"Effettivamente, se stasera bruciassero le tende degli zingari, domani
potremmo vincere la partita di calcio… Se brucia anche la casa di Andrei, che è
fortissimo, domani non verrà a scuola".
Questo pensavo ieri sera, dopo aver origliato le discussioni da grandi che mio
padre faceva nella tavernetta con i suoi amici. Mi aveva detto: "Andrea, vai in
camera tua che dobbiamo fare discorsi da grandi!" Ero già molto agitato perché
oggi si doveva giocare ancora, a scuola, una partita del torneo di calcetto.
Ieri pomeriggio mio padre aveva occupato il telefono per più di due ore. Appena
metteva giù la cornetta, il telefono squillava di nuovo e papà urlava: "Adünansa…
ci troviamo da me, prima di cena, vedi di trovare anche Giuanin il Viscunt e il
Vunsc, Magher, Ratt, Tigher, Diaul, Busciun, Quader, Esercent, tucc!".
Tra tutti i sopranomi che avevano gli amici di papà Esercent era quello che mi
piaceva di più. Sembrava il nome di un rapper d’oltreoceano. Gli amici
chiamavano mio padre Parabula, forse perché ogni volta che iniziava un discorso
diceva: "Par esempi…". Invece la mamma diceva che lo chiamavano così perché era
un po’ la sua storia di impegno politico. E mia madre chiamava Parabula anche lo
zio, il fratello del papà, che è nel sindacato. Ieri sera erano tutti lì, tranne
lo zio, nella tavernetta di sotto, e Giuanin diceva: "Dobbiamo mandarli via quei
baluba. Quelli che rubano nelle case e rubano i bambini e ammazzano la gente…
zingari comunisti mangiabambini…"
Il mio sogno è quello di fare il calciatore. E sogno di fare gol come Mutu. Lo
avevo visto quando ero andato allo stadio con il nonno, a San Siro. Il nonno
m’aveva detto: "Si va allo stadio, Andrea. Per vedere il bel calcio e fare
festa".
Oggi invece, a scuola, si doveva giocare contro quelli della sezione B,
fortissimi. E sono diventati ancor più forti da quando è arrivato Andrei, “il
rom”. Io invidio Sergio, il mio amico d’infanzia, non mi vergogno e gliel’ho
detto in faccia. Sergio è il mio vicino di casa e siamo stati compagni di classe
fino all’anno scorso. Poi Sergio ha cambiato sezione da quando mio padre aveva
detto, alla riunione coi genitori, che la sezione A doveva rimanere degli
italiani e non si dovevano inserire ragazzi stranieri. "E nemmeno terroni…"
aveva aggiunto papà a denti stretti mentre si sedeva. Ma ormai gli altri
genitori l’avevano sentito ed il padre di Sergio ha deciso di spostare suo
figlio in un’altra classe.
Sergio fa le vacanze estive dai nonni a Palermo. Nella sezione B ha in classe un
cinese, un marocchino, due filippini, un romeno e due zingari “rom”. "I rom non
sono romeni", dice Sergio. Glielo ha spiegato Gabriel, il compagno romeno. Ma
Andrei e Sergiu, i due rom, vengono dalla Romania. Giocano benissimo a pallone.
Arrivano ogni giorno a scuola con un pulmino. Vivono in un campo nomadi in delle
“tende provvisorie”. Li hanno mandati via dalle baracche di un altro campo.
"Sono un po’ vivaci, come noi" dice Sergio. E sono anche fortissimi nella corsa
e nel calcio.
Sotto, nella tavernetta, mio padre stava urlando parolacce, ieri sera.
E domenica gioca il Milan, andremo allo stadio… Anche lì papà dice le parolacce…
Ieri sera papà ha tirato fuori la maglietta con la scritta: Tegn dur contro il
sud magrebino. "Non si sa mai", ha detto alla mamma.
Quella maglietta papà l’ha comprata qualche anno fa, a una festa dove erano
tutti vestiti di verde, come dei marziani o come la squadra dell’Irlanda. C’era
un rito dell’acqua e tutti che gridavano: "Fuori i terroni dall’Italia, fuori
l’Italia dalla Padania, fuori la Padania dall’Italia, e fuori l’Italia
dall’Europa…". Poi col tempo hanno cambiato, gridano lo stesso, ma cose tipo: "Fuori gli zingari dall’Italia” e
"Tutti i baluba a casa loro".
Ricordo che c’era quella volta un uomo col fazzoletto verde che urlava al
microfono: "Noi quella gente non la vogliamo, padroni a casa nostra, stiamo bene
da soli…".
Io pensavo che è triste vivere da soli. Si era agitato per un’ora quel signore
col microfono. E tutti si agitavano con le bandiere quando lui alzava la voce,
diciamo ogni due minuti circa. Aveva sbagliato qualche congiuntivo il signore
col fazzoletto, ma ho capito che non era il momento per farglielo notare a mio
padre.
Papà era impegnato a urlare, con bandiera verde legata al collo e con il volto
rