Il regolamento dei campi nomadi? 'Una cosa già vista e già fatta'
Di Fabrizio (del 11/03/2009 @ 09:09:15, in Italia, visitato 1390 volte)
Da
Avvisatore.it
Parla l'ex assessore alle Politiche sociali di Roma: 'Nel 2000 gli
insediamenti abusivi erano passati da 51 a 16, avevamo realizzato 5 villaggi
attrezzati e il Casilino 700 era completamente sgomberato' da Redattore
Sociale
ROMA - Niente di nuovo sotto il sole. Il regolamento per la gestione dei
campi rom della Capitale ricorda molto un'ordinanza emanata dall"allora sindaco
Francesco Rutelli alla fine del 1996. Amedeo Piva, che in quel periodo era
assessore comunale alle Politiche sociali, racconta le scelte di quella stagione
politica e spiega cosa a suo parere andrebbe fatto per rendere le politiche sui
rom realmente efficaci. Lo abbiamo intervistato.
Dottor Piva cosa accadeva ai tempi della prima giunta Rutelli?
A Roma, secondo un censimento molto capillare e puntuale fatto nel '95,
c'erano 51 campi nomadi abusivi e 5.467 persone che vi vivevano dentro, più un
altro migliaio tra rom e sinti fondamentalmente italiani che abitavano in
appartamento. Su questa base il 26 gennaio 1996 è stata emanata un'ordinanza
sindacale che dettava le regole per la permanenza dei rom nella città, censiva
gli insediamenti esistenti e subordinava la permanenza nei campi a un permesso
speciale che doveva essere assegnato dall'Ufficio immigrazione. Quindi il
regolamento dei campi è una cosa già vista e già fatta.
Ha funzionato quel regolamento?
Alla fine del periodo in cui Rutelli è stato sindaco, quindi nel 2000, gli
insediamenti abusivi erano passati da 51 a 16. Avevamo portato avanti una serie
di interventi e avevamo realizzato 5 villaggi attrezzati con moduli abitativi, 3
campi attrezzati e 3 semi-attrezzati. Inoltre il Casilino 700 era stato
completamente sgomberato e su quell'area era nato un parco. Quindi il percorso
era già tutto tracciato e ben definito, e vedo che adesso le stesse regole
vengono rilanciate dal prefetto per cercare di normalizzare queste presenze. Ciò
non può che farmi piacere, ma non basta: i problemi dei rom sono i problemi
degli italiani soltanto portati all'esasperazione.
Cosa fare allora?
L'intervento necessario è la scolarizzazione che però da sola non è
sufficiente. Gli adolescenti che non trovano uno sbocco lavorativo corrono un
rischio di devianza 100 volte superiore a quello dei giovani italiani. Quindi
bisogna avere il coraggio di fare strategie a lungo termine. Occorre, infatti,
un controllo sul territorio per far sì che i rom non aumentino a dismisura, ma
se coloro che vogliono uscire dalle dipendenze causate dall'ambiente non hanno
alcuna possibilità di successo alla fine perdono il coraggio di farlo. Voglio
dire che se un giovane non vede che qualcuno più grande di lui è riuscito a
inserirsi con soddisfazione nel mondo del lavoro fallisce tutto il processo di
scolarizzazione, perché alla fine si chiederà: "ma a cosa serve tutto questo?".
Una scommessa ambiziosa.
Certo, non è che si risolva tutto dall'oggi al domani: c'è bisogno di un
percorso chiaro e puntuale con dei seri investimenti che non devono limitarsi
però alle sole attività di controllo, ma devono guardare anche all'integrazione
dei giovani. Mi riferisco fondamentalmente al fatto di fare sempre politiche
pensate sul breve termine e non sul lungo termine. Perché le politiche di
inserimento devono puntare sulle nuove generazioni, e non su un processo
dall'oggi al domani. Insomma, io vedo che si sta ricominciando da capo, e vorrei
dire al sindaco che è bene che ci sia il regolamento, ma il vero investimento è
sul medio-lungo periodo. (ap)
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