Ciao Fabrizio
Ti racconto un po' come è andata in Camargue.
Non è facile raccontare o scrivere di queste cose, vanno vissute... comunque ci
provo.
Sabato ventidue ho caricato mio figlio Pietro all'uscita di scuola e poco
dopo l'una siamo partiti.
Tirata unica, ci siamo fermati il tempo di riempire il serbatoio e vuotare la
vescica: siamo arrivati verso le otto di sera. La chiesa era aperta, ma la
cripta chiusa, e non siamo riusciti a salutare santa Sara. Abbiamo fatto un giro
per il paese: tantissimi musicisti, uno più bravo dell'altro. Ci siamo
innamorati di un gruppo di trombettisti moldavi (Fanfare Vagabontu).
Abbiamo dormito in macchina nel parcheggio del centro, il mattino dopo ci siamo
mossi prima delle otto: dopo le otto si paga. Abbiamo deciso di fare un giro a
les Salines, con corsa in macchina sulla lunghissima spiaggia. Questa spiaggia è
misteriosa, ogni volta che vado è diversa: questa volta ci si corre in auto per
chilometri senza piantarsi; l'anno scorso ci si affondava, come se fossero
sabbie mobili, anche a piedi.
La spiaggia è piena di baracche e roulottes, da un certo punto in poi inizia la
zona riservata ai nudisti. I nudisti, contrariamente a quello che ci si
immagina, non sono dei fricchettoni con i capelli rasta di vent'anni, ma dei
distinti signori di cinquanta, sessanta anni che girano completante nudi.
Dopo un secondo passaggio a les Salines, dove abbiamo visto una confusa (da dove
si parte? Dove si arriva?) ma simpaticissima parata tradizionale, siamo
ripartiti per les Saintes Maries. Il richiamo di santa Sara è sempre più forte.
Il paese incomincia a riempirsi di gente, in centro non si parcheggia più.
L'incontro con S. Sara è sempre emozionante, non si riesce a trattenere la
commozione. Non so se qualcuno è mai riuscito a capire come mai santa Sara è
diventata la patrona dei gitani, ma se uno viene in questa chiesa il 24 di
maggio capisce che non potrebbe essere diverso.
Durante la giornata si gira per il paese ascoltando questi musicisti fantastici,
e si fanno diversi passaggi nella cripta, a salutare la nostra patrona, a dire
una preghiera o ad accendere un cero (che come sempre abbondano).
Durante la serata si canta e si balla, si ascolta musica e si incontra gente.
Girando per i campi si incontrano gruppi e famiglie che suonano, mangiando
piatti di ricchissima paella e bevendo vino bianco.
Il pellegrinaggio raduna sempre tanti fotografi (forse troppi), da qualche anno
richiama anche una serie di "personaggi alternativi", come artisti di strada,
buskers e giramondo.
Lunedì mattina ci svegliamo già elettrizzati: facciamo una colazione veloce,
offerta da una famiglia di gitani che vengono da un paese dell'est che non sono
riuscito a individuare e che hanno dormito in furgone di fianco a noi, ci
vestiamo eleganti, e si parte per la chiesa. Per non rimanere fuori bisogna
entrare in chiesa verso le due, per sicurezza entriamo all'una, forse un po'
troppo in anticipo, ma abbiamo tutto il tempo di prepararci.
Questo è il momento per cui vale la pena fare quasi duemila chilometri e dormire
in macchina per tre notti. La preparazione è straordinaria, ognuno porta una
veste, un drappo, un fiore, il gioco di un bambino, le foto dei propri cari (io
le foto di mia moglie e dei figli) per abbellire la santa, e perché vengano
portati in processione. E' un momento molto forte, più di uno si fa prendere
dall'emozione.
Le casse con le reliquie delle sante vengono fatte scendere dalla cripta
superiore, il vescovo e i preti devono dire qualcosa (forse troppo?), qualcuno
piange, qualcuno sviene e qualcuno strilla.
La santa viene caricata in spalla dai portantini, si parte. La gente è veramente
troppa, i fotografi, i turisti, i cavalli… tutti spingono per seguire la santa.
Una delle cosa che mi ha sempre colpito è la processione che si ferma ogni volta
che un anziano o un malato chiede di poter toccare la santa. Il rispetto per le
persone malate, invalide o anziane che hanno i gitani è da imparare.
Si raggiunge il mare, seguiti dai cavalli e dai musicisti (urs karpaz) che
dedicano un pezzo alla santa.
Il ritorno è più tranquillo, e nell'ultimo tratto la santa viene portata a
spalle dalle donne gitane. Forse è vero che la società gitana è maschilista, ma
non so in quante processioni hanno questa attenzione.
La processione finisce, santa Sara viene riaccompagnata alla cripta.
Un ultimo saluto, un cero, una preghiera per gli amici e le persone care, e
siamo pronti per rimetterci in strada.
Subito dopo la processione si sente la smania di ripartire, nel giro di poche
ore il paese si svuota: il popolo viaggiatore sente bisogno di rimettersi in
marcia.
Mi sono fatto l'idea che il rischio peggiore in questo periodo per il popolo
gitano sia perdere le proprie tradizioni e la propria identità. Il
pellegrinaggio di santa Sara, il fatto di incontrarsi e di festeggiare assieme,
la musica, i costumi e i balli danno ai gitani la possibilità di ricordarsi e
ri-incontrare questa identità, la fede in santa Sara dà loro un'identità che
altrimenti sarebbe troppo facile perdere.
Come sempre non ho fatto foto, un po' perché non sono capace e sicuramente in
internet se ne possono trovare di migliori di quelle che farei io, un po' perché
vado a les Saites Maries come pellegrino, non da "turista" che deve tornare con
dei souvenirs.
Il ritorno è stato più rilassato, con varie tappe qua e là.
Mi son scritto queste note un po' per me, per non dimenticarmi, e un po' per
te: se vuoi inserirle nel blog fai pure (magari taglia, fai un po' te…).
Ciao, [...]
Marco[Beri]