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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 21/01/2014 @ 09:04:25, in musica e parole, visitato 1835 volte)

di Zuzanna Krasnopolska in Società Italiana delle Lettere|

Bronisława Wajs - detta Papusza, poetessa dimenticata, incompresa e sconosciuta, è stata riscoperta nel 2013 grazie alla pubblicazione della sua storia scritta dalla giornalista Angelika Kuzhniak e intitolata Papusza. In più il film scritto e diretto da Joanna Kos-Krauze e di Krzysztof Krauze "Papusza" (i coniugi-autori del premiato "Nikifor" del 2004) ha fatto riscoprire l'eccezionalità di quest'artista così insolita.

Bronisława Wajs nasce... non si sa quando. Gli zingari non prendono nota delle date sul calendario, regolano il passare del tempo in base al ritmo della natura. Bronisława nacque nel giorno in cui gli agricoltori terminarono la mietitura del grano, metà agosto del 1910 (o 1908 o 1909, secondo le diverse testimonianze). Il padre rimane una figura sconosciuta, la madre è una zingara galiziana. La ragazza cresce in mezzo alla natura, osserva attentamente gli alberi, i fiori, gli uccelli. Di sera siede al ruscello e canta. Sa anche ballare bene. Conosce il potere magico delle erbe. E' bellissima, la chiamano "Papusza", cioè "Bambola".

Zingarella povera, giovane,
bella come un mirtillo,
denti bianchi come perle,
occhi brillanti come l'oro vero.
Gli orecchini fatti di foglie, eccoli
Come oro genuino son belli
(frammento di "Orecchino di foglia", p. 57)

Impara a leggere e a scrivere da sola, comprando (e pagando con galline rubate) qualche minuto di lezione dai ragazzi che frequentano le scuole e da una commessa ebrea. Conosce Jerzy Ficowski (1924-2006) - poeta, critico, scrittore, traduttore, studioso di Bruno Schulz e della cultura zingara ed ebrea - che dopo aver letto le sue poesie, s'impegna a promuoverla, a tradurla in polacco (mantenendo l'asprezza dello stile), a farla pubblicare (e dunque guadagnare) e a iscriverla all'Associazione dei Letterati Polacchi con tutti i privilegi che ne derivano, inclusa la pensione. Grazie a Ficowski incontra Julian Tuwim (1894-1953) - uno dei fondatori del movimento poetico "Skamander", forse uno dei più grandi poeti polacchi - che trova le poesie della Wajs piene d'innocenza e di onestà, virtù che lui stesso cerca di trasmettere. Le creazioni di Papusza sono apprezzate anche da altri, tra cui Wisława Szymborska.

Fino a questo punto la vita di Papusza sembra una favola. La realtà però non è il mondo delle fiabe e così ben presto arriva un'ombra che offusca e distrugge questo mondo idilliaco.

Prima la seconda guerra mondiale, con la persecuzione e la strage degli zingari (il numero totale degli zingari ammazzati in Europa Orientale rimane sconosciuto). L'esistenza ridotta al minimo: la fame attenuata con qualche corteccia, le notti passate fra le canne con le gambe in acqua gelata, il tifo, la morte delle persone care. Dopo il massacro arriva il nuovo regime, nuove regole, nuove persecuzioni. E' sterile, adotta un bambino (che chiama Tarzan, affascinata dall'immagine di un ragazzo selvaggio seduto su un ramo accanto a una fanciulla), figlio di uno zingaro e una gagi. Dopo la pubblicazione di qualche articolo sulla cultura zingara di Ficowski e qualche poesia di Papusza, gli zingari smettono di fidarsi di lei, cominciano a trattarla come una spia, traditrice dei loro segreti. La Wajs è costretta a fuggire con il figlio e il marito arpista (in effetti suo zio, fratello del patrigno, molto più grande di lei), ma le persecuzioni continueranno per tutta la vita e la porteranno all'esaurimento nervoso. Bronisława Wajs muore... questa volta la data è certa - l'8 febbraio 1987. Le infermiere diranno che poco prima di morire, Papusza si toccava le orecchie in cerca dei suoi orecchini preferiti, fatti con le galle di quercia:

Dov'è il mio orecchino preferito?
Si sarà nascosto nel bosco selvatico?
Quanto mancano agli occhi neri
Questi miei orecchini cari!
(frammento di "Orecchino di foglia", p. 56).

Papusza è considerata la più grande poetessa zingara polacca. Zingara, sì, e fiera di esserlo, addirittura rideva quando si sentiva chiamare con quella parola politicamente corretta e artificiale "rom". Zingara polacca, anche se spesso si sentiva dire di tornare "nel suo paese". Le poesie trasmettono un senso di pace, anche quando descrivono le persecuzioni più atroci. Saranno i suoi occhi da bambina, meravigliata di fronte allo spettacolo del creato, a diffondere questa unica sensazione di quiete. Proprio come una bambina chiede alle stelle di rendere ciechi i nemici:

Ah, tu, la mia buona stellina! [...]
Acceca gli occhi ai tedeschi!
Torci le loro vie!
Non mostrargli la strada giusta!
Conducili per il sentiero infido,
perché sopravviva il bambino ebreo e zingaro.
(frammento di "Lacrime di sangue - cosa abbiamo vissuto al tempo dei nazisti in Volinia nel '43 e '44", p. 68).

E come una bambina non tratta seriamente i propri versi, anzi, si stupisce ogni volta che qualcuno la considera una persona importante: "Son venuti a parlare con me? Ci sono poeti, ci sono poesie belle, favole meravigliose, ma io son niente. Non possiedo nessuna istruzione, nessuna scuola. Cosa può dire una vecchia Zingara che assomiglia ad un porcino dimenticato nel bosco di autunno? Sono una ragazza povera, vivo sotto il cespuglio. Nervosa, ho un'anima piccolissima. Sono una persona ordinaria, forse peggiore degli altri" (p. 20). Ovvero: "[Dicono che scrivo] poesie, ma non sono poesie. Canzoni. Le poesie son roba diversa. Ci vogliono le rime, la canzone è semplice. La canzone è inferiore. E la poesia è in alto, ci vuole gente istruita. Ci vuole l'università ed io non ho finito neanche una classe. Non posso scrivere poesie". (p. 70). Come una bambina commette molti errori di ortografia, di sintassi, di interpunzione. Nelle lettere indirizzate a Ficowski o a Tuwim si scusa della calligrafia che considera racchia. Ma è proprio grazie a questo suo modo di scrivere unico che il lettore riesce a vedere meglio il mondo descritto, riesce anch'egli a diventare bambino.

Quello che scrive rimane sempre legato alla sua identità, al suo essere zingara, che la porta a delle considerazioni sorprendenti: "Oggi se una Zingara è brava, sa leggere meglio il futuro, se è scema non sa più farlo. Dice qualsiasi cosa per guadagnare e andare avanti. Io per esempio leggo il futuro in modo psichico: riconosco se una persona non è di umore giusto e quando è amata e innamorata, riconosco dalla sua fronte che tipo di persona può essere; se è buona o cattiva, se saggia o stupida, se caratterizzata da una forte volontà oppure debole. Quando leggo le carte assumo un'espressione seria e leggo il futuro con la serietà. Lo stesso fa un poeta, penso. Ci deve essere qualche spirito, qualche respiro e subito si sa tutto". (p. 65). La capacità di osservazione e lo spirito di curiosità la portano alla riflessione sull'origine, sul significato e sul senso della parola: "La mia canzone è silenziosa come una lacrima. Io canto a me stessa, non a qualcuno. Da quando ero bambina qualcosa in me non andava bene. Avevo paura perché non sapevo da dove provenivano le parole, chi me le ha insegnate. Diciamo "foglia", "uccello", "prato", ma è vero quello che diciamo? Forse Dio ha fatto sì che noi ci siamo accordati a parlare così?". (p. 82).

Dopo molti anni,
ma forse molto prima, tra poco,
le tue mani troveranno la mia canzone.
Da dove è venuta?
Nel giorno o nel sonno?
E mi ricorderai, mi penserai -
era una favola
o vero era?
E ti scorderai
delle mie canzoni
e di tutto
. ("Canzone", p. 83).

Il 2013 è stato l'anno di Papusza in Polonia. Il libro di Angelika Kuzhniak è una forma di reportage dove i frammenti degli scritti della Wajs, le trascrizioni delle vecchie interviste e il racconto della Kuzhniak si intrecciano senza un particolare ordine cronologico, ma con la tenerezza di qualcuno che vuole bene al soggetto che sta cercando di ritrarre. Il film di Joanna Kos-Krauze e Krzysztof Krauze, assolutamente fenomenale e girato in bianco e nero, si concentra sull'eccezionalità della figura di Papusza, una donna straordinaria che ha avuto il coraggio di essere se stessa. La pellicola è stata già apprezzata durante il Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary.

***

  • Tutte le citazioni provengono da Papusza di Angelika Kuzhniak (ed. Czarne, Wołowiec 2013).
  • Le poesie provengono dalla raccolta Lesie, ojcze moj [Bosco, padre mio] di Papusza (ed. Nisza, Warszawa 2013).
  • Trailer del film Papusza (diretto da Joanna Kos-Krauze, Krzysztof Krauze, 2013):
  • Tagged LM n.82, Papusza, poesia |
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Di Frances Oliver Catania (del 22/01/2014 @ 09:04:13, in Italia, visitato 2943 volte)

Mercoledì 29 gennaio, ore 20.45
Libreria Popolare, via Tadino 18 - Milano
Incontro con l'autrice Hajrija (Maria) Seferovic in compagnia di Frances Oliver Catania e Fabrizio Casavola

Un piccolo libro che rappresenta una scommessa: avevamo incontrato qualche anno fa questa anziana signora in un suo momento di grave difficoltà. Assieme, si è provato ad affrontare i problemi (ancora irrisolti) e ci si è conosciuti meglio.
Sempre assieme, si è messo per iscritto tutto quello che Maria Seferovic ricordava di una vita, suo malgrado, avventurosa, i consigli e le conoscenze che avrebbe potuto dare a qualche concittadino più giovane. Partendo da quello che può interessare tutti noi: COME STAR BENE E COSA CUCINARE, aggiungendo qualche altro rimedio e ricetta, e farcendo il tutto con qualche racconto nato proprio nel suo nord est milanese.
Vi proponiamo, durante questo incontro, di provare a rifare lo stesso percorso di conoscenza e di amicizia, parlando di viaggi e della cultura che nasce dal continuo spostarsi, di rimedi naturali, di cucina (esotica?), concedendole un sipario che le è stato a lungo negato.
Ed infine, la storia, grande e piccola: i due conflitti che hanno segnato la sua vita. Perché, ci ritroviamo a due giorni dalle celebrazioni del Giorno della Memoria, e visto che il rischio è di dimenticarsene subito, un buon modo per tenere viva la memoria è cominciare a conoscersi, attraverso quella cultura che è il vivere quotidiano.

Maria Seferovic forse l'avete intravista per la prima volta ripresa nel film "Io, la mia famiglia rom e Woody Allen", arrancare con un carrello della spesa nelle campagne lombarde. Nasce a Travnik (attuale Bosnia) nel 1938, prima di cinque figli. La famiglia si spostava spesso per guadagnarsi da vivere con la vendita di cavalli, e facendo pentole e piatti di rame che vendevano ai mercati. Dalla fine degli anni '60 con la sua kumpanja alterna soggiorni in Italia e nell'ex Jugoslavia, che abbandona definitivamente allo scoppio del conflitto negli anni '90.
Attualmente risiede nel nord est milanese. Anche se scrive lentamente e a fatica, è un'autentica enciclopedia vivente.

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Di Fabrizio (del 23/01/2014 @ 09:10:01, in Italia, visitato 1553 volte)

Posted on 15 gennaio 2014 La voce degli attivisti rom e sinti
Come accaduto per i miei genitori, che hanno vissuto sotto i ponti per due anni. Ed è lì che mio padre è stato colpito da un ictus. Di Gladiola Lacramioara Lacatus.

Molti dei rom che abitano in Italia, in particolare nella regione in cui vivo io, la Calabria, sono arrivati da altri Paesi per vari motivi, come la ricerca di un lavoro per poter mantenere i propri figli.

Cercano di dare loro un futuro migliore.

Arrivati qui, però, si ritrovano spesso a vivere in pessime condizioni, perché la maggior parte di loro non ha il documento d'identità, il codice fiscale, e per avere questi documenti devono essere in possesso di alcuni requisiti, come un alloggio e una retribuzione.

Il punto è che per entrare in possesso di questi requisiti hanno bisogno di un lavoro regolare e non in nero. E per dei rom che si ritrovano spesso costretti a vivere nei campi, isolati dal resto del mondo, questo non è affatto scontato.

Senza questi criteri e documenti non possono usufruire del servizio medico sanitario.

Ed è questa la situazione che vivono anche i miei genitori, arrivati in Italia dalla Romania, i quali sono oggi ospiti presso una casa d'accoglienza per persone in difficoltà. I miei genitori hanno vissuto sotto un ponte per circa due anni ed è lì che mio padre ebbe un ictus, che lo ha limitato nella deambulazione e uso della parola.

Nonostante adesso siano in una struttura e non più per strada, non hanno i documenti e l'assistenza medico sanitaria, e questo perché mia madre non ha trovato un lavoro.

Sono 5 anni che non sento la voce di mio padre, che non posso avere una conversazione con lui, spesso mi ritrovo a piangere e a volte a darmi la colpa di tutto ciò.

Abbiamo problemi con i farmaci che sono molto costosi e non possiamo permetterceli: mamma chiede spesso aiuto a persone che hanno l'assistenza medica, ma questo non potrà farlo ancora per molto.

Grazie all'aiuto delle suore presso le quali sono ospite, abbiamo portato mio padre in comune per iscriverlo all'anagrafe, però ci hanno detto che se non ha un lavoro fisso non può essere iscritto all'anagrafe.

Io e mia sorella siamo ospiti presso una casa famiglia da 6 anni, da quando abbiamo avuto un incidente nel campo dove alloggiavamo (vivevamo dentro una baracca costruita dai nostri genitori).

E' difficile vivere in queste condizioni soprattutto per le persone malate, che hanno difficoltà nel trovare lavoro.

Spesso si crede che i rom non vogliano vivere nelle case e non vogliano lavorare come tutti gli altri cittadini. Ma non è vero. Sono le difficoltà che incontrano qui in Italia, la vita nei campi, la discriminazione e i pregiudizi diffusi nei loro confronti, che li spingono ai margini della società.

Spero che un giorno l'Italia diventi un Paese dove anche i rom potranno vivere normalmente. Insieme agli italiani. Senza più discriminazioni e pregiudizi.

*nella foto Gladiola

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Di Fabrizio (del 24/01/2014 @ 09:03:17, in Italia, visitato 1907 volte)

Volantino distribuito stamattina all'apertura del Terzo Forum delle politiche sociali, presso il Teatro Elfo Puccini in Corso Buenos Aires, 33 MILANO

E' passato un anno dall'ultimo Forum delle Politiche Sociali. In questo lasso di tempo abbiamo cercato più volte di richiamare l'attenzione dell'Amministrazione comunale sulla grave situazione del campo rom di via Idro, comunale e regolare, abbandonato a sé stesso da ormai troppo tempo.
Abbiamo chiesto che tornasse a occuparsi del campo, tempestivamente e con adeguate risorse economiche e umane, riqualificando gli spazi comuni, ripristinando la legalità e le basilari condizioni di sicurezza e vivibilità, individuando un "gestore" capace e affidabile, coinvolgendo i cittadini della zona 2 e il Consiglio di Zona.
Abbiamo avuto vari incontri con l'assessore Granelli, siamo stati ascoltati e rassicurati, ma alle parole sono seguiti pochi fatti. Proprio pochi e di poco rilievo.
Intanto la situazione si è ulteriormente deteriorata. Alcune famiglie sono state costrette a scappare dal campo perdendo tutto quello che avevano. In una sciagurata lite ci è scappato il morto. Altre famiglie ricevono quotidiane minacce e si sono rassegnate a lasciare a loro volta il campo, ma per loro non si riesce ancora a trovare una soluzione adeguata.

Per effetto di questa situazione è diminuita la frequenza scolastica e si sono del tutto interrotte le attività volontarie - educative, ricreative e sociali ‑ condotte nel campo e in particolar modo nel Centro polifunzionale, che è stato devastato nell'indifferenza generale e risulta ormai inutilizzabile.
Poteva andare diversamente? Pensiamo di sì, e comunque non crediamo che possa essere tutto attribuito alla cattiva sorte. Per il campo di via Idro si sarebbe almeno potuto tentare di fare qualcosa, ma non si è fatto niente. Se ciò è dovuto a una scelta non lo sappiamo, ma se fosse così, è evidente che non si è trattato di una scelta giudiziosa.
Allo stato delle cose, la riqualificazione del campo è diventata, se non impossibile, certamente molto difficile e il problema della comunità rom di via Idro, formata da un centinaio di cittadini italiani, resta irrisolto.
Ed è questo problema che vorremmo sottoporre all'attenzione del Forum, accogliendo l'invito dell'assessore Majorino ‑ che finora si è tenuto fuori dalla questione di via Idro, come se non lo riguardasse. Non ci aspettiamo che sia risolto in questi giorni, ma non vorremmo che tra un Forum e l'altro le cose restino così come sono, o trovino il modo di peggiorare.

La Rete delle associazioni e degli amici della Comunità rom di via Idro

ciclostilato in proprio - 24 gennaio 2014

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Di Fabrizio (del 25/01/2014 @ 09:05:45, in scuola, visitato 2002 volte)

da
Scheda
Autori:
Daniela Sala
Credits:
Musiche: Grre en famille - "Roots culture"; Grre en famille - "Chacun pour soi"
Data: 18 dicembre, 2013 - 15:56

Sfantu Gheorghe è una piccola cittadina nel nord della Romania che conta 60mila abitanti e si trova nella regione storica della Transilvania. In questa zona la minoranza seclera (di lingua ungherese), costituisce circa il 75% della popolazione, mentre nella sola Sfantu Gheorghe la popolazione di etnia rom è stimata tra le 5 e le 6mila persone. Duemila di loro vivono ad Orko, un quartiere ghetto ai margini della città. Ufficialmente, almeno stando ai dati dell'ultimo censimento, in tutta Sfantu Gheorghe le persone di etnia Rom non sarebbero più di 200.

Nella sola scuola di Orko, la scuola San Filippo Neri che va dall'asilo alle medie, i bambini iscritti sono più di 500. Tutti Rom. "Non è una scuola per Rom - ci tiene a precisare Robert Kiss, direttore della scuola - chiunque può iscrivere i propri figli qui". Semplicemente, spiega, è la scuola di questo quartiere e trovandosi a ridosso del quartiere rom è normale che i genitori iscrivano i propri figli qui. Peccato però che a ridosso della scuola abitino anche famiglie di etnia ungherese: tutti i loro figli sono iscritti ad altre scuole in città.

La scuola di Orko esiste grazie ad un prete, Markos Andras. Mandato qui all'inizio degli anni '90, visto che la maggior parte dei rom qui sono di religione cattolica, Andras fece costruire un luogo di ritrovo per gli abitanti del luogo. In breve si rese conto che la maggior parte dei bambini e ragazzi di Orko non sapeva né leggere né scrivere e i pochi che frequentavano le scuole in città erano fortemente discriminati e abbandonavano gli studi dopo pochi anni. Così nel 1999 la struttura è stata convertita in una scuola e da allora funziona ininterrottamente. Lo spazio è poco e i bambini molti, così le lezioni si svolgono in due turni, mattina e pomeriggio.

L'analfabetismo, rispetto a 15 anni fa è certamente in calo, ma i numeri testimoniano un tasso di abbandono scolastico tuttora altissimo. Se infatti gli alunni iscritti alla prima elementare sono 59, quelli di quinta sono meno della metà, solo 23. E alle medie va ancora peggio: 25 in prima media, 18 in seconda e solo 10 in terza.

Il caso di Orko è tutt'altro che è un caso isolato: nel 2006 30 città rumene hanno ricevuto dei fondi dall'Unione europea per l'integrazione scolastica dei minori rom e per 4 anni, fino al 2010 la regista e attivista per i diritti umani rumena Mona Nicoara ha seguito e documentato le vite di 3 studenti Rom di Targu Lapus per vedere come l'integrazione stava funzionando. Il risultato è il documentario "Our school" (vedi QUI, ndr.): i giovani protagonisti non solo alla fine non sono integrati nelle scuole della città ma sono addirittura spostati in una "scuola speciale" per disabili mentali. Nel 2007 la Corte europea per i diritti dell'uomo ha condannato la segregazione scolastica dei rom come una violazione della dignità umana. Sentenza ad oggi senza conseguenze.

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Di Fabrizio (del 26/01/2014 @ 09:02:40, in Europa, visitato 1538 volte)

I Rom residenti a Govanhill intendono essere parte della soluzione by Catriona Stewart, Columnist/reporter. Wednesday 08/01/2014 EveningTimes

[...]

Tutti parlano dei problemi più pubblicizzati nella comunità del South Side - provvisorietà, sovraffollamento, crimine.

E' il tipo di discorsi che si ascoltano in continuazione dai residenti stanchi dei problemi di Govanhill... e della sua reputazione.

L'unica differenza è che questo gruppo è rom, la comunità regolarmente accusata di scatenare i problemi.

"I problemi c'erano già prima del nostro arrivo," dice Marcela Adamova, operatrice di sviluppo per i Rom presso Oxfam Scozia.

"Veniamo però colpevolizzati per cose non causate da noi. E' soltanto un piccolo gruppo di persone che sta dando a tutti una cattiva reputazione."

Uno dei problemi principali, ritiene Marcela, è la mancanza di comunicazione tra i residenti "storici" di Govanhill ed i Rom.

Come risposta, assieme ad Eva  - Kourova, lavoratrice di comunità, ha creato un nuovo centro comunitario in Albert Road per Rom e no.

Dice Eva: "Vogliamo che i Rom abbiano a disposizione gli stessi servizi di chiunque altro a Govanhill; un posto dove incontrarsi e parlare. Ma speriamo che anche gli altri abitanti del luogo prendano parte attiva a questo dialogo, tra i due gruppi. "

"Qui una gran parte del problema sono la mancanza di comunicazione e comprensione culturale."

I gruppi rom dalla Slovacchia e dalla Romania iniziarono ad arrivare a Glasgow, e la maggioranza di loro si insediò a Govanhill.

Il rapporto più recente, Mapping the Roma Community in Scotland, stima ci siano tra i 3.000 e i 4.000 Rom che vivono nella città.

Per una comunità piccola, l'influsso è stato enorme e la gente del posto ha trovato difficoltà nell'accogliere questi nuovi vicini.

I Rom sono stati rimproverati di scaricare rifiuti abusivamente, comportamenti antisociali e problemi alloggiativi come il sovraffollamento.

Dice Marcela, proveniente dalla Slovacchia: "Siamo arrivati a Glasgow per le stesse ragioni degli altri gruppi - un'opportunità di vita migliore. Ma voci e preconcetti possono rendere tutto difficile. Siamo una cultura di strada che gli altri trovano scomoda. A noi piace, parlare e socializzare all'aperto, è così che condividiamo le notizie e scopriamo cosa succede. Ma la gente pensa che stiamo complottando. Inoltre, per noi non è insolito avere i nostri nonni che vivono con noi o sostenere altri parenti, ma la gente si lamenta del sovraffollamento. E poi, appartamenti in cui vivano sino a 20 persone, come dice la stampa - in realtà è una cosa veramente rara. Non sono mai stata in un appartamento con così tante persone."

Madalin Caladras, un giovane di 20 anni, negli ultimi cinque ha vissuto a Govanhill.

Eva e Marcela ritengono che potrebbe lavorare con loro - il suo inglese è eccellente - ma Madalin ha altri progetti.

Madalin ritiene che la zona non sia più come quando arrivò ed ora spera di trasferirsi in Francia - parla sia inglese che francese.

Dice: "Qui mi sento stabilito; arrivai perché mio zio era qui e parlava bene della zona. Ma non è più come quando arrivai. Qua la gente combatterà per strada, è abbastanza intimidante. La mia famiglia è a Parigi e così spero presto di trasferirmi là."

Lenka Milkova ha vissuto quattro anni a Govanhill e ne ha fatto della zona la sua dimora.

Aggiunge: "Qui mi sento bene. Sono felici di stare qui. E' molto meglio che tornare indietro e sento per il bene dei miei figli che vivere qui è il mio futuro e questo la chiamo casa. Le opportunità per noi potrebbero essere migliori e mi preoccupo che i miei figli siano esposti alle discriminizioni di altri gruppi giovanili, ma vogliamo lavorare e riuscire."

Marcela dice che ora l'obiettivo è lavorare per migliorare la vita della prossima generazione di Rom.

Le scuole dell'area si sono attivate per aiutare gli alunni in classe e a rimanere a scuola.

Marcela, 33 anni, due anni fa ha anche fondato il gruppo  Romano Lav - Voce Romanì in romanes - per dare sostegno ai Rom della zona.

Dice Eva: "Sono stati spesi un sacco di soldi e di sforzi in indagini, relazioni scritte e impiegati, piuttosto che nel personale e nei servizi di prima linea. Ma il problema principale è la comunicazione, e speriamo davvero che gli abitanti di qui vengano a trovarci in Albert Road. Parlare tra noi - è l'unico modo di risolvere i problemi."

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Di Fabrizio (del 27/01/2014 @ 09:01:36, in musica e parole, visitato 1870 volte)

La rosa sepolta

Dove ricercheremo noi le corone di fiori
Le musiche dei violini e le fiaccole delle sere

Dove saranno gli ori delle pupille
Le tenebre, le voci - quando traverso il pianto

Discenderanno i cavalieri di grigi mantelli
Sui prati senza colore, accennando. E di noi

Dietro quel trotto senza suono per le valli
D'esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.

Ma il più distrutto destino è libertà
Odora eterna la rosa sepolta.

Dove splendeva la nostra fedele letizia
Altri ritroverà le corone di fiori.

Franco Fortini - Foglio di via (Einaudi 1946 - 1980)


Chi era Franco Fortini (la domanda è d'obbligo per i lettori più giovani)? Uno dei maggiori intellettuali ed operatori culturali italiani della seconda metà del secolo scorso. Rileggete la sua poesia con un occhio al testo (in italiano) di Gelem Gelem, e ditemi se non suonano simili.

Ne avevo già scritto qualche settimana fa: c'è anche una memoria nostra, recente - non occorre tornare alla preistoria, che era capace di interloquire, di intercettare (quindi di iniziare a comprendere), motivi profondi della cultura (la domanda ricorre: cosa è la cultura e a cosa serve?) romanì, tanto di quelli che vivono senza speranza nei ghetti e nei campi, che di quella fascia minoritaria di classe intellettuale.

Può essere, uso termini semplicistici, cultura alta (come in Franco Fortini), cultura pop e folk (come con Bob Dylan), o soltanto memoria popolare (vedi l'anno scorso). Le divisioni in generi non mi interessano, vanno tenute assieme con la medesima dignità.

  Leggi

Scrivo, avendo in mente che la nostra cultura del recente passato, aveva radici più antiche, ugualmente condivise. Ma queste radici possono inaridirsi, anche dove sembrava avessero attecchito:

    in difesa popolazione rom? Vi assicuro che qui in Italia i rom ci sono, e sono proprio le persone più spregevoli e disoneste, maleducate e cattive che io abbia mai visto. Non fraintendete, il fatto che abbiano subito un genocidio durante l'ultima guerra mondiale non li giustifica affatto, non giustifica il loro comportamento. Il degrado in cui vivono (e dove vogliono stare e continuare a viverci) è frutto delle loro colpe,
    Lorenzo Cardinali


    Non bisogna avere paura delle parole, basta siano corrette. I rom, nella stragrande maggioranza, vivono di di furti, per questo non sono simpatici a nessuno, ma pochi, pubblicamente, lo ammettono.
    IC redazione

Nessuno stupore: può accadere a chiunque, forse in futuro persino a Rom e Sinti. La responsabilità di percorrere assieme un pezzo di strada o di allontanarci, è nostra.

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Di Martina Zuliani (del 28/01/2014 @ 09:06:19, in Europa, visitato 2038 volte)

Elena Gorolovà, portavoce del gruppo di donne colpite da sterilizzazione coercitiva
Il Comitato di Helsinki ceco crea una legge per risarcire le persone sterilizzate illegalmente - Prague, 14.1.2014 17:18, (ROMEA) Czech Helsinki Committee, translated by Gwendolyn Albert

Il Comitato di Helsinki ceco (Chesky helsinsky vybor - ChHV) ha completato una carta da usare come guida per il risarcimento delle persone sterilizzate illegalmente. La ONG sta ora presentando la bozza di legge redatta al Parlamento Ceco e al Ministro della Giustizia e chiede ad essi di pensare al più presto ad un'adeguata soluzione al problema della sterilizzazione illegale.

La pratica di sterilizzare le persone senza il loro consenso informato è stata eseguita, in passato, nel territorio della Repubblica Ceca. Fino al 1991, tale prassi era frutto di una politica dello Stato volta a limitare la riproduzione di gruppi considerati scomodi dal regime cecoslovacco.

Dopo il 1991, la Repubblica Ceca ha continuato ad eseguire la pratica di sterilizzazione delle persone senza il loro consenso informato non adottando misure legali atte a stabilire le condizioni entro le quali la sterilizzazione potesse essere legale per legge, tra cui quella del consenso libero ed informato. Centinaia di persone hanno perciò perso l'opportunità di avere figli, cosa che ha portato molti traumi ad individui e persone.

"Dopo che la Repubblica Ceca è stata a lungo inattiva in questo senso nonostante le ripetute critiche alla sua situazione provenienti sia a livello internazionale che nazionale dai difensori dei diritti umani, il Comitato di Helsinki ceco ha deciso di contribuire ad accelerare il processo di adozione di misure legali atte ad assicurare l'effettiva e rapida implementazione del risarcimento alle persone sterilizzate illegalmente tramite la presentazione di questo materiale." ha dichiarato Michaela Tejnorovà, avvocato del ChHV. Una ricerca statistica sul campo, che ha accompagnato la scrittura della bozza del ChHV, ha mostrato come alcune donne stiano tuttora ricevendo risposte negative da alcune istituzioni mediche relative all'ottenimento delle cartelle cliniche relative alla loro sterilizzazione.

"Alcune donne erano scettiche sul collaborare con noi a riguardo di questa problematica dato che, per molti anni, avevano provato e fallito nell'ottenimento di un risarcimento. Riaprire questo tema ha riportato loro memorie dolorose e ha ricordato loro tutte le diverse conseguenze di ciò che è stato fatto loro, non solo quelle mediche." dice Elena Gorolovà del gruppo di Donne colpite da Sterilizzazione Coercitiva che collabora col progetto del ChHV. 


Altri articoli di Mahalla sulle sterilizzazioni forzate

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Di Fabrizio (del 29/01/2014 @ 09:06:44, in musica e parole, visitato 2282 volte)

di Fabrizio Casavola, con la collaborazione di Jovica Jovic - Scaricatelo gratuitamente

Perché
Quello che leggerete, è già stato pubblicato negli ultimi anni, sul mio blog Mahalla ed anche da altre parti. Niente di nuovo, se non il tentativo di fare ordine e cercare il filo del discorso.

Di fatti accaduti 70 anni fa, e che spesso hanno radici più antiche.

Nessuna pretesa di un scrivere un documento storico, solo vorrei vedere allo specchio questa Memoria. Cercare, attraverso testimonianze di personaggi noti e altri che non lo sono mai stati, di capire dopo tutto questo tempo come la memoria può convivere, quanto ci appartiene e quanto invece sia distante.

Fate conto di fare una chiacchierata, seduti ad un tavolo, magari con una tazza di brodo caldo in mano. Per capirsi, per condividere. Per sapere dove si può finire. Pagine di canzoni, poesie e qualche riflessione.
La memoria è un lusso, il dialogo una necessità. Quindi, dopo averci pensato un attimo, ho pensato bene che chiunque potesse scaricare gratis questi appunti. Sperando che il lettore alla fine mi scriva... una lettera, un pensiero o una cartolina.

Ringraziamenti
La foto di copertina è di Cristina Simen, e anche quelle del campo di Rho dopo la demolizione. Le foto del campo di Rho in festa sono di Ivana Kerecki, sua anche la registrazione del video finale della festa dello Zecchino d'Oro

Voglio inoltre ringraziare: Doriana Chierici Casadio, Gaia Moretti, Carlo Stasolla, Luca Bravi, Carlo Berini, Sergio Franzese, Federico Bevilacqua e Alessandro Morazzini per i contributi e le istruttive e civili discussioni.

Infine, un ringraziamento particolare al Teatro Officina per la calda ospitalità che mi ha offerto.

Copyright Attribuzione Creative Commons 2.0
Pubblicato il 21 gennaio 2014
Lingua Italiano
Pagine 31
Formato del file PDF
Dimensioni del file 1.08 MB


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Di Fabrizio (del 30/01/2014 @ 09:00:02, in media, visitato 1491 volte)

Cronache che di ordinario razzismo

"Cosa pensi di quelli che rubano? Come si fa a imparare a non rubare?". Lo chiede il giornalista Paolo Griseri a un bambino, in un'intervista video pubblicata su La Repubblica. E ancora: "Hai già incontrato dei poliziotti? Che tipi sono?".

Il bambino ha scritto una lettera a una delle sue insegnanti, raccontando quali lavori vorrebbe fare da grande. "Il maestro, il poliziotto", come tantissimi bambini.

Tra le altre cose, ha scritto che vorrebbe imparare "a non rubare". Da qui la scelta di Griseri di recarsi presso il campo rom dove vive, almeno "fino a che non arriva la macchina che spacca tutto" come specifica il bambino.

Troviamo particolare la scelta di sottoporre queste domande a un minore: gli si chiede "cosa rubano" le persone che vivono nel campo, "come si fa". Gli si chiede "cosa vengono a fare i poliziotti" a casa sua.

"Vuoi trovare un lavoro per evitare di fare questo", afferma Griseri, riferendosi ai furti.

Il bambino frequenta le elementari: deve davvero già pensare alla ricerca di lavoro, per evitare di incappare in un destino che, dall'intervista, appare segnato?

Forse il video voleva presentare un possibile modello di ‘inserimento sociale'. Ma ci sembra che veicoli piuttosto stereotipi e pregiudizi, già dal titolo: Il sogno del bambino rom: ‘Voglio imparare a non rubare'.

Qui il video.

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