da
napolimonitor (emma ferulano)
Le immagini del breve documentario proiettato martedì scorso nell'ambito del
Festival Cinema e Diritti Umani sulla vita quotidiana nel campo di Masseria del
Pozzo a Giugliano dove vivono almeno trecentocinquanta persone, rom, sono
immagini di guerra. Una guerra istituzionale, silenziosa e spaventosa che si
consuma sul territorio campano, vicina a tutti noi, da molto tempo. L'ultimo
atto è stata la delibera del comune di Giugliano che, esattamente a dicembre di
un anno fa, stabiliva il trasferimento immediato e temporaneo - che ancora dura
- di questo nucleo di "popolazione rom" in un'area che, secondo quanto ammette
con una certa indignazione il commissario alle bonifiche della Regione Campania
De Biase, invitato a partecipare all'incontro, non è semplicemente inquinata, ma
una vera e propria discarica, tra i siti più inquinati della regione, oggetto di
indagini della magistratura.
Il trasferimento e l'allestimento minimo dell'area attrezzata (recinzioni, brecciolino, quadro elettrico e pochi bagni da campeggio, tubature già intasate)
sono costati 379.210,00 euro da fondi PON del ministero dell'interno. La
prefettura di Napoli ha assicurato il supporto al comune di Giugliano
(commissariato ora come allora), una volta che questo avesse accertato
l'"effettiva utilizzabilità del sito prescelto", cosa che effettivamente accade,
compreso il parere favorevole dell'ASL 2. Amministratori locali, esponenti del
volontariato e, secondo la delibera, almeno "un capo villaggio rom", si
ritengono soddisfatti di questa scelta e si dispone l'esecuzione immediata del
provvedimento.
Martedì si è svolta una giornata per denunciare una situazione che non può
restare nascosta né cronicizzarsi come molte altre. Un gruppo informale ha
contribuito alla costruzione del piccolo evento, a Giugliano, che ha visto anche
la numerosa partecipazione dei rom, tra cui molti giovani e bambini, che vivono
nel campo e si sono rivisti in quelle immagini. L'intento è di proseguire
l'azione di denuncia anche oltre la giornata, sperando di ottenere risultati
concreti, in termini di alternative abitative e di smantellamento di un luogo in
cui è difficile pensare di trascorrere un anno di vita.
I rom provenienti da Bosnia ed ex-Jugoslavia vivono a Giugliano da circa
trent'anni; comunità storiche, frammentate, che evidentemente hanno trovato
negli anni la capacità di articolare radicate strategie di sopravvivenza e di
relazioni in un territorio che si racconta come ostile ma in cui tutti
convivono. Parlare di emergenza e agire con quest'unico principio ispiratore,
che ha portato alla recente infausta scelta istituzionale giuglianese, oggi vuol
dire non solo che il piano della discussione è fuori dal tempo e dalla storia,
ma anche che a livello sistemico - sul piano politico, culturale, sociale - è
ancora tabù parlare di scelte "diverse", dignitose e non discriminanti per i
rom. Il "superamento dei campi" è ancora un discorso che, nel profondo, non
viene accettato dalla società maggioritaria, la nostra. Resta appannaggio di
pochissimi, spesso perdenti, che si rompono la testa a furia di parlare una
lingua che forse non si comprende.
Il campo di Giugliano è la punta di diamante di quello che sono tutti i campi
rom d'Italia e d'Europa. È l'esemplare peggio riuscito, l'errore madornale di
cui non si può tacere, perché avviene qui e ora, in un momento in cui l'intera
Europa prova a dare un'altra impronta - e con essa importanti fondi - "per le
politiche di inclusione dei rom" (Purtroppo, bisogna ammetterlo, questo
significa anche che siamo appena all'inizio dell'industria e della rete di
progetti che avviluppano le comunità rom e probabilmente finché esisteranno
progetti ad hoc per i rom, i rom resteranno una minoranza che va verso la specie
protetta nell'immaginario di tutti).
Nel nuovo campo istituzionale, accade tutto quello che accade nei vecchi campi
istituzionali: la scuola è un servizio che stenta ad affermarsi, la sanità non è
un servizio a cui tutti accedono, i servizi di base scarseggiano per le
operazioni quotidiane minime; quando piove si allaga tutto, la distanza dal
resto del mondo è di anni luce, il campo infatti è in una zona ai margini dei
margini, non tutti hanno i documenti, il lavoro non è nemmeno tema di
discussione... Non si può parlare del campo di Giugliano in maniera isolata, non
se ne può parlare "solo" in relazione al disastro ambientale, da cui bisogna
mettere tutti al riparo con urgenza ma anche attraverso battaglie trasversali
che si svolgono sull'intero territorio regionale in maniera sempre più
consapevole.
La rete civica e politica può e dovrebbe essere internazionale, bisogna provare
a uscire dall'isolamento di un sud Italia che vuole considerarsi e crogiolarsi
nei suoi mali, e far uscire dall'isolamento le questioni che riguardano i rom
che non possono essere sempre un settore a parte, speciale e da specialisti.
Così come l'informazione dovrebbe uscire da una certa retorica improvvisamente
indignata che "salva" e si spende per i rom un po' più facilmente quando sono
evidenti, e innocue, vittime di un sistema impazzito.
Un rom che interviene dal palco ringraziando tutti per essere lì, esprime molto
chiaramente quelle che sono le richieste essenziali: poter mandare i figli a
scuola con gli altri bambini, non in classi speciali inventate per l'occasione
e, con un riso quasi amaro, sommesso e ironico, di poter aspirare in futuro a
qualcosa di meglio di un campo. Con il coinvolgimento paziente, graduale,
diretto dei rom, dei cittadini, dei territori, i tempi possono essere maturi per
denunciare e capovolgere la situazione, non solo quella di Giugliano.