Un viaggio attraverso le regioni montuose della Bosnia centrale dove vivono
alcune comunità di rom kaloperi: famiglie stanziali che possiedono una casa,
guardano con sospetto gli zingari dediti al nomadismo e non parlano volentieri
la lingua romanì. Di villaggio in villaggio, vengono scrutate attentamente tutte
le abitudini più ordinarie dei membri delle varie famiglie e vengono registrate
alcune testimonianze: esperienze e pensieri di differenti generazioni che
cercano di aprire un nuovo sguardo sulla diversità e la ricchezza dei popoli
rom.
Di ciò che risponde all'idea comune di "zingaro", ci sono solo le immagini.
Frutto di un viaggio invernale nel cuore della Bosnia compiuto nel 2004, il
documentario di Massimo D'orzi vive di immagini libere e fluide colte
nell'intimità di quei piccoli gruppi di rom bosniaci che trovano nella
dimensione quotidiana degli affetti familiari e del lavoro la loro condizione
ideale.
Questa carattere "erratico" e in divenire della ripresa è evidente nella
condizione temporale che impone da subito il lavoro: privilegiando i tempi
morti, uno sguardo da documentario antropologico e una dimensione evocativa
attivata dall'accompagnamento costante della fisarmonica di Hazdovic Ruzdija. La
vocazione naturalista del lavoro non preclude tuttavia che il suo obiettivo sia
quello di raccontare attraverso una serie di testimonianze dirette una storia
differente rispetto alle idee e ai luoghi comuni sui gitani. Obiettivo evidente
fin dal titolo, che privilegia il carattere della piccola Adisa, la più giovane
fra le protagoniste intervistate, e la mette a confronto con l'esperienza di una
nonna particolarmente vivace ed emancipata, ma soprattutto con una cultura nata
mille anni fa nell'India d'epoca medievale. Un confronto fra generazioni nel
quale emerge anche un certo disagio per l'identità del popolo rom e per tutti
quei sottogruppi dediti al nomadismo e al brigantaggio.
È vero che c'è una certa discrasia fra il modo di condurre le interviste
(che, per quanto informali, appaiono in più momenti pilotate, animate dalla
volontà di far emergere i pensieri pacifisti e quelli anti-tradizionalisti delle
famiglie kaloperi) e quello di guardare al paesaggio. Ma, preso come un'unica,
lenta e lunga panoramica, il film trova una temporalità personale che riesce a
dare un ritmo anche a questa dialettica fra immagini entranti e immagini
contemplative. Fra ottica di studio e ottica di poesia.
Di Fabrizio (del 19/02/2012 @ 09:52:21, in sport, visitato 1761 volte)
Precisazione per i lettori che non masticano di sport: quel tipo allegro
ritratto qui sopra è un calciatore (fin qui ci arrivavate da soli), pure bravino,
sino a qualche mese fa molto amato dai tifosi bergamaschi. Non mi risulta che
abbia cromosomi "zingari", come è successo ad
altri
campioni..
Seconda precisazione: anni fa ho linkato con Google Alert la parola "zingari" per
ricevere segnalazioni puntuali sull'attenzione dei media. Ebbene, da qualche
mese le segnalazioni sono aumentate notevolmente, ma Rom e Sinti c'entrano una
beata cippa. Riguardano, ad ondate regolari, storie legate ad una nuova Calciopoli.
Sintesi: prima o poi qualcuno doveva scriverlo, è toccato a
Ticinonews:
"Voglio però aggiungere una cosa", prosegue Giulini. "Qui si sente parlare di
"zingari" e di "slavi" e queste sono reminiscenze che mi ripugnano. E che non
fanno bene a nessuno. Secondo me bisogna usare nomi e cognomi".
E se cercate altre notizie di sport, eccovi una settantina di
segnalazioni DOC.
Di Fabrizio (del 20/02/2012 @ 09:19:22, in lavoro, visitato 1279 volte)
Tzigania Tours (TzT) è
un'organizzazione senza scopo di lucro, che porta il turismo nelle comunità rom
tradizionalmente ostracizzate di Romania. Il nostro prodotto ed il suo lavoro
sono rom al 100%, anche se esiste un forte interesse internazionale sui Rom.
Siamo la prima e unica agenzia turistica in tutta Europa
specializzata in questioni rom.
TzT presenta la vita reale. Invitiamo a vedere i Rom come sono realmente. Non
troverete "arte performativa" nei nostri piani Tzigania, ma soltanto forti dosi
di realtà traboccante di zingari che indulgono nel loro naturale stile di vita
bohemienne.
La nostra ricerca ha trovato che mentre quasi tutti sanno dei Rom - pochi
sanno qualcosa su di loro al di là delle immagini poco lusinghiere o altrimenti
romantiche, veicolate dagli schermi televisivi. Ancora più scoraggiante che nove
turisti su dieci che visitano la Romania, sono soggetti ai molti livelli degli
stereotipi negativi, dei miti e/o esagerazioni che circolano sui Rom: che sono
sporchi, rubano, che detestano il lavoro, ecc. I nostri programmi offrono ai
turisti l'opportunità di incontrare e di conoscere per gradi i Rom in un
rapporto uno-a-uno, nel loro ambiente naturale e prendendo le loro decisioni...
Quello che troverete potrebbe sorprendervi.
Però, il nostro programma non è disegnato esclusivamente a vendere
divertimenti e riscoprire ricordi; la nostra forza propulsiva è più profonda. I
nostri obiettivi a lungo termine e ciò che ci aiuta a motivarci nel far
progredire lo status-quo attuale della segregazione sociale dei Rom, è di
aiutare a cambiare la mentalità di entrambe le parti in causa. Non è soltanto la
prospettiva dei non-Rom ad essere negativamente influenzata dagli stereotipi, ma
i Rom stessi soffrono di paura e diffidenza verso i "gagé" (i non-Rom). Tutti
hanno da guadagnare da queste esperienze uno-a-uno.
Quella è metà dei nostri obiettivi... I nostri progetti intendono anche
contribuire al miglioramento delle comunità fiscalmente prosciugate con
l'introduzione di una nuova forma di reddito: il turismo. Oggi, le entrate nelle
comunità zingare marginalizzate in Romania provengono principalmente dal sistema
assistenziale. Anche se nei quartieri zingari c'è abbondanza di manodopera e di
competenze, non ci sono investimenti, per cui i risultati sono la stagnazione e
la sopravvivenza giorno per giorno. Portare il turismo nelle comunità è il
nostro trampolino per stimolare l'economia zigana e suscitare nuovo interesse
per queste comunità abbandonate, la sua gente, le loro abilità ed i prodotti
romanì.
Di Fabrizio (del 20/02/2012 @ 09:40:12, in Regole, visitato 2055 volte)
Giornalismi.info L'avvocato del ragazzo italiano: "rispetto per la vittima,
ma va fatta giustizia, è competente il tribunale dei minori". Hanno puntato il dito contro Rom, Slavi, Nomadi e "Zingari": ma l'arrestato
e' italiano, come anche suo padre. Hanno detto che il ragazzo e' maggiorenne
basandosi sull'approssimazione di un esame radiologico, ma il test del DNA e i
certificati di nascita dicono il contrario. Quando la sete di giustizia si
trasforma in voglia di vendetta e "caccia allo straniero". 18 febbraio 2012
-
Carlo Gubitosa
(clicca per ingrandire)
Rom, rom di etnia sinti, zingaro, nomade di origine slava, slavo nato in
Germania. Sul ragazzo recluso a San Vittore per l'omicidio del vigile urbano
Nicolò Savarino è stato detto di tutto, ma ora sappiamo che Remi Nikolić è un
cittadino italiano nato a Parigi il 15 maggio 1994, fratello di Gojko Jovanović
(cittadino italiano nato ad Hamm, Germania), figlio di Snežana Nikolić
(cittadina serba nata a Rašanac) e di Zoran Jovanović (che nonostante il suo
nome straniero è un cittadino italiano nato a Busnago, nel cuore brianzolo della
Padania).
Mentre la comunità Rom di Milano attende invano delle scuse per il trattamento
da "caccia allo zingaro" riservatole dalla stampa quotidiana nel corso di questa
vicenda, la procura di Milano sarà chiamata nelle prossime ore a misurarsi con
questi dati, che oggi noi possiamo confermare in esclusiva dopo aver esaminato i
documenti del nucleo familiare e Il test forense del DNA datato 10 febbraio 2012
che ne certifica gli effettivi legami di sangue.
Dati che sembrano consegnare alla cronaca un ulteriore dramma che si aggiunge al
lutto della famiglia Savarino: la possibilità molto concreta che un ragazzo
minorenne sia recluso in un carcere per adulti tra i più "duri" d'Italia, con la
giustizia che si trasforma in vendetta negando quel supporto educativo,
psicologico e assistenziale che la legge prevede anche per gli assassini, quando
hanno meno di 18 anni.
Un pasticcio aggravato dalle false generalità fornite dal ragazzo, che
attualmente è registrato a San Vittore con il nome del fratello ventiquattrenne
Gojko, a cui si aggiunge l'ondata di sdegno che ha attraversato il paese in
seguito all'omicidio Savarino, aumentando il "peso" sul tavolo del Gip
dell'esame radiologico che attribuiva al ragazzo una età approssimativa di
diciotto anni.
In assenza dei riscontri che oggi il test del DNA è in grado di fornire,
la
competenza del caso è stata quindi attribuita al tribunale ordinario, e sono
serviti a poco il certificato di nascita rilasciato dalla quarta circoscrizione
del comune di Parigi (dichiarato inammissibile in quanto prodotto in copia) e il
documento d'identità rilasciato al ragazzo dal comune di Albignasego, che a sua
volta aveva provveduto alle opportune verifiche con le autorità francesi.
(clicca per ingrandire)
Per confermare la competenza del tribunale dei minori sul caso del vigile ucciso
a Milano, l'avvocato David Russo, che assiste il minore Remi Nikolić, ha
richiesto e ottenuto che si procedesse ad un test del DNA per verificare gli
effettivi legami di parentela tra le persone coinvolte nella vicenda. Dai
risultati delle analisi forensi effettuate dalla sezione dipartimentale di
Medicina Legale dell'Università degli studi di Milano, il ragazzo arrestato
risulta figlio della signora Nikolić con una probabilità del 99,999% il che
dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che è proprio lui quel ragazzo nato
a Parigi "domenica quindici maggio 1994, alle ore ventuno e trentacinque minuti,
in rue D'Arcole n.2" e registrato dalle autorità francesi diciassette anni e
nove mesi fa come figlio di Snežana Nikolić.
Anche il legame di paternità risulta confermato dalle analisi con valori che
"consentono di ritenere i rapporti di maternità, paternità e genitura come
praticamente provati".
Le prove sono state presentate nel corso dell'udienza che si e' svolta il
15
febbraio presso il tribunale del riesame di Milano, dove David Russo, l'avvocato
del ragazzo, ha invocato ancora una volta la competenza del tribunale dei minori
per questo caso.
"Siamo ben consapevoli che è stata stroncata una vita umana - ha dichiarato
l'avvocato Russo - e non possiamo che essere vicini al dolore dei familiari.
Ma
quello che chiediamo è che venga fatta giustizia, e non possiamo condannare
questo ragazzo se prima la giustizia non accerta chi è e quanti anni ha. E'
prioritario effettuare questo accertamento - prosegue Russo - perché c'è il
rischio che tutti gli atti processuali raccolti finora possano essere
considerati nulli in quanto prodotti da un tribunale incompetente".
Analisi di maternita' e paternita'
(clicca per ingrandire)
Ma il 17 febbraio il tribunale del riesame di Milano ha deciso: al collegio
giudicante basta un semplice esame radiografico (e non una perizia legale) per
determinare che quel ragazzo è maggiorenne con assoluta certezza, e valgono a
poco certificati di nascita e test del DNA, di cui potete visionare degli
estratti in questa pagina.
Le motivazioni di questa maggiore età "assegnata d'ufficio" sono piuttosto
kafkiane. Di fronte a quell'unico esame radiografico, a detta dei giudici Martorelli, Taccone e Corte il dubbio sull'età del nomade "sfuma, ed appare
evidentemente superfluo, foriero di inutili costi per la collettività".
E qui l'interpretazione si fa difficile: il dubbio sfuma o è
superfluo? Perché
se sfuma bisogna capire cosa lo fa sfumare, e quali documenti di prova lo fanno
sfumare perfino di fronte ad un test del DNA eseguito dall'Università di Milano.
Se invece il dubbio sembra superfluo, allora state violando i diritti di un
minore perché il codice penale prevede che in caso di dubbio si facciano degli
accertamenti affidando il soggetto al tribunale dei minori fino alla
determinazione della sua età, e quindi il dubbio sarà superfluo per il collegio
giudicante, ma è fondamentale per il codice penale.
Alle motivazioni incomprensibili si aggiungono quelle risibili: per il tribunale
del riesame il ragazzo "in più occasioni, ha dichiarato date di nascita che ne
attestano la maggiore età", e poco importa che poi sia stato indagato con
l'accusa di false generalità.
Per il collegio giudicante i documenti prodotti dalla difesa si basano su
"dichiarazioni di sedicenti parenti e testi", ma la parentela "sedicente" è in
realtà biologica, visto che i giudici non hanno in alcun modo confutato il test
del DNA eseguito dalla sezione dipartimentale di Medicina Legale dell'Università
degli studi di Milano. Semplicemente non lo hanno preso in considerazione.
Inquietante poi l'affermazione in base alla quale sarebbero "costi inutili"
quelli sostenuti dalla collettività per la tutela legale dei minori o dei "non
certamente maggiorenni", anche quando sono assassini. Chi se ne frega se ha 17
anni e 9 mesi o 18? Lo buttiamo in galera, gettiamo la chiave e risparmiamo
anche dei soldi.
Ma la vera motivazione di questa negazione dell'evidenza documentale sembra
trasparire da un'altra frase del collegio giudicante, che attribuisce al ragazzo
"assoluto spregio per la vita umana", e probabilmente è questa la ragione per
cui "si merita" di stare a San Vittore, indipendentemente dalla sua età e da
quello che prevede la legge per ragazzi della sua età.
Ma questo non è diritto, è vendetta. Una vendetta che a qualcuno potrà dare una
forma di macabra soddisfazione, appagamento o sollievo, ma che di fatto aggiunge
una nuova vittima a questa tragedia: lo stato di diritto. Se abbandoneremo la
giustizia per passare al giustizialismo, all'elenco delle vittime di questo
dramma umano, familiare, cittadino e sociale andrà aggiunta anche la nostra
civiltà democratica, che si manifesta anche anche in quel rispetto della persona
umana e dei suoi diritti riconosciuto dal codice penale e dalla costituzione
anche ai criminali.
Se cederemo all'odio, alla vendetta e alle reazioni di pancia che portano alla
negazione dell'evidenza documentale perfino quelli che indossano una toga, su
quel maledetto asfalto non avremo perso solo la vita di un vigile, ma anche lo
stato di diritto, che un tempo nel nostro paese veniva fatto valere anche per
capimafia come Riina e Provenzano, senza processi sommari e con un puntiglioso
esame delle carte. E questo nonostante l'"odiosità dei crimini commessi" e il
più che assoluto disprezzo per la vita umana attribuito agli imputati.
Oggi questo stato di diritto sembra sospeso per questo ragazzo a cui le carte
rifiutate dal tribunale attribuiscono 17 anni e 9 mesi, un ragazzo che possiamo
odiare quanto ci pare in quanto assassino o presunto tale, ma che almeno in
teoria non possiamo privare di quei diritti che lo stato riconosce "perfino"
agli assassini minorenni, a meno di non voler sostituire il codice penale con
l'"occhio per occhio".
E noi adulti non dovremmo essere migliori dei ragazzi a cui pretendiamo di
insegnare la morale e la giustizia? Vogliamo davvero che l'omicidio che ha
portato in galera questo ragazzo trascini a fondo anche noi, in un sonno della
ragione che porta i tribunali ad azioni che negano la realtà documentale e il
diritto penale? Cedere alla giustizia sommaria non è in fin dei conti una
sconfitta per chi cede alla tentazione della barbarie e della vendetta? La
giustizia chiara, limpida e cristallina al di sopra di ogni dubbio o sospetto
sui diritti negati all'imputato non è anche un dovere di rispetto verso la
famiglia della vittima?
Domande, queste, destinate a perdersi nei corridoi del palazzo di Giustizia di
Milano, dove il ventennale di "Mani Pulite" verrà macchiato da una grave
ingiustizia che nega elementi chiave di fatto e di diritto. Ma questa macchia la
vedrà soltanto chi avrà la mente abbastanza aperta da capire la differenza tra
la tolleranza verso un omicidio e l'intolleranza verso l'ingiustizia.
La famiglia di questo ragazzo se ne faccia una ragione: la civilissima Italia ha
deciso che non merita gli stessi percorsi di recupero riconosciuti agli
assassini minorenni, l'ha fatta troppo grossa, ha dato troppo scandalo.
E'
"maggiorenne ad honorem", perché Milano ha deciso che il Beccaria è un carcere
troppo leggero per lui. Che rimanga pure a San Vittore.
La "caccia al Rom" sui media italiani
L'omicidio dell'agente di polizia municipale Nicolò Savarino e' stato arricchito
nella cronaca da molti particolari "etnici", con la comunita' Rom di Milano nel
mirino dei titoli di giornale.
"Vigile ucciso, è caccia a due slavi" (La Repubblica),
"Incastrati dal cellulare:
sarebbero due rom sinti" (Corriere della Sera), "I Rom finiscono sotto torchio"
(Il Giornale), "Blitz nel campo rom ma gli assassini erano appena fuggiti" (Il
Giornale), "Basta fare favori ai Rom" (Libero): E' stato questo il tenore dei
titoli apparsi nei giorni immediatamente successivi all'uccisione del vigile.
A partire da questi titoli, l'ondata di intolleranza si e' propagata, con
articoli a sostegno della pena di morte e vere e proprie istigazioni al
linciaggio che hanno attraversato per giorni i blog e i social network.
Ma ora la cittadinanza italiana di Remi Nikolic, attualmente recluso a San
Vittore, e' un dato consegnato alla cronaca, come le origini "padane" del padre Zoran Jovanović, che nonostante il suo nome straniero è un cittadino italiano
nato a Busnago, nel cuore della Brianza.
Di fronte al trattamento riservato dalla stampa alla comunità rom in occasione
dell'omicidio del vigile Savarino, c'e' chi ha chiesto ragione di quello che a
posteriori appare come un "accanimento mediatico". Tra questi c'è
Dijana
Pavlovic, membro della "Consulta Rom" del Comune di Milano e vicepresidente
della Federazione "Rom e Sinti Insieme", che ha stigmatizzato il ruolo giocato
dai media e dalla politica in questa vicenda.
"E' l'ennesima volta che si strumentalizzano fatti di cronaca - afferma la
Pavlovic - con vere e proprie istigazioni all'odio razziale che hanno portato a
situazioni violente come quelle che si sono verificate a Torino. Sin da subito
abbiamo invocato il rispetto della carta di Roma, chiedendo che la vicenda di
Milano non venisse cavalcata politicamente e mediaticamente, ma questo e'
avvenuto nonostante i nostri inviti".
Dopo essere stata trascinata suo malgrado sulle prime pagine dei giornali, la comunita' Rom di Milano adesso presenta il conto della disinformazione. "Di
fronte alla provata falsita' di tutte le etichettature etniche dell'omicidio
Savarino - ha dichiarato Dijana Pavlovic - valuteremo con l'Osservatorio sulla
discriminazione la possibilita' di intraprendere opportune azioni legali a
tutela della comunita' Rom di Milano".
Tra il 2008 e il 2009 in Ungheria sono stati commessi numerosi atti di violenza
nei confronti della comunità rom. Delle 55 persone coinvolte, 6 sono rimaste
gravemente ferite e 5 sono morte e i sospetti sono attualmente sotto processo.
La stranezza di questi eventi (oltre ovviamente all'assurdità della violenza e
della morte) ha consistito nel fatto che tutte le vittime, sopravvissute o meno,
conducevano una vita normale, lavorando, studiando, abitando in condizioni
modeste e sotto il livello di povertà ma non in campi nomadi bensì in case. Lo
scopo, secondo il regista Bence Fliegauf che ha dedicato molto tempo a studiare
la tragica vicenda, non avrebbe dunque motivazioni razziste "classiche" e
immediate, ovvero il pericolo sociale e la delinquenza, ma un piano a lunga
durata per scatenare una vera e propria guerra civile con i gruppi nomadi per
eliminarli definitivamente.
Poco interessato agli autori dei crimini, che pure ha incontrato e
intervistato, (per la banalità del male), Fliegauf sceglie invece di avvicinarsi
in punta di piedi alle vittime e seguirle per un solo giorno, quello che per
loro sarà l'ultimo, dall'alba al tramonto. E per far questo mette al bando
qualsiasi stereotipo sui rom che cantano, ballano e suonano la fisarmonica e
soprattutto sono sempre in gruppo, per seguire i loro passi nella solitudine di
un bosco ai confini di un centro abitato, uno spazio « altro » custodito dai
vigilantes della comunità che passa repentinamente da idilliaco a tenebroso.
I quattro personaggi principali (madre, figlia adolescente, figlio ragazzino
e un anziano nonno arteriosclerotico) seguono i loro ritmi quotidiani, che sono
quelli «normali» : la madre lavora come donna delle pulizie, la figlia va a
scuola e fa i compiti, il figlio bigia e va in giro per i campi e al fiume con
gli amichetti. Tutto nella norma, se non fosse che la famiglia dei vicini è
stata sterminata mentre dormiva, la comunità vigila e su tutto aleggia
un'atmosfera di tensione tanto più insopportabile quanto i protagonisti sembrano
non percepirla. Eppure non è così perché ognuno di loro non fa altro che pensare
a quando si trasferiranno tutti in Canada per raggiungere il padre. Nel
frattempo mille piccoli episodi inquietanti si vanno a sommare, come subliminali
atti di razzismo a scuola e al lavoro, momenti di gentilezza invece da parte di
colleghi o compagni di liceo, esplosioni di rabbia subito sedate e la
raccomandazione continua di «fare attenzione».
Divenuto famoso nel 2010 con il discusso Womb (storia di una donna che clona
nel figlio l'amante defunto, interpretata da Eva Green), Bence Fliegauf è
probabilmente l'unico esponente della cinematografia ungherese contemporanea a
riuscire ad essere da anni ospite di vari festival internazionali. Utilizzando
spesso la macchina da presa a spalla, che soffia letteralmente sul collo dei
personaggi come se li inseguisse invece che pedinarli, costringe lo spettatore,
che già sa come andranno a finire le cose, a partecipare alla sorte dei
protagonisti aumentando il climax fino all'ultimo, quando invece lo congela con
un pudore che però non gli impedisce di mettere chi guarda davanti alle
responsabilità di tutta una società.
CAST & CREDITS
(CSAK A SZÉL) Regia e sceneggiatura: Bence Fliegauf;
fotografia: Zoltán Lovasi;
montaggio: Xavier Box; musica: Bence Fliegauf, Tamás Beke;
interpreti: Katalin
Toldi, Gyöngyi Lendvai, Lajos Sárkány, György Toldi; produzione: Inforg M&M
Film; origine: Ungheria/Germania/Francia; durata: 91'.
questa invece viene da L'Orda - Vietato l'ingresso agli italiani: Una fotografia scattata nel
1958 a Saarbrucken, alla finestra di un club. Il divieto d'ingresso per gli
italiani era bilingue. Si tratta solo di un esempio: simili avvisi, in Germania
e soprattutto in Svizzera, erano frequentissimi.
«Quel divieto intollerabile No alla giustizia fai-da-te» ASSOCIAZIONE SINTI. Il presidente condanna il cartello del negozio -
22/02/2012 E-MAILPRINT
Davide Casadio, presidente Sinti
«Non sono tollerate le discriminazioni razziali o etniche così come non sono
ammessi i furti: tutti devono rispettare le leggi e se qualcuno delinque bisogna
fare denuncia, non una pseudo-giustizia fai-da-te». Davide Casadio, presidente
dell'associazione sinti italiani e vicepresidente della Federazione rom sinti
insieme, alza le barricate. «Quel cartello non è tollerabile, è razzista anche
se la ragazza dice che il suo intento non è razzista: non si possono
discriminare alcune categorie». E aggiunge: «La legge è uguale per tutti, chi
ruba va punito, ma anche la giovane commessa deve attenersi alle regole». Se
qualcuno ruba nel suo negozio? «Deve chiamare le autorità». E se sono i bambini
a rubare? «Ne rispondono i genitori». L'Unar, Ufficio nazionale
antidiscriminazioni razziali, ha aperto un'istruttoria e chiede al Comune di
adoperarsi per togliere il cartello, cosa cui ha già provveduto la commessa.
UDC: «I TAGLI DELLA DESTRA». Sul tema interviene anche Antonio De Poli, deputato
Udc: «Capisco gli intenti della commessa ma francamente si tratta di
un'iniziativa che sta al di fuori delle regole. Non si può, in un Paese civile,
esporre un cartello che ricorda ben altri tempi. La gente è stanca di vedere i
delinquenti in giro e spesso, troppo spesso, è costretta a mettere in atto delle
iniziative, a volte anche discutibili, per tutelarsi e proteggere le proprie
attività. Tutto questo perché alle forze dell'ordine mancano la carta per
stampare e la benzina per le volanti. L'ultimo taglio risale ad agosto con la
manovra Tremonti quando al governo sedevano i paladini della sicurezza, ovvero i
leghisti. Questo è il risultato: la gente è esasperata».
LETTERA DI PRC. Irene
Rui, di Rifondazione comunista, scrive una lettera aperta: «Cara Fatima, tu non
sei razzista... sei il risultato di una società, di quei cittadini che passano
davanti alla tua vetrina e menano la testa per la disapprovazione e poi non
vogliono sentir parlare dei "zingari". Il tuo però è un atteggiamento razzista.
D'altronde cosa puoi fare tu, sola in quel bazar del centro, contro la
microcriminalità che aumenta... Tu che razzista dici di non essere lo sei
diventata per aver osato dichiarare ciò che gli altri nascondono sotto il
carbone "I zingari sono ladri"».M.SC.
GreenLeft
Jock Palfreeman in prigione a Sofia, 2009. Photo: Freejock.com -
Thursday, February 16, 2012
Nel dicembre 2009, il ventitreenne australiano Jock Palfreeman
venne condannato a 20 anni di prigione per omicidio a Sofia. Due anni prima era
stato coinvolto in una rissa contro un gruppo di 15 uomini, di cui uno morì per
una coltellata.
Palfreeman affermò di aver agito per legittima difesa, dopo essere stato
assalito da una banda di giovani ubriachi, mentre era intervenuto in
soccorso di due Rom, aggrediti a loro volta. Le dichiarazioni rese alla polizia
dai componenti della banda e da testimoni indipendenti, confermano ampliamente
la sua versione degli eventi.
Il processo è stato contrassegnato da diverse gravi anomalie, prima fra tutte
che la polizia ed i componenti della banda hanno cambiato la loro versione,
affermando che nessun Rom venne aggredito e che Palfreeman aveva attaccato il
gruppo senza motivo. Alla difesa è stato impedito di adoperare in tribunale le
dichiarazioni originali, come pure di interrogarli sul perché avessero cambiato
le loro testimonianze.
Nell'appello susseguente, alla difesa venne concesso di interrogare polizia e
membri della banda sul perché avessero cambiato le versioni sugli eventi. Molti
tornarono sulle loro dichiarazioni precedenti, che sostenevano la versione di
Palfreeman. I testimoni addussero confusione e perdita della memoria come causa
dell'aver cambiato le loro storie. Nondimeno, la corte d'appello confermò la
condanna originale.
Durante il processo sono state organizzate in tutto il mondo azioni di
solidarietà per Palfreeman. E' stato appoggiato anche da un importante gruppo
bulgaro dei diritti umani, il Bulgarian Helsinki Committtee.
Di seguito, Green Left Weekly rende pubblica una nuova lettera aperta
di Palfreeman.
* * *
Cari Compagni,
Da agosto 2011 sono stato condannato senza diritto d'appello al più alto
tribunale della Bulgaria, ad una pena di 20 anni in un carcere di massima
sicurezza.
Però, il tribunale ha cambiato il primo verdetto, stabilendo che erano presenti
dei Rom e che vi fu "una lotta tra i Rom ed il gruppo dei ragazzi".
Dato che i Rom erano 2 e il "gruppo dei ragazzi" in 15, l'uso del termine
"lotta" è abbastanza improprio. I neonazisti della South Division Levski Ultras
hanno negato che ci fu una "lotta" con qualsiasi Rom e persino negato la
presenza dei Rom stessi.
Tuttavia la corte d'appello, nonostante le contraddizioni dei neonazisti su
questo punto, ha continuato a sostenere che le dichiarazioni dei neonazisti
erano veritiere. Stranamente, il punto cruciale delle argomentazioni del
pubblico ministero è che non ci fu rissa tra neonazisti e Rom e che là non
c'erano Rom, da cui l'accusa contro di me di averli assaliti senza motivo.
Questa è stata anche la scusa per cui gli inquirenti non hanno portato i Rom a
testimoniare in tribunale. Però adesso il tribunale ha dichiarato che i Rom
erano presenti e che ci fu contatto fisico tra loro ed i neonazisti, ma nel
contempo la corte si ferma a screditare le testimonianze di questi ultimi e a
non fare alcun tentativo di trovare questi "nuovi" testimoni.
Fino ad oggi le uniche prove usate per accusarmi sono state le dichiarazioni dei
neonazisti stessi. Non ci sono altre testimonianze portate alla corte che io
abbia "senza alcuna ragione assalito 15 persone con l'intento di ucciderle".
Non ho cambiato la mia versione iniziale, che rimane la stessa quattro anni dopo
essere stato rapito dallo stato bulgaro. Ho assistito all'assalto di una banda
di 15 neonazisti contro due Rom, a causa del colore della loro pelle. Sono
intervenuto per difendere i due Rom.
Per questa e molte altre ragioni, stiamo tentando di rivitalizzare il movimento
di solidarietà sul mio caso, e su tutte le connotazioni che comporta, es.
razzismo, violente bande neonaziste e le complicità tra i poliziotti corrotti,
corruzione in tribunale e nel sistema carcerario.
I neonazisti non attaccherebbero la gente per strada, senza le protezioni
offerte loro da polizia e tribunali. E' significativo di come centinaia di
agenti dello stato siano necessari per fermare me, individuo solitario.
Nonostante queste centinaia, ho mortalità, sono nel giusto e sono loro nel
torto, questo è il perché sia necessario che loro siano così in tanti.
Chiamo all'azione quanti si oppongano al razzismo , tanto per strada che nelle
forme istituzionalizzate di fascismo: Questo marzo 2012 organizzatevi presso le
ambasciate o consolati bulgari nelle vostre città. Portate a conoscenza dello
stato bulgaro che [...] non riconoscete la decisione di incarcerarmi e di
proteggere i razzisti.
Ho anche chiesto l'estradizione in Australia per poter essere più vicino alla
mia famiglia e fuggire dalle persecuzioni contro di me, condotte
dall'amministrazione penitenziaria a favore di chi è legato al mio caso. Ma il
procuratore capo Boris Velchev con la sua cagnolina, procuratore Krassimira Velcheva,
hanno già provato a costringermi a ritirare la mia richiesta di trasferimento.
Ho rifiutato di farlo e perciò l'ufficio della Procura della Repubblica non
intende rispondere alle mie richieste, sulla base della legge bulgara, di
trasferimento in Australia.
Solidarietà a tutti i compagni, sia dentro che fuori.
Le richieste di
March 2012 solidarity sono:
Sia riaperto il caso di Jock, soprattutto per la mancata
testimonianza dei due Rom vittime.
Siano puniti i neonazisti per i crimini passati e siano
messi in condizione di non compierne altri.
Sia permesso a Jock di trasferirsi in Australia, come a
tutti gli stranieri di trasferirsi nei loro paesi.
Le lettere devono essere inviate a:
Head prosecutor of Bulgaria, Boris Velchev, Ns 2 Vitosha Boulevard, Sofia 1061,
Bulgaria.
Directorate of International Legal Assistance and European Integration,
Krassimira Velcheva, 2 Vitosha Boulevard, Sofia 1061, Bulgaria.
Minister of Justice, Diana Kovacheva, Ns 1 Slavanska Street, Sofia 1040,
Bulgaria.
Prime Minister of Bulgaria, Boiko Borrisov, Ns 2 Dondukov street, Sofia 1123,
Bulgaria
President of Bulgaria, Rosen Plevneviev, Ns 2 Slavanska street,
Sofia 1040, Bulgaria
Ministry of Foreign Affairs, N2 29 "6th September" street,
Sofia 1000, Bulgaria.
Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:31:14, in conflitti, visitato 1691 volte)
Domenica 26 febbraio alle ore 19.30, presso l'Obra Cultural, il Cantiere
Sociale de l'Alguer presenta "Qualche Rom si è fermato italiano".
Sono oltre 10 milioni i Romà d'Europa, la più grande minoranza etnica
transnazionale, formata da varie etnie accomunate dall'uso del romanésh,
antichissima lingua di origine indiana. Dieci milioni di persone di cui i due
terzi vivono al di sotto della soglia di povertà, confinati soprattutto in
Italia nei "campi nomadi", recinti suburbani senza strade, acqua corrente, luce
elettrica, con difficoltà e discriminazioni nell'accesso al lavoro,
all'assistenza sociale e sanitaria. La parola zingaro è carica di connotazioni
negative e rimanda a rappresentazioni stereotipate di un intero popolo a cui
vengono associati comportamenti sociali fuorvianti, veri o presunti. Spesso i
romà diventano i capri espiatori dei malfunzionamenti e delle perversioni della
politica e dell'economia dei nostri paesi.
Della lunga e sofferta storia di questo popolo, un tempo nomade ora sempre più
sedentarizzato, abbiamo scelto la pagina più tragica: lo sterminio da parte dei
nazifascisti. Porrajmos (distruzione) è la parola in lingua romanì
corrispondente all'ebraico Shoà: si stima che quasi 500.000 tra romà, sinti e
camminanti siano stati uccisi nei campi di concentramento tedeschi, con la
solerte collaborazione dei fascisti di Mussolini che in Italia e in Jugoslavia
provvedevano a rastrellare e caricare nei vagoni piombati ebrei e figli del
vento. Una storia a lungo dimenticata ma che aggrava il bilancio della follia
nazifascista: due, e non solo uno, furono i popoli perseguitati per motivi
razziali e destinati alla "soluzione finale": romà ed ebrei.
Durante la serata saranno proiettati i documentari "Porrajmos" di Paolo Poce e
Francesco Scarpelli, e "Un rom italiano ad Auschwitz"di Francesco Scarpelli ed
Erika Rossi (tratti dal dvd "A forza di essere vento" edito da A rivista
anarchica), e l'intervista a Pashana, realizzata dal Cantiere Sociale de l'Alguer
nel 2003.
Bica (nonna) Pashana, anziana capostipite degli Hadzovich, famiglia rom
khorakhanè che vive ad Alghero da quasi 40 anni, racconta la storia dei suoi due
fratelli, partigiani di Tito durante la II Guerra Mondiale (e di cui conserva
gelosamente un attestato al merito), le stragi che ha patito il suo popolo in
Jugoslavia per mano di tedeschi e ustasha, e poi la povertà, i lutti, la
semplice dignità di una vita sempre in viaggio. Con il solo desiderio della
serenità per se, ormai ultraottantenne, e la sua famiglia: speranza delusa dalla
sorda burocrazia italiana che gli ha negato "la pensia", l'agognata pensione
sociale. Per tutti noi un'occasione mancata per sentirci parte di una società
del diritto, prima che Pashana lasciasse la sua sempre più numerosa discendenza
per riprendere il suo viaggio.
La proiezione dei filmati si alternerà alle letture tratte dal libro "Màskar e
Borori", a cura di Joan Oliva.
«fuggi luna, luna, luna se verranno i gitani faranno del tuo cuore collane e
anelli bianchi» Federico Garcia Lorca, 'Romancero Gitano'
La
recente vicenda della commessa che a Vicenza ha esposto un cartello per
vietare l'ingresso "AI ZINGARI" ha sollevato diverse e comprensibili reazioni.
Come succede spesso, il rischio è che in una settimana il silenzio subentri al
clamore; sottopongo allora ai pazienti lettori alcune riflessioni da
riprendere col tempo.
Un primo punto riguarda la fruizione della notizia: CLAMORE
IMMEDIATO e SUCCESSIVO SILENZIO. La parola ZINGARI su quel manifesto (un
giornalista, un politico, uno studioso avrebbero adoperato il politically
correct ROM E SINTI) continua a riportarci indietro negli anni, nonostante
da lungo tempo si vada ripetendo quanto quel termine sia offensivo. E' la
dimostrazione che si continua a giocare "in difesa".
Ma, mi chiedo, è vero razzismo usare la parola ZINGARI?
L'ultima frase dell'articolo di
TMnews riassume bene il concetto:
La ragazza parla di ingiustizie, lei paga il biglietto sull'autobus e
gli zingari no. "Non sono razzista - rincara - ma le regole
devono valere per tutti". Insomma i suoi colleghi negozianti non
mettono cartelli ma non fanno entrare gli zingari.
...molto simili, questi negozianti, a giornalisti, politici, studiosi,
che usano il termine "Rom e Sinti", ma magari hanno il terrore di un contatto
fisico con qualcuno di loro.
La commessa: io penso che razzista sia stata la scritta, non
chi l'ha vergata, e sicuramente lei non si percepisce tale. Racconta di sé su
La nuova Venezia:
«Entrano e scappano con la roba. Io do quello che posso a chi chiede
aiuto. Ecco, qui ho una bottiglia di shampo difettata, la do a
chi me la chiede, do anche lo yogurt della mia colazione. Ma
tutti vogliono soldi, non aiuto. L'altro giorno sono stata
aggredita da un uomo di colore. Gli zingari non fanno del male,
ma entrano in tanti, con i bambini si riempiono le tasche di
roba ed escono dalla porta senza pagare. Io li rincorro. Ho
chiamato la polizia quando sono stata aggredita, ma se non hai
un avvocato e i soldi non serve a niente».
Ragionamenti che appartengono probabilmente alla gran massa del resto della
popolazione, che più che il problema del razzismo o degli zingari, si pone
quello dell'arrivare a fine mese.
Questa ragazza, che ha messo la questione sul tappeto con molta più chiarezza
di qualsiasi sociologo, suscita scandalo perché giovane e soprattutto perché è
di origini marocchine e (come si scrive oggi) immigrata di seconda generazione.
Questo particolare diventa anzi la chiave di lettura dell'articolo di
Tuttogratis.
Per questo invitavo a riflessioni più approfondite e meno scandalizzate.
Parto da una provocazione:
Se tu lettore fossi un immigrato, un rom, un sinto... cosa diresti se
qualsiasi italiano ti spiegasse che sì, la piena integrazione è un tuo diritto,
ma a differenza degli italiani non hai diritto a lamentarti se qualcuno ti ruba
qualcosa? AUMENTANDO LA PROVOCAZIONE: se io ho gli stessi diritti (e
doveri) di un italiano, perché non mi riconoscete il diritto di essere razzista
quanto e più di voi?
Gian Antonio Stella, quando scrisse
L'Orda,
svolse un lavoro egregio di ricostruzione della memoria di un Italia passata
dall'essere vittima di razzismo a paese che si mostra sempre più razzista. Sul
Corriere della Sera è tornato sul concetto dei penultimi che per salire
mettono i piedi in testa agli ultimi.
Il razzismo è una malattia che si può curare, ma non sono
sicuro che esista un vaccino efficace ed universale. E' successo agli italiani,
succede oggi agli immigrati ed alle seconde generazioni. Se gli zingari
(pardon: i Rom e i Sinti) ne sono tuttora immuni, è perché (indipendentemente
dai progressi socio-economico-politici di alcuni dei loro settori),
rimangono gli ULTIMI nella percezione popolare.
Hanno allora tutte le ragioni ad argomentare contro il razzismo che
subiscono quotidianamente (e quello della commessa vicentina è forse meno
doloroso di altri), ma ATTENZIONE che se anche per loro arrivasse... non dico
tanto, ma almeno il riconoscimento di essere persone come tutti... credo
sconsolatamente che cercherebbero a loro volta un PARIA con cui
pigliarsela.
Ad esempio: da almeno due decenni assisto a situazioni dove Rom e
Sinti italiani incolpano della loro situazione i Rom stranieri, e Rom slavi di
lungo insediamento che se la prendono con l'arrivo di Rom bulgari e rumeni...
SONO ATTEGGIAMENTI RAZZISTI? Apparentemente sì, anche perché espressi con più
rabbia di un italiano, che non si sente personalmente minacciato da questa
"concorrenza tra poveri".
Eppure, ricordo tanti anni fa, i Rom che conoscevo allora vedevano di
mal occhio l'arrivo dei primi immigrati dal Nord Africa: pubblicamente contro di
loro ne dicevano di tutti i colori, ma quando questi immigrati avevano necessità
di un piatto di minestra, di una roulotte dove ripararsi, dove pensate che
andavano a chiedere? Proprio da quei Rom che di loro parlavano male, ma che
lontano da occhi indiscreti riscoprivano la loro antica solidarietà.
Come noterete, non è un atteggiamento molto distante dalla nostra commessa di
Vicenza.
Però, dopo tutto questo scrivere di razzismo, devo deludere i miei lettori,
non è di quello che mi premeva ragionare, non adesso, perlomeno.
Il razzismo ha diversissime maniere di manifestarsi, soprattutto
perché dietro quel concetto si mascherano spesso problemi più
pratici.
Ragionando sulla commessa (di seconda generazione, ricordiamocelo),
e rileggendo l'articolo di Stella che ho menzionato prima, è da inquadrare
l'ambiente in cui si sviluppa la vicenda: il Veneto già terra
di immigrazione e poi roccaforte leghista. Con tutte le contraddizioni che si
porta dietro: quelle di un territorio molto più curato e protetto rispetto a
tante altre regioni italiane, ma anche patria (assieme alla Brianza) del
fenomeno dei capannoni con fabbrichetta abbinata o del consumo di suolo.
Se ad esempio a Treviso (dove è ancora l'ex sindaco Gentilini a dettare la
linea politica) l'ideologia leghista ha raggiunto parossismi tra
l'avanspettacolo ed il codice penale, la sua provincia è quella che
percentualmente ha attirato più immigrati. Sembrerebbe un paradosso, ma la cosa
(ad un milanese come me) riecheggia certe dichiarazioni dell'ex sindaco De
Corato che, gonfiando fascistamente il petto, giustificava ai giornalisti i suoi
sgomberi infiniti spiegando come alcuni sondaggi mostrassero che la città di
Milano fosse una delle mete di arrivo preferite per i Rom stranieri.
Non che mi sia mai fidato di De Corato, ma qualche domanda su quanto sia
complesso interpretare le realtà locali me la pongo.
Il Veneto, il nord-est in genere, come sistema economico, quante volte se n'è
sentito parlare in questi anni. Il Veneto dove un'immigrata di seconda
generazione si è talmente integrata da assumerne la mentalità, con tutti i lati
positivi e negativi. Ma quest'area, dove a vari livelli convivono e producono
genti così diverse, è stata anche tra le prime, oltre 15 anni fa, a
delocalizzare la produzione all'estero. Erano già allora i primi segnali di un
modello che andava ripensato, e che nonostante la sua pretesa autonomia ed
autosufficienza, non era in grado di reggere all'innovazione della
globalizzazione.
La paura - o la constatazione - di non farcela: quel bazar chiuderà a
marzo. E i negozianti del quartiere che testimoniano: «Da un po´
di tempo i nomadi passano con maggior frequenza - racconta Mauro
Oliviero, fruttivendolo in contrà XX settembre - Prima passavano
solo il giovedì, giorno di mercato; sarà la crisi?».
Forse è la crisi. Vedere mamme e bambini nomadi sui marciapiedi
del centro a chiedere l´elemosina ormai è una costante. Non lo
fanno solo loro. E non è una novità assoluta. La crisi, comunque
sia, condiziona il clima.
La prima vittima è proprio la solidarietà che quel modello non è stato in
grado di far attecchire. La seconda, purtroppo, è la commessa di Vicenza, quella
seconda generazione che ha potuto per ultima approfittare della ricchezza
veneta, e come i suoi coetanei italiani avrà un futuro incerto di fronte a sé.
Tocca ancora al
Giornale di Vicenza fornire una sintesi con le parole della commessa stessa.
A questo punto, torniamo un attimo al razzismo o meglio, ALLE COSE DA FARE.
Il cartello è sparito dalla vetrina, l'UNAR
ha aperto una propria inchiesta. Potrebbe sembrare un lieto fine, ma ho i miei
dubbi, perché:
la commessa non ha cambiato opinione, si è limitata a
cambiare atteggiamento;
l'UNAR sta facendo cose notevoli, ma quante delle inchieste
che apre periodicamente portano ad un costrutto? Corre il
rischio, di fronte agli innumerevoli argomenti da affrontare ed
alle pressioni politiche a cui è sottoposto, di trasformarsi
nell'ennesimo carrozzone parolaio italiano, più funzionale ai
tecnici che vi sono parcheggiati che nell'affrontare e risolvere
i problemi.
Premesso che non conosco la realtà del Veneto così bene dal
poter dare consigli, ho tentato di spiegare quali sono per me alcuni punti
nodali da affrontare, di una versione molto più complessa di come si presenta
apparentemente.
Ci sono problemi generali, dove razzismo, zingari, immigrati sono
alcuni degli elementi. E ci sono poi situazioni particolari, dove le varie aree
del paese hanno specificità, storie, risorse diverse.
E' possibile INTERVENIRE ADESSO, oppure aspettare la prossima notizia simile.
Ma soprattutto, occorre coniugare le sacrosante battaglie per i principi
universali, all'individuazione di soluzioni PRATICHE più localizzate, che
mettano in moto soggetti e competenze che già esistono.
In parole povere, vedrei la necessità di istituire in tutte le città
medio-grandi (ma anche nelle piccole, se ci sono necessità e competenze), di un
TAVOLO-CONSULTA locale (chiamatelo come volete), dove
affrontare questi argomenti, assemblea che veda la partecipazione di soggetti
tra loro diversi, ma comunque coinvolti: associazioni di immigrati,
organizzazioni di Rom e Sinti, assieme ad amministratori, sindacati dei
lavoratori e di categoria, associazioni imprenditoriali, cooperative...
(l'elenco può anche continuare, ma fermiamoci prima di riscrivere le Pagine
Gialle!).
Lo scopo è di agire sulle tante leve che rimandino ad azioni condivise,
sostenibili e che facciano uscire dal ghetto, dove Rom e Sinti rischiano di
venire rinchiusi parlando del solo razzismo, senza affrontarne le cause.
Creando nel contempo quella conoscenza e quell'azione comune indispensabili per
ottenere (ed offrire) solidarietà.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: