Rom, gli impegni non mantenuti dal Comune di Roma
Di Fabrizio (del 23/03/2014 @ 09:08:49, in casa, visitato 1708 volte)
di Riccardo Noury
Miriana Halilovic è una cittadina italiana, italianissima. Ha due gemelle nate
l'estate scorsa e altri due figli, di quattro e 11 anni. Sgomberata nel 2010 dal Casilino ‘900, vive nel campo di Salone con la famiglia in una roulotte composta
da due piccole stanze da letto e un vano per cucinare e mangiare. Ha fatto
domanda per uno degli alloggi popolari del comune di Roma.
Come Miriana, molti dei circa 4300 rom residenti nei campi autorizzati di Roma
hanno presentato quella domanda. Invano. Dei 50.000 nuclei familiari che vivono
nelle case popolari della capitale, lo 0,02 per cento sono rom.
Stanno bene come e dove stanno, direte. Eppure, la stragrande maggioranza del
rom incontrati da Amnesty International negli ultimi anni ha detto di averne
abbastanza della vita nei campi. Vorrebbe, come chiunque, una casa degna di quel
nome. Per avere un futuro, perché - come dice Kinta del campo di Castel Romano
(nella foto) - "qui dentro non c'è futuro, c'è spaccio di droga,
tossicodipendenza. Qui non c'è vita".
Nonostante le loro povere condizioni di vita, fino al 2012 i criteri per dare
priorità alle domande di alloggio popolare hanno impedito ai rom di accedervi.
Il richiedente doveva dimostrare di essere stato legalmente sfrattato da un
alloggio privato in affitto, cosa impossibile per i rom residenti nei campi o
sgomberati forzatamente da questi ultimi.
Alla fine di quell'anno è stato introdotto un nuovo criterio per dare priorità
alle persone che si trovavano in gravi condizioni di svantaggio ed erano
ospitate a titolo provvisorio in strutture fornite da enti caritatevoli o dallo
stesso Comune di Roma. Quando i rom residenti nei campi hanno iniziato a
presentare domande, la giunta Alemanno si è affrettata a chiarire, con
una
apposita circolare, il 18 gennaio 2013, che quel criterio non si applicava nei
loro confronti, in quanto i "campi nomadi" erano strutture "permanenti" e non "provvisorie".
Poi ci sono state le elezioni e si è insediata la giunta Marino. Gli
sgomberi
dei campi informali sono proseguiti, accanto a
dichiarazioni pubbliche sulla
necessità di un piano per integrare le comunità rom.
In un incontro avuto in Campidoglio il 28 ottobre 2013 con Amnesty
International, l'assessora alla solidarietà sociale e alla sussidiarietà Rita
Cutini ha dichiarato il suo impegno a ritirare la circolare discriminatoria.
Amnesty International ha espresso pubblicamente il suo
apprezzamento per queste
parole.
Sono passati cinque mesi e la circolare rimane in vigore. Non solo. Il sindaco
Marino non ha neanche ritenuto necessario rispondere a una lettera di Amnesty
International ricevuta ormai più di un mese fa (qui il testo integrale).
È bene chiarire un paio di cose. Amnesty International non intende sollecitare
una corsia preferenziale per i rom che chiedono di poter accedere alle
graduatorie per l'assegnazione delle case popolari; chiede che non ne siano
esclusi per la semplice ragione della loro origine etnica.
Va anche detto che tutelare il diritto all'alloggio per tutti - un obbligo
internazionale per l'Italia come per ogni altro stato - è una sfida complessa,
anche perché il patrimonio immobiliare di proprietà pubblica nel nostro paese si
è progressivamente ridotto: il 5 per cento del patrimonio immobiliare
complessivo, rispetto al 23 per cento in Austria e al 32 per cento in Olanda.
Le liste d'attesa sono infinite. Al ritmo attuale di 250 assegnazioni all'anno,
per assegnare gli alloggi a tutti i richiedenti, l'ultimo oggi in graduatoria
l'otterrebbe tra 117 anni.
Dunque, per risolvere il problema degli alloggi a Roma, senza discriminare poche
centinaia di famiglie rom, il Comune di Roma dovrebbe impegnarsi seriamente per
accrescere la disponibilità di alloggi pubblici per le migliaia di
famiglie della capitale che hanno disperato bisogno di un'abitazione.Rom, gli impegni non
mantenuti dal Comune di Roma
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