31 maggio 2010
Un grave episodio di discriminazione a Palermo contro una famiglia rom
raccontato da Mario Affronti.
Il fatto: una bella e numerosa famigliola Rom, cui è stato assegnato un
appartamento confiscato alla mafia secondo una procedura pienamente legale, è
stata rifiutata dai condomini sia di via Bonanno e sia (è notizia di oggi) di
Corso Calatafimi.
Parlo di bella e numerosa famiglia per conoscenza personale. La mia famiglia è
stata ospite lì al campo Nomadi della Favorita in ripetute occasioni, anche a
cena, presso la casa-baracca in cui vivono (non so come facciano a mantenerla
dignitosamente pulita senza acqua né servizi igienici) e i miei figli assieme ad
altri ragazzi della Lega Missionaria Studenti hanno fatto attività di
doposcuola, e non solo, per tutti i bambini del campo grazie alla loro preziosa
collaborazione.
Il fatto impone alcune riflessioni ed una chiara presa di posizione. Trattasi di
un chiaro caso di discriminazione razziale che ci fa ritornare indietro nel
tempo e che sembra grave in quanto riguarda il nostro tessuto sociale, la nostra
gente, il popolo palermitano che invece, anche in un recente passato, ha
mostrato un atteggiamento di accoglienza e di ospitalità verso l'altro,
specialmente se diverso. Non è un problema di quartiere più o meno "in", di zone
più o meno esclusive o degradate della nostra città. Non riguarda solo i ricchi
che hanno paura di essere derubati ma, per lo stesso motivo, anche i poveri che
pensano di rischiare anche quel poco che hanno. È appunto un problema sociale di
cui gli zingari (che tra l'altro rubano anche i bambini) rappresentano la punta
d'iceberg, ma che interessa anche gli immigrati terzomondiali, oggi numerosi
nelle nostre contrade, gli omosessuali ed in generale tutto quanto non rientra
nei nostri canoni ormai diventati angustamente ed inesorabilmente etnocentrici.
La causa di tutto ciò – e veniamo così alla prima riflessione – è innanzitutto
una mancanza di conoscenza. Il compianto mons. Luigi Di Liegro, quando era
direttore della Caritas diocesana di Roma, diceva che in fondo si ha paura di
tutto ciò e di chi non si conosce. La paura è normale nell'approccio col
diverso. Soltanto il desiderio di conoscere può superarla per consentire un
dialogo che oggi sembra diventato impossibile. Di fatto la nostra società è
diventata più cattiva. Come sempre, quando ci si chiude pensando che l'altro
possa essere una minaccia e non invece una risorsa proprio a motivo della sua
diversità.
Questa deriva individualista e cattiva del nostro tessuto sociale – seconda
riflessione – è anche colpa nostra. Colpa di chi in questi ultimi anni ha
conosciuto queste persone toccando con mano le derive positive di questa
relazione sia per sé che per la società tutta. Come mai sullo zingaro,
sull'immigrato è prevalsa l'idea che essi costituiscono un problema di sicurezza
sociale e non una vera e propria opportunità di crescita civile?
Come mai un po' in tutta Italia si moltiplicano gli episodi di discriminazione
razziale di cui l'UNAR giornalmente ci fa un triste e macabro resoconto? Perché
non abbiamo saputo testimoniare la verità su queste persone? Perché è passata
questa idea nefasta e non la nostra secondo cui il diverso rappresenta una
ricchezza non solo sociale ma anche economica, politica e religiosa?
Già, religiosa. In questo campo – terza riflessione – il pericolo è
rappresentato soprattutto dal musulmano che ormai apertamente attenta alla
nostra identità (quale?) religiosa e che bisogna contrastare in tutti i modi più
o meno leciti. I cattolici palermitani hanno dimenticato che l'unica moschea
presente nella loro città è un ex-chiesa donata allo scopo dall'Arcidiocesi
rappresentata allora dall'indimenticabile cardinale Pappalardo.
