Nelle ultime settimane sembra tornata di attualità la cosiddetta
“questione rom”. Come è accaduto in altri casi anche recenti, attorno alle
minoranze rom e sinte si coagulano gli allarmi caratteristici delle politiche
emergenziali e securitarie: ma stavolta, ci sembra, si sta facendo un
preoccupante “salto di qualità”. Quasi che dalle parole minacciose si stesse
passando ai fatti concreti.
A Cosenza, il Prefetto emana un ordine di espulsione per un gruppo di rom
rumeni: un gruppo che, ad avviso del rappresentante del Governo, costituisce una
“una minaccia concreta, effettiva e grave all’incolumità pubblica”. Cosa hanno
fatto di tanto grave queste persone? Vivono in campi e in baracche, non hanno un
lavoro né una dimora stabile. Tutto qui: il provvedimento del Prefetto non
aggiunge altro. I rumeni, quindi, rappresentano una minaccia perché sono poveri,
privi di mezzi di sostentamento. Mai in Italia l’equiparazione tra poveri e
“categorie pericolose” era stata formulata in modo così netto, senza pudori né
giri di parole.
A Roma, all'alba dell'11 novembre, le forze dell’ordine sgomberano le famiglie
rumene dal campo Casilino 700. Nell’operazione sono coinvolte la Polizia di
Stato, l’esercito, i vigili urbani e la Protezione Civile: un dispiegamento di
forze evidentemente sproporzionato rispetto alla situazione. Baracche, tende ed
effetti personali dei rom vengono distrutti dalle ruspe, mentre una ventina di
capifamiglia sono tratti in arresto, nonostante non si sappia di cosa siano
accusati.
Colpisce la tempistica di questi due episodi: nel giro di pochi giorni, un
rappresentante del Governo e un Sindaco schierato con la maggioranza
berlusconiana lanciano una campagna di aggressione contro una minoranza fragile
e discriminata. Il copione non è molto diverso da quello cui abbiamo assistito
altre volte in questi anni: una coalizione politica in crisi di consenso cerca
di rilegittimarsi indicando un facile “capro espiatorio”, un “bersaglio” su cui
scaricare le ire dei cittadini.
Così l’Italia del Governo Berlusconi dichiara guerra ai rom. Indica il “pericolo
pubblico” in una minoranza di 170 mila persone, per metà donne, per metà
bambini, per metà cittadini italiani. La guerra ai più deboli sta diventando la
cifra della nuova Italia guidata dal centro-destra.
Intanto, altri eventi contribuiscono a creare un clima favorevole a queste
scelte del governo.
Ad Alba Adriatica, vicino Teramo, un episodio tragico, un brutto fatto di sangue
diventa il pretesto per criminalizzare un’intera comunità. Il colpevole è un
rom, dunque tutti i rom sono colpevoli: questa è l’operazione condotta in modo
spregiudicato da una parte della stampa e dei mass-media del nostro paese.
A Pisa l’amministrazione comunale – guidata dal centro-sinistra - decide di
chiudere il programma “Città Sottili”: interrompe cioè uno dei tentativi più
avanzati in Italia di superare i “campi nomadi”, e di garantire ai rom il
diritto alla casa (perché, contrariamente a un diffuso pregiudizio, i rom non
vogliono abitare nei campi-ghetto in cui sono stati confinati).
Il Comune di Pisa lancia così un segnale in sintonia con le scelte del Governo
Berlusconi: un brutto segnale di “trasversalità” politica, proprio quando invece
sarebbe importante affermare e praticare scelte politiche e culturali
differenti.
Questi episodi disegnano, nel loro insieme, un mosaico inquietante, che deve
preoccupare tutti. Si sta consolidando in Italia una vera e propria “guerra ai
rom”. Finora teorizzata ed evocata, parzialmente praticata (come nel caso del
censimento dei bambini rom nell’Estate 2008), ma mai attuata con espulsioni e
allontanamenti sistematici. Il rischio è che gli episodi di questi ultimi giorni
rappresentino un drammatico “salto di qualità” in questo senso.
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sergiobontempelli@interfree.it