Postato venerdì 17 giugno 2011
Alla fine il campo rom di Quaracchi è stato sgomberato. Anzi, chiuso
definitivamente, come dice il comunicato ufficiale della Regione, che parla di
persone "avviate al rientro" e di "percorsi di accoglienza". E anche i
principali giornali locali riportano la notizia con uguale serenità di toni,
come raccontassero la felice conclusione di una vicenda problematica.
Per quanto ci risulta, non è andata esattamente così. Oltre cento persone,
tra cui anziani, malati, bambini anche piccolissimi sono stati lasciati a se
stessi per quasi due anni, anzi, in questo tempo hanno subito sgomberi,
controlli, multe, sequestro del denaro per "questua molesta", e persino un
incendio. Proprio e soltanto quest'ultimo episodio ha riacceso su di loro non
diremo dei riflettori, ma almeno una timida lucina: solo allora qualcuno si è
accorto di queste persone che vivevano nel fango tra rovine piene di amianto.
Ed è proprio l'amianto che ha determinato questa "soluzione finale". Lì non
ci potevano più stare, così, dopo 6 mesi, dal famoso "tavolo" costituito dalla
Regione è uscito quello che per il Corriere fiorentino è addirittura un
"percorso di reinserimento": tutti a casa in Romania.
Nei giorni scorsi abbiamo parlato con Marzio Mori, responsabile della Caritas
fiorentina, che ha gestito lo sgombero. Mori ci ha spiegato tutti i dettagli e
le difficoltà della situazione: i comuni di Firenze e Sesto piuttosto sordi alle
richieste della Regione, e una indiscutibile carenza di risorse e di posti nelle
strutture di accoglienza, han fatto sì che, secondo Mori, il rientro assistito
fosse l'unica opzione possibile. La Caritas ha così accettato di gestire la
mediazione con le famiglie del campo, mettendo in campo allo scopo mediatori
romeni ed esponenti della Caritas di Bucarest. Curiosamente, fino a 10 giorni fa
la Caritas in quel campo non ci era mai andata, né conosceva le persone, né
aveva idea di quante e quali fossero. Tuttavia, è stata incaricata di spiegare
alle famiglie la proposta della Regione: una quota ora per rientrare in Romania,
e qualcos'altro a rate, per esser certi che non tornino subito indietro.
In effetti, mille o duemila euro a testa non sono così risolutivi per chi ha
lasciato il proprio paese per mancanza di lavoro, casa, futuro. La Romania, ci
ha spiegato Mori, è in una situazione pesante, che nei villaggi rom diventa
pesantissima: baracche autocostruite, povertà, arretratezza. Il costo della vita
è vicino a quello italiano, ma gli stipendi sono un quarto. Inoltre, fino a non
molto tempo fa il governo romeno era decisamente ostile ai rom, c'è stato un
lieve miglioramento soltanto dopo l'ingresso in Europa.
Quali prospettive si aprono dunque per queste persone, "grazie" alla Regione
e alla Caritas? Ce lo chiediamo con una certa angoscia, e con molta amarezza.
L'amarezza di chi pensa che potevamo fare di più, che ci voleva più impegno,
inventiva politica e coerenza per appuntarsi sul petto le medaglie
dell'accoglienza, dei diritti umani, della solidarietà.
Ma tant'è: rispedire a casa, con le buone o con le cattive, è la ricetta del
momento, una ricetta pratica e veloce. L'accoglienza, però, è davvero un'altra
cosa.