Questo
post, scritto a marzo 2005, ha bisogno di qualche aggiornamento. Per
iniziare (i lettori l'avranno capito, ormai): la Mahalla con l'arrivo della
primavera passa in modalità elettorale, perché ogni anno c'è una qualche
votazione. Secondo: purtroppo la fiera di cui si scrive non esiste più da tempo,
ha vinto l'ennesima speculazione immobiliare e tutto il quartiere dove sorgeva è
cambiato, anche i piccoli negozietti che c'erano hanno chiuso o lo stanno
facendo. Terzo: rimane invece valido il discorso di base (leggete
anche i commenti) su come potrebbero essere le nostre città, differentemente
gestite - senza dover parlare di razzismo, ma finalmente di luoghi e persone
(l'identità si crea così e non a slogan!). Ultimo: permettete un ricordo
strettamente personale, quando ci andavo ed i miei figli erano piccoli, il loro
stupore a vedere il vecchio zingaro del campo che conosceva tutti e a tutti li
presentava. Scrivete, commentate, mi rendo conto che avrei tantissimo altre
cose da raccontarvi.
i signori lettori mi scuseranno se parlerò di politica e non del signor B.
Sfido chiunque non sia lombardo a parlare bene di Milano. So già cosa ne salta
fuori: è una città grigia, è la tana della Lega, è pure la capitale politica del
Berluska. Lo so, ci sono nato e ci vivo, e mi pare inutile ricordare che Milano
ne ha per tutti i gusti: c'è la Lega e il Leonkavallo; qui hanno mosso i primi
passi tanto il Berluska che quel Cofferati che sino a qualche tempo fa sembrava
l'unico politico di sinistra capace di fare qualcosa di nuovo, qui c'è la città
triste e qui lavorò Leonardo progettando soluzioni urbanistiche che sarebbero
ancora oggi all'avanguardia…
Bisogna essere milanesi per conoscere gli spazi a misura d'uomo di questa città.
Ad esempio, sino a una decina di anni fa, frequentavo a Monza, il giovedì
mattina, la fiera del bestiame. Raggiungibile facilmente dalla tangenziale est e
non lontana dalla stazione ferroviaria. Immaginate, in mezzo alla città, un
grande recinto con tettoie metalliche, dove trovare cavalli, asini, pecore,
capre, mucche, galline. Dove si potevano acquistare calessi, birocci e selle (di
tipo inglese o americano). Con il mercatino nelle strade adiacenti, per chi
cercasse coltelli, anfibi, giubbe militari, frustini, sottosella. Un residuato
di campagna dove era bello andarci con i figli, che abituati alla città e alla
televisione giravano con la bocca aperta (ma lo sappiamo che si divertono anche
i genitori).
L'avevo scoperto (naturalmente) grazie ai Rom di Milano, eredi di una tradizione
di allevatori di cavalli. Era la classica fiera dove potevi incrociare
l'allevatore che parlava in bresciano, il nobile che aveva la sua scuderia, e il
Rom. Miscuglio di lingue e dialetti, ma i nomadi (rigorosamente maschi) ne
facevano parte e ne erano fieri, perché non solo lavoravano, ma erano consci
della loro arte. I loro ragazzi cominciavano a frequentarlo attorno ai dieci anni. Lì
vicino, una piccola trattoria di quelle di una volta, dove concludere gli affari
con vino e salamella.
Quel posto, l'ho conosciuto che era già in declino. Si sa, il progresso. Vorrei
invitarvi ad andarci prima che sia troppo tardi e sparisca o si snaturi del
tutto: è in via Mentana angolo Procaccini, a Monza.
Ora, capitemi bene, la mia non è nostalgia ma curiosità. Il progresso avanza
anche fuori Italia, ma perché da noi queste "distrazioni" dal panorama urbano
sono destinate a perdersi e in Francia ogni schifosa cantina di campagna diventa
un museo? Perché negli Stati Uniti, in Inghilterra, Germania (per non parlare
della Scandinavia) tengono alla loro storia e la valorizzano, mentre da noi la
difesa delle tradizioni è sinonimo di movimenti razzisti? Non sarebbe più
interessante (anche economicamente, intendo) una grande città che oltre alle
fiere "istituzionali", coltivasse il turismo anche per i suoi abitanti?
C'è una risposta logica: il declino di certe attività, tra cui l'allevamento
e il commercio di cavalli.
Qualche riga fa, accennavo a quello che vedo quando sono fuori Italia. Anche voi
amereste viaggiare, se foste nati come me tra la Pirelli, la Falck e la
Marelli. Di quelle fabbriche, oggi non c'è rimasto niente. Al loro posto,
altrettanto squallido, il nuovo polo universitario della Bicocca che, anche se
firmato Renzo Piano, è solo una gettata di cemento con vari
parallelepipedi. E Tronchetti Provera graziato dal Comune, che si ritrova
tra le mani un capitale immobiliare favoloso. Oppure, capannoni industriali in
disuso, a perdita d'occhio.
Capannoni che finché restano in disuso, saranno il rifugio di Ucraini, Moldavi,
Rumeni e Rom arrivati qua con mezzi di fortuna. Per carità, non ce l'ho con
loro! In 10 anni, quei capannoni ne han visto di tutte le razze, ma mentre si
protesta perché dei poveri cercano un rifugio, nessuno trova niente da dire a
chi li lascia lì inutilizzati.
Non occorre grande fantasia per capire che chi si rifugia lì non troverà un
domani diverso, se non si è capaci di risolvere i problemi di chi è Rom, ma
abita in questa città da 40 anni ed è alle prese con un'altrettanto grave crisi
politica ed occupazionale epocale.
In quei fabbricati si lavorava il ferro e attorno c'era campagna. Non
occorrerebbe neanche tanto spazio o tanta spesa, per riadattarne qualcuno a
terreno di allevamento o piccola officina tradizionale, perché no, con
scuola annessa. Con una convenzione regionale, riqualificando l'occupazione
tradizionale di un popolo in crisi. E cominciando, nel contempo, ad operare
positivamente contro l'abusivismo, degli occupanti e dei proprietari.
Eppure, scorro TUTTI i programmi elettorali, e quelle cose che ho così chiare
in testa sembrano UTOPIA. Ma chi, se non gli amministratori pubblici,
dovrebbe interessarsene?
…ma, se non si trattasse di Rom, ma di confrontare gli appetiti immobiliari in
Italia e le prassi che all'estero funzionano da 30 anni, mi capireste?