E ritornando ai Rom, non tutti forse sappiamo quanto Paolo VI, ebbe a dire
rivolgendosi agli Zingari: «voi siete nel cuore della Chiesa»! Non tutti forse
sappiamo quanto la dignità cristiana, nella loro condizione, abbia ricevuto
attraverso la beatificazione di Zeffirino Giménez Malla (1861-1936), detto "il
Pelé", uno Zingaro spagnolo appartenente al gruppo nomade dei Kalós.
In realtà quella degli zingari è una realtà che interpella tutti ma soprattutto
noi cristiani in quanto è difficile affermare che essi sono nel cuore della
Chiesa. Ciò che si vede e rende tristemente addolorati è l'indifferenza o una
vera e propria opposizione. Solo gradualmente e molto lentamente, oggi nel
nostro Paese alcune comunità si sono aperte all'accoglienza, ancora troppo
poche, peraltro, perché gli Zingari possano scoprire il volto materno e fraterno
della Chiesa. I segni del rifiuto persistono, dunque, e si perpetuano,
suscitando, in genere, poche reazioni e proteste in chi ne è testimone.
E veniamo così alla presa di posizione. È giunto il tempo in cui, scosse la
coscienze, i cattolici decidano di vivere la caritas piena verso questa
popolazione. La Chiesa deve riconoscere il loro diritto di "voler vivere
insieme", provocando e sostenendo una sensibilizzazione in vista di una maggiore
giustizia nei loro confronti, nel rispetto reciproco delle culture, orientando i
propri passi sulle orme di Cristo, in risposta alle aspettative di questa
popolazione nella sua ricerca del Signore.
A tale scopo esiste anche una motivazione di ordine teologico che rappresenta il
sale di tutta la pastorale della Migrantes (l'organismo ufficiale della C.E.I.
per le persone in mobilità – zingari ed immigrati ma anche emigranti, marittimi,
fieranti e circensi): la condizione itinerante, sia nella sua oggettiva
realizzazione, sia come visione di vita, rappresenta un richiamo permanente a
quel «non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb
13,14). Il compito da intraprendere, affinché gli Zingari, particolarmente
vulnerabili, si considerino e siano accettati come membri a pieno titolo della
famiglia umana, è perciò grande e urgente.
Alla pace autentica e duratura, quella che dovrebbe caratterizzarla come
riflesso della "famiglia divina" (la Santissima Trinità), non si arriva però –
ritorniamo al fatto di cronaca – fuori da un contesto di giustizia e di
sviluppo. Fra la popolazione zingara va quindi custodita la dignità e rispettata
la identità collettiva, vanno incoraggiate le iniziative per il suo sviluppo e
difesi i diritti. Per comprendere adeguatamente la storia spesso drammatica di
questa popolazione, occorre tener presente non solo la sua situazione di
minoranza in seno alla società, ma anche la sua specificità nei confronti delle
altre minoranze. La sua peculiarità sta infatti nel fatto che gli Zingari
costituiscono una minoranza senza un preciso insediamento territoriale o uno
Stato di riferimento originario – non avendone pertanto un suo eventuale
sostegno. Questo "vuoto" di garanzie politiche e di protezione civile rende
molto critica la vita degli Zingari.
I Governi nazionali e locali (in questo caso il Comune di Palermo) debbono
rispettare questa minoranza tra le minoranze e riconoscerla, contribuendo a
sradicare gli episodi di razzismo e di xenofobia ancora diffusi, che provocano
discriminazione in materia di impiego, di alloggio e di accesso. La gente di
Palermo, il popolo ed i cristiani anagraficamente così numerosi, devono
ritrovare la propria vera identità, prima che vada irrimediabilmente perduta.
(Mario Affronti, responsabile del Centro diocesano per la Pastorale delle
Migrazioni di Palermo)