
i colori della bandiera Romanì riconosciuta dall'ONU. Il lavoro è unico perché è
la prima collezione di lavori per orchestra sinfonica composta e pubblicata da
un Rom. Verrà anche presentato il nuovo CD del gruppo musicale Alexian,
intitolato "Me pase ko Murdevèlë - io vicino a Dio" (Compagnia Nuove Indie CNI).
Partecipano all'evento l'editore internazionale Roberto De Caro (Edizioni Ut Orpheus)
e Paolo Dossena (CNI Music), rappresentanti della stampa nazionale e straniera.
I Muzikanti
Marta Pistocchi violino
Jovica Jovic fisarmonica
sabato 11 ottobre dalle 20.30
alla Trattoria 1902 via Coti Zelati 82 Palazzolo Milanese (MI) Festa tzigana accompagnata da cena in prima serata. Dalle 22.00 inaugurazione
del privè della trattoria 1902 con musiche e balli.
Menù tzigano 30 €, bevande della casa incluse. E' gradita la prenotazione.
Per raggiungerci arrivando da via Coti Zelati, oltrepassare la rete dei
lavori in corso e parcheggiare all'interno della corte; da Senago superare il
passaggio a livello e parcheggiare sulla strada di destra o sinistra. ACCESSO
CONSENTITO SOLO AI CLIENTI DEL 1902
Segnala Jorge Bernal su
Mundo_Gitano la possibilità di scaricare da Internet la raccolta di racconti
gitani Le Paramícha le Trayóske (Los cuentos de la vida), in versione
bilingue rromanés e castigliano, nell'edizione curata dalla Comisión para
la Preservación del Patrimonio Histórico Cultural de la Ciudad de Buenos Aires.
La
raccolta completa (introduzione, testo e illustrazioni) in pdf, 148 pagine.
WORKSHOP INTENSIVO SU CANTO ZIGANO DANZA, CULTURA ROM e la sua espressione nella voce e nel corpo
"A VOCE LIBERA"
è condotto da CRISTINA BARZI e MARIAN BALOG
Venerdì 7/11 h: 10.00 – 13.00 sala 2
Sabato 8/11 h: 10.00 – 13.00 sala 2
Domenica 9/11 h: 12. 30 – 15.30 sala 7
Cristina Barzi, cantante e membro della band "Officina Nomade". Attrice
di teatro, mimo/clown, tv fiction, docente d’espressione corpo/voce presso
l’Accademia Corrado Pani di Roma Marian Balog, regista, drammaturgo, cantante, attore e danzatore, membro
del Romathan Theatre di Kosice, (Slovakia) e del trio vocale Rom "Kali Cerchen".
Rivolto in particolare a: cantanti, danzatori, attori. Studenti e non
professionisti interessati all’argomento
* espressione della voce: esercizi di respirazione ed emissione della voce.
Libero uso della voce cantata e parlata, finalizzato all’espressività vocale
individuale. Tecnica vocale.
* studio di canti della tradizione zigana rom e montaggio di un breve repertorio
* studi sulla danza Rom e montaggio di una piccola coreografia
* storia della cultura e del popolo Rom
* espressione voce/corpo: espressione corporea, esercizi individuali e di gruppo
ed improvvisazione su musica, finalizzati allo sviluppo delle potenzialità
espressive. Ascolto della voce istintiva e della spontanea gestualità che questa
voce provoca al corpo in movimento.
PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA con versamento di un anticipo sulla quota di
partecipazione ENTRO IL 31 OTTOBRE ’08 da versare presso SEGRETERIA IALS
via C. Fracassini, 60 – 00196 Roma Tel 06 3236396 – 06 3611926 –
promozione@ials.info
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riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
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