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I politici a casa
Di Fabrizio (del 09/12/2011 @ 09:20:54, in Italia, visitato 1306 volte)

Leggendo questo pezzo, ho avuto due reazioni: Una di prenderlo come un appello da libro Cuore; l'altra di immedesimarmi quando scrive che il cambiamento non lo regala nessuno, neanche gli amici. Voi che ne pensate?

Traniviva.it RINO NEGROGNO - Martedì 6 Dicembre 2011

L'arduo tentativo di cambiare le cose

Non posso esimermi dall'arduo tentativo di cambiare le cose in questo mondo. Cercare di migliorare la città, il quartiere, il palazzo, la famiglia, noi stessi è l'unico modo non utopistico per fare questa rivoluzione. Non possiamo tirarci indietro. Cosa racconteremmo ai nostri figli? Non possiamo dire come i nostri nonni di essere stati partigiani o come i nostri padri di aver contestato. Cosa diremo mentre guarderanno il mondo che gli lasciamo? Cosa risponderemo quando nostro figlio ci domanderà perché non abbiamo fatto niente per il suo mondo?

Ogni mattina vedo passare famiglie di zingari, un padre una madre e due o tre figli. I padri sono seri, pensierosi, camminano qualche passo avanti. Le madri spingono un passeggino, parlano con i loro bambini, ridono, rimproverano. I bambini giocano, cantano, ridono, quelli nel passeggino sognano. Chissà cosa sognano i figli degli zingari, quelli che sono nel passeggino. Non credo sognino abbondanti bottini agli incroci delle strade, baracche sporche, vestiti colorati e piedi scalzi. Non possono neanche sognarsi Babbo Natale ed i suoi doni perché nessuno ha mai raccontato favole per loro. Non so proprio cosa possano sognare i bambini degli zingari. E le loro mamme? Sognano un gruzzolo cospicuo o un principe azzurro che apra per loro un castello incantato. E i padri? Eppure anche gli zingari sono felici. «Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra. Ho visto anche degli zingari felici in piazza Maggiore a ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra», cantava Claudio Lolli nel 76.

Qualche mattina fa mi sono recato al municipio perché sapevo di un sit-in del comitato di lotta per le case popolari. Osservavo da lontano la rabbia di questa povera gente disperata. Qualcuno urlava ai politici di uscire, qualcuno di andare a casa, qualcuno diceva che non bisognava più andare a votare, qualcuno urlava: rivoluzione e basta. Me ne sono stato in disparte per non far dire agli amici che speculavo sul dolore mettendomi in bella mostra ma avrei voluto fare a questa gente una proposta: perché non diventano loro i politici, gli amministratori dei loro drammi? Loro che li conoscono bene, loro che si svegliano al mattino già disperati con questi drammi e ci vanno a letto la sera per notti quasi sempre insonni. Loro diventano gli amministratori, uno di loro il sindaco, il più faccia tosta e poi si scelgano gli assessori, i tecnici che diano loro un contributo, una mano. È facile, basta che alcuni di loro si candidano e tutti gli altri li votino. Stiamo facendo, stiamo vedendo, stiamo valutando eccetera, sono le solite frasi di queste circostanze che non vorremmo più sentire. Ma cosa ne possiamo sapere noi che la mattina andiamo a lavorare e la sera torniamo a casa, al calore della nostra casa, mangiamo, beviamo e andiamo a dormire sereni? Cosa ne possiamo sapere noi di come sia doloroso anche solo sentirsi dire stiamo facendo. Quale solidarietà possiamo dare a chi non lavora e non ha una casa noi che non abbiamo mai provato questa umiliazione?

Ebbene, è dal basso che deve partire la rivoluzione, il cambiamento, la presa di coscienza, la «classe per sé», come la chiamava Karl Marx. Da chi soffre, chi ha fame, chi ha freddo, chi è solo, chi è stanco deve cominciare il cambiamento. Solo chi vive il dramma si affretterà per risolverlo. Lasciamo i politici di professione a casa, ringraziamoli ed esoneriamoli dalla missione che loro malgrado e con abnegazione vogliono svolgere per noi, non lasciamoci abbindolare da fantasiose promesse, garanzie e lavoro ad personam. Lasciamo chi parla in eleganti salotti di lavoro, disoccupazione, affitto, mutuo, scuola, povertà lì dov'è. Autocoscienza. Chi ha il problema lo comprende, discute con chi ha lo stesso problema e cerca le soluzioni velocemente perché non può tornare da solo, alla sua famiglia con il problema non risolto. Non più una politica serva delle banche e dei ricchi che ci chiedono sacrifici dall'alto della loro ricchezza senza mai farne ma una politica serva dei cittadini più bisognosi prima di tutto e poi il resto accadrà di conseguenza, a salire.

C'erano anche molti anziani al sit-in. Chi restituirà loro tutti i giorni di felicità perduta? Se non possiamo cancellare la sofferenza di questi signori possiamo almeno provare a rendere uguali i sogni di tutti i bambini? Il sogno è quello che ognuno vorrebbe realizzare. Possiamo dare a tutti i figli della città la stessa possibilità di realizzare i sogni? Le stesse opportunità. Le stesse scuole? Non una cultura a pagamento per pochi che produce poco per l'umanità perché non è detto che quei pochi che possono pagare abbiano molto in testa da offrire.

Quando vedo un bambino povero, sporco, nudo, che chiede soldi, che lavora o è ridotto pelle e ossa dalla fame penso sempre che se quel bambino avesse la possibilità di studiare, di capire il mondo, potrebbe diventare un genio e lo renderebbe sicuramente migliore ma poiché quel bambino non leggerà mai un libro, dobbiamo lavorare molto e l'impresa è sì ardua.