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La leghista che ballava con gli zingari
Di Fabrizio (del 18/06/2010 @ 09:21:10, in blog, visitato 2415 volte)

Questo post (non è farina del mio sacco), è dedicato a Giancarlo Ranaldi, che ringrazio per le informazioni e gli spunti che ogni tanto mi da. Una piccola precisazione, conosco Miguel Martinez, l'autore del post originale, da qualche anno, ed in passato ci scambiavamo spesso opinioni. Mi aveva già raccontato brevemente questa storia ambientata ad Imola, e recentemente l'ha descritta per esteso sul suo blog. Buona lettura.

Mercoledì, 20 gennaio 2010

Una decina di anni fa, abitavo a Imola e avevo in casa dieci amici Rom.

La faccenda era meno problematica di quanto potrebbe sembrare: io me ne stavo a tradurre al mio computer, loro a guardare la televisione, allattare la bambina piccola e raccontarsi i loro sogni o a esaurire le loro poche schede telefoniche con chiamate interminabili a cugini sparsi per mezzo mondo. La cosa più preoccupante era che avevano riempito il frigorifero di sacchi di carne, comprati a poco prezzo su chissà quale mercato alternativo, ma le romnijà sono attente casalinghe, e il sangue che colava sul pavimento, lo pulivano subito e non dovevo mai pensare a fare da mangiare.

Così, tra una traduzione e l'altro, avevo un buon argomento per rispondere a chi mi urlava sui forum virtuali, "parli bene tu, se ti piacciono tanto gli zingari, perché non te ne prendi uno in casa?"

In quel periodo, avevo conosciuto a un tavolino in piazza l'allora segretaria della Lega Nord, una giovane signora molto energica che alternava i volantinaggi contro gli extracomunitari al suo lavoro di donna delle pulizie in case private. Giovanna - la chiamerò così - aveva ovviamente le idee tutte sbagliate, ma era onesta, coraggiosa e dotata di un notevole senso dell'umorismo.

Un giorno, nell'ambito delle solite cose inter-multi-culturali in cui eccellono le giunte di sinistra, avrebbe dovuto esibirsi al Teatro Comunale di Imola la Kocani Orkestar, un vivace gruppo di musicisti Rom della Macedonia, sassofoni, trombe e clarinetti, con tutta l'ebbra allegria scaramantica con cui si caccia l'orrore imminente.

Molto prima, avevo conosciuto un musicista Rom su un treno, che ascoltava nastri con le strane melodie islamo-slavoniche dei sufi bosniaci, e mi raccontava dei pericoli del suo mestiere: a un suo collega, avevano sparato durante un matrimonio, perché la sua musica non era piaciuta a qualcuno. La follia, l'inatteso, la morte, sono sempre in agguato, e per questo occorre battere forti i piatti e ridere molto.

Ho telefonato al sindaco - impresa non facile, visto che lo avevano appena cacciato di casa, ma questa è un'altra storia - dicendogli che avevo dodici profughi Rom squattrinati che avrebbero voluto assistere allo spettacolo. E così, va detto a suo onore, mi ha fatto avere subito i biglietti.

Come potete facilmente calcolare, i profughi erano solo dieci, insomma ci ho marciato un po' anch'io.

Un biglietto era per me e uno era ancora da piazzare. Così telefonai a Giovanna, dicendole che avevo un biglietto in più per il teatro, senza accennarle che sarei arrivato anche con qualche amico.

Al teatro, ci hanno dato il palco d'onore, da cui dominavamo dall'alto la folla di abituali frequentatori di teatro, curati e composti come avviene solo in provincia, più quella particolare umanità che non manca mai quando c'è qualcosa di esotico.

Giovanna e la mia banda di clandestini, zoppi, profughi, extracomunitari, musulmani, zingari e mamme allattanti (tutto in uno e pure moltiplicato) si sono guardati in faccia, e si sono capiti subito.

Io avevo fatto conoscere molti italiani ai miei amici, ma con poche eccezioni - tra cui Riccardo Venturi - erano persone in qualche maniera mediate, come sono coloro che tollerano gli zingari nonostante tutto. I Rom, pur comportandosi con grande cortesia, mi confidavano sempre qualche riserva, notavano qualcosa che non quadrava, qualche sottile elemento di ipocrisia, che non era altro che la somatizzazione della buona coscienza borghese.

Che Giovanna fosse a capo della Lega non significava nulla per i miei amici: a parte la mitica figura di Tito, la politica era un concetto del tutto incomprensibile per loro, una bizzarra astrazione.

In tanti secoli di difficile convivenza con i gagè avevano affinato invece un'istintiva percezione che andava all'essenza delle persone: e con Giovanna, capirono con uno sguardo che si trattava di una persona che non aveva nulla di falso. Mentre la stessa semplicità non intellettuale che portava Giovanna a militare nella Lega,  la stessa concretezza manuale del suo lavoro, le permisero di mettersi immediatamente alla pari del gruppo di Rom.

Quella sera, sul palco d'onore, tra il clamore degli strumenti della Kocani Orkestar, la segretaria della Lega Nord, solo all'inizio un po' imbarazzata, ballò con Bechir, gioioso e bruttissimo e affettuoso zingaro affetto dalla sindrome di Down, arrivato in Italia su di un motoscafo, che faceva sempre la cortesia con i non Rom, di parlare, non in Romanè, ma in un fitto serbo tutto suo.

Qualche giorno dopo, Giovanna mi telefonò per darmi qualche dritta per trovare lavoro per uno dei miei amici. Non alla maniera di chi aiuta gli extracomunitari, ma come si fa tra esseri umani che si danno una mano.

Siccome i Rom mi hanno chiesto spesso di Giovanna, qualche mese fa le ho telefonato. E' stata espulsa dalla Lega, per chissà quali feroci beghe interne, fatta fuori da qualche potentato locale; ma dice di credere sempre nell'Ideale.

Forse capite perché mi fa orrore demonizzare o santificare qualcuno come persona, solo in base al raggruppamento astratto - etnico, politico, religioso, umano - in cui le incredibili complessità del destino lo hanno fatto capitare.