... anzi, fate finta di aver afferrato la coda, e di aver
vinto un altro paio di giri
Mi sento a disagio nel parlare del termine CULTURA, ma non potrei fare
altrimenti, portate pazienza...
Quando qualcuno accenna alla "cultura rom", mi trovo a chiedere cosa
significhino quelle due parole affiancate. Se, per esempio, mi chiedessero di
descrivere la "cultura italiana", non saprei farlo. O, ad esempio, qual è la
"cultura USA", quella dominante? Il Midwest, la California, o New
York? E se fosse NY: Brooklyn o il Bronx?
Vorrei partire, quindi, dalla cultura NOSTRA:
La segnalazione è sul profilo FB di
Tahar
Lamri, collaboratore (tra l'altro) di Internazionale.
Questo il suo messaggio:
In Francia. I poveri non possono nemmeno cercare cibo nei cassonetti dei
rifiuti. Su questi cassonetti dei rifiuti dei supermercati 8 à Huit (Gruppo
Carrefour) c'è scritto: "Chiunque venga sorpreso a rubare da questi cassonetti
sarà perseguitato dalla gendarmeria", "Il contenuto di questi cassonetti è stato
irrorato con varechina". Sì avete letto bene "rubare"! Dove ci porterà questo
sistema?
Nella mia ignoranza, questa è cultura, la nostra cultura. Cultura nel senso
che quegli avvertimenti non ci fanno più ricchi, non migliorano la nostra vita.
Sono, soltanto, i voleri di chi ha pance piene (mica sempre) e vede il pericolo
del partito delle pance vuote. E al posto di parlare con le pance vuote, spreca
varechina.
LO SCANDALO
Il panno insanguinato
Siamo rimasti fuori dalla roulotte
Lanciando terra, pietruzze,
Rifiuti, cantando, suonando serenate
Finché la coppia di sposi
Ha finalmente esposto
Il panno insanguinato.
Quindi ci siamo ubriacati
Per celebrare la nostra ragazzina
Che adesso era una donna.
Per il resto delle loro vite
Conserveranno quel panno
Che prova il loro matrimonio.
Non è meglio
Di quello stupido pezzo di carta
Che le autorità italiane pretendono
Per dimostrare che i tuoi figli
Sono legittimi?
E' la poesia di Paul Polansky che chiude il
calendario 2014 dell'associazione 21 luglio. Una persona che l'ha ricevuto
in regalo, l'ha ritenuto diseducativo, per essere precisi quando parla di un
atto, assolutamente privato, che questa persona trova orribile, come altre
pratiche (infibulazione, escissione, matrimoni imposti ecc ecc). Ha difficoltà
ad accostarsi a questa cultura, continua, e trova che sia un atteggiamento
presuntuoso chi attinge dalla [nostra] civiltà e progresso ciò che fa
comodo [che serve] e rifiuta il resto.
Col medesimo disagio con cui iniziavo questo post, penso che:
- è relativamente facile dichiararsi femminista (o di
qualsiasi altra idea) avendo come riferimento il nostro mondo, e
pensandolo migliore degli altri (salvo poi criticarlo
aspramente). Il nodo è quel pensarsi in grado di giudicare 11
mesi di un calendario dal dodicesimo, identificare una cultura
altra da un particolare, togliendosi la possibilità di conoscere
gli altri particolari;
- una critica esposta in quel modo non verrà raccolta che da
settori minoritari della gente a cui dovrebbe essere rivolta.
Che si sentirà ulteriormente discriminata. E' un suo costume, e
sospetto che continuerà a sussistere per decenni;
- ma forse, era anche un costume nostro, e sicuramente lo è
per una buona fetta della popolazione mondiale. Ignorare quello
che è un puro dato di fatto perché cozza contro le proprie "opinioni-sensibilità-ideologia
ecc ecc" mi sembra un po' superbo;
- forse, se si vuole almeno iniziare a cambiarli, questi dati
di fatto, bisogna trovare il modo di interloquire con i
"selvaggi", e non limitarsi a considerarli dei "selvaggi".
Ma sul punto 4. tornerò tra poco.
TEMP'ADDIETRO (ANCORA OGGI)
Una volta, tanti e tanti anni fa, sarei stato capace di definire il termine
CULTURA. Ero un ragazzo perso nella vivacità degli anni '70, e come capita da
giovani ero rimasto innamorato della rivista Il Politecnico, o meglio del famoso
primo articolo di Elio Vittorini, di cui cito tre parti:
UNA NUOVA CULTURA
Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che
protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini
Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa
guerra. ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I
morti, se li contiamo, sono più di bambini che di soldati;
[...]
Pensiero greco, pensiero latino, pensiero cristiano di ogni tempo, sembra non
abbiano dato agli uomini che il modo di travestire e giustificare, o addirittura
di rendere tecnica, la barbarie dei fatti loro. E' qualità naturale della
cultura di non poter influire sui fatti degli uomini?
Io lo nego. Se quasi mai (salvo in periodi isolati e oggi nell'U.R.S.S.) la
cultura ha potuto influire sui fatti degli uomini dipende solo dal modo in cui
la cultura si è manifestata. Essa ha predicato, ha insegnato, ha elaborato
princìpi e valori, ha scoperto continenti e costruito macchine, ma non si è
identificata con la società, non ha governato con la società, non ha condotto
eserciti per la società. Da che cosa la cultura trae motivo per elaborare i
suoi princìpi e i suoi valori? Dallo spettacolo di ciò che l'uomo soffre nella
società. L'uomo ha sofferto nella società. l'uomo soffre. E che cosa fa la
cultura per l'uomo che soffre? Cerca di consolarlo.
[...]
Io mi rivolgo a tutti gli intellettuali italiani che hanno conosciuto il
fascismo. Non ai marxisti soltanto, ma anche agli idealisti, anche ai cattolici,
anche ai mistici. Vi sono ragioni dell'idealismo o del cattolicesimo che si
oppongono alla trasformazione della cultura in una cultura capace di lottare
contro la fame e le sofferenze?
Occuparsi del pane e del lavoro è ancora occuparsi "dell'anima". Mentre non
volere occuparsi che "dell'anima" lasciando a "Cesare" di occuparsi come gli fa
comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione intellettuale e
dare a "Cesare" (o a Donegani, a Pirelli, a Valletta) di avere una funzione di
dominio "sull'anima" dell'uomo. Può il tentativo di far sorgere una nuova
cultura che sia di difesa e non più di consolazione dell'uomo, interessare gli
idealisti e i cattolici, meno di quanto interessi noi?
Elio Vittorini [n. 1, 29 settembre 1945]
QUI il testo completo dell'articolo. Alcuni punti mostrano i quasi 70 anni
passati da allora (ad esempio, per restare in tema, il fatto che il termine
"uomo-uomini" oggi sarebbero politicamente scorretti). Il punto nodale resta: la
segnalazione di Tahar Lamri riguarda una cultura (che sia di destra, razzista o
semplicemente padronale), che si da strumenti per modificare l'equilibrio delle
cose, che viceversa potrebbero rimanere come sono, senza che una delle due parti
in causa ne tragga un vantaggio materiale. Questo, la definisce come cultura.
Il secondo caso è invece, secondo me, un puro sfogo intellettuale, che nel
non riconoscere l'esistenza di qualcosa che è altro, nega anche la possibilità
di cambiare, di discutere, gli attuali equilibri e di capire le cause di tanti
disequilibri. Parafrasando un'altra frase celebre, don Milani, è "una cultura che cura i sani e allontana gli ammalati".
Se dovessi dire la mia sulla condizione femminile e sulla coscienza politica
delle Romnià, potrei concludere che non è simile ovunque, perché diverse sono le
persone e diverse le loro situazioni. E' rom, si considera tale,
Ostalinda Maya Ovalle, femminista e ricercatrice dell'European Roma Rights
Center, vale lo stesso discorso per quella donna che centra la sua identità
nella poesia di Polansky che urta la sensibilità, come lo è la ragazzina che nel
libro
IL PIANTO DEGLI ZINGARI (sempre di Paul Polansky) rifiuta il suo matrimonio
combinato.
Ma dopo tanti ragionamenti, devo passare ai MIEI ricordi personali. Discutevo
qualche settimana fa con una gagì, anche lei impegnata per la condizione delle
romnià con cui interagisce e consapevole di quando continuare un discorso e
quando interromperlo, per non spezzare il filo che la tiene unita alle altre
donne. Le dicevo, sconsolato, che vent'anni fa e con un'amministrazione
leghista, la condizione delle donne tra i Rom era migliore di oggi. Migliore,
perché erano loro a fare da cerniera tra la loro società e quella esterna. Erano
mediatrici scolastiche, mediatrici sanitarie, istruite e partecipi.
Erano LORO a voler cambiare. Dopo 20 anni, quel capitale culturale è quasi
totalmente andato perso. Perché si erano fidate di noi, della società esterna,
ma nonostante la loro PROFESSIONALITA', quei tentativi e molti altri sono stati
mandati in malora dalle amministrazioni che sono seguite. E allora, per
donne e uomini, si è assistito al ritorno di pratiche, costumi e diffidenze che
c'erano sempre stati. Si è trattato, sempre di un dato di fatto parlo, di
contrapporre una cultura della collaborazione che contava qualche anno, a
pratiche di sopravvivenza e identitarie che sono secolari. Sentitisi traditi,
stanno tornando indietro di 20-30 anni, senza che io debba giudicare questo
giusto o sbagliato. E', a differenza del passato, una sorta di cultura che si
definisce per sottrazione.
Quindi, cosa resta della cultura? Nuovamente, cedo la parola a Paul Polansky:
Il professore
Un professore universitario
Ha chiesto a mio nonno
Di accompagnarlo
In tutti i campi
Per chiedere se crediamo ancora
Che il sole sia come Dio.
Per chiedere se le donne
Leggano ancora il futuro.
Per chiedere se le nostre donne
Succhino ancora i vermi
Fuori dalle orecchie dei bambini
Fuori dai cervelli dei bambini.
Per chiedere se facciamo medicine
Con i cuccioli dei topi.
Per chiedere se curiamo la bronchite
Con grasso di cane, d'oca
E di cavallo.
Per chiedere se compriamo ancora
Le nostre mogli.
Per chiedere se chi non può
Permettersi di comprare una moglie,
La rapisce.
Per chiedere se crediamo ancora
Che ogni casa ha un serpente
Che vive nelle fondamenta
E viene fuori di notte
Per proteggerci.
Per chiedere se pronunciamo ancora
I nostri giuramenti
Sul pane.
Per chiedere se posiamo
Due pietre di fiume
Sulle nostre tombe
Così che i morti
Abbiano acqua in cielo.
Per chiedere se crediamo ancora
Nel malocchio,
Nella magia nera.
Per chiedere se crediamo ancora
Che i morti ritornino
Per osservarci
E tormentarci.
La gente dei campi Sinti disse al professore
Che gli italiani si sono presi i nostri cavalli,
I nostri carri, i nostri lavori,
La nostra lingua, le nostre vite,
Quindi cosa ci resta
Da credere,
Al di fuori delle nostre tradizioni?
[Il silenzio dei violini pagg. 45-47]
Nota dell'autore
Ho scritto le poesie di questa raccolta esprimendo in prima persona la voce dei
Rom e Sinti di cui ho raccolto le storie tramandate oralmente. Ne consegue che
se queste sono opere scritte da me, le esperienze e le testimonianze sono loro.
SPOT
Il calendario dell'associazione 21 luglio puoi anche scaricarlo in formato .pdf
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