Leggendo questo pezzo, ho avuto due reazioni: Una di
prenderlo come un appello da libro Cuore; l'altra di immedesimarmi quando scrive
che il cambiamento non lo regala nessuno, neanche gli amici. Voi che ne pensate?
Traniviva.it RINO NEGROGNO - Martedì 6 Dicembre 2011
L'arduo tentativo di cambiare le cose
Non posso esimermi dall'arduo tentativo di cambiare le cose in questo mondo.
Cercare di migliorare la città, il quartiere, il palazzo, la famiglia, noi
stessi è l'unico modo non utopistico per fare questa rivoluzione. Non
possiamo tirarci indietro. Cosa racconteremmo ai nostri figli? Non possiamo dire
come i nostri nonni di essere stati partigiani o come i nostri padri di aver
contestato. Cosa diremo mentre guarderanno il mondo che gli lasciamo? Cosa
risponderemo quando nostro figlio ci domanderà perché non abbiamo fatto niente
per il suo mondo?
Ogni mattina vedo passare famiglie di zingari, un padre una madre e due o tre
figli. I padri sono seri, pensierosi, camminano qualche passo avanti. Le madri
spingono un passeggino, parlano con i loro bambini, ridono, rimproverano. I
bambini giocano, cantano, ridono, quelli nel passeggino sognano. Chissà cosa
sognano i figli degli zingari, quelli che sono nel passeggino. Non credo sognino
abbondanti bottini agli incroci delle strade, baracche sporche, vestiti colorati
e piedi scalzi. Non possono neanche sognarsi Babbo Natale ed i suoi doni perché
nessuno ha mai raccontato favole per loro. Non so proprio cosa possano sognare i
bambini degli zingari. E le loro mamme? Sognano un gruzzolo cospicuo o un
principe azzurro che apra per loro un castello incantato. E i padri? Eppure
anche gli zingari sono felici. «Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi
dietro, far l'amore e rotolarsi per terra. Ho visto anche degli zingari felici
in piazza Maggiore a ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra», cantava
Claudio Lolli nel 76.
Qualche mattina fa mi sono recato al municipio perché sapevo di un sit-in del
comitato di lotta per le case popolari. Osservavo da lontano la rabbia di questa
povera gente disperata. Qualcuno urlava ai politici di uscire, qualcuno di
andare a casa, qualcuno diceva che non bisognava più andare a votare, qualcuno
urlava: rivoluzione e basta. Me ne sono stato in disparte per non far dire agli
amici che speculavo sul dolore mettendomi in bella mostra ma avrei voluto fare a
questa gente una proposta: perché non diventano loro i politici, gli
amministratori dei loro drammi? Loro che li conoscono bene, loro che si
svegliano al mattino già disperati con questi drammi e ci vanno a letto la sera
per notti quasi sempre insonni. Loro diventano gli amministratori, uno di loro
il sindaco, il più faccia tosta e poi si scelgano gli assessori, i tecnici che
diano loro un contributo, una mano. È facile, basta che alcuni di loro si
candidano e tutti gli altri li votino. Stiamo facendo, stiamo vedendo, stiamo
valutando eccetera, sono le solite frasi di queste circostanze che non vorremmo
più sentire. Ma cosa ne possiamo sapere noi che la mattina andiamo a lavorare e
la sera torniamo a casa, al calore della nostra casa, mangiamo, beviamo e
andiamo a dormire sereni? Cosa ne possiamo sapere noi di come sia doloroso anche
solo sentirsi dire stiamo facendo. Quale solidarietà possiamo dare a chi non
lavora e non ha una casa noi che non abbiamo mai provato questa umiliazione?
Ebbene, è dal basso che deve partire la rivoluzione, il cambiamento, la presa di
coscienza, la «classe per sé», come la chiamava Karl Marx. Da chi soffre, chi ha
fame, chi ha freddo, chi è solo, chi è stanco deve cominciare il cambiamento.
Solo chi vive il dramma si affretterà per risolverlo. Lasciamo i politici di
professione a casa, ringraziamoli ed esoneriamoli dalla missione che loro
malgrado e con abnegazione vogliono svolgere per noi, non lasciamoci abbindolare
da fantasiose promesse, garanzie e lavoro ad personam. Lasciamo chi parla in
eleganti salotti di lavoro, disoccupazione, affitto, mutuo, scuola, povertà lì
dov'è. Autocoscienza. Chi ha il problema lo comprende, discute con chi ha lo
stesso problema e cerca le soluzioni velocemente perché non può tornare da solo,
alla sua famiglia con il problema non risolto. Non più una politica serva delle
banche e dei ricchi che ci chiedono sacrifici dall'alto della loro ricchezza
senza mai farne ma una politica serva dei cittadini più bisognosi prima di tutto
e poi il resto accadrà di conseguenza, a salire.
C'erano anche molti anziani al sit-in. Chi restituirà loro tutti i giorni di
felicità perduta? Se non possiamo cancellare la sofferenza di questi signori
possiamo almeno provare a rendere uguali i sogni di tutti i bambini? Il sogno è
quello che ognuno vorrebbe realizzare. Possiamo dare a tutti i figli della città
la stessa possibilità di realizzare i sogni? Le stesse opportunità. Le stesse
scuole? Non una cultura a pagamento per pochi che produce poco per l'umanità
perché non è detto che quei pochi che possono pagare abbiano molto in testa da
offrire.
Quando vedo un bambino povero, sporco, nudo, che chiede soldi, che lavora o è
ridotto pelle e ossa dalla fame penso sempre che se quel bambino avesse la
possibilità di studiare, di capire il mondo, potrebbe diventare un genio e lo
renderebbe sicuramente migliore ma poiché quel bambino non leggerà mai un libro,
dobbiamo lavorare molto e l'impresa è sì ardua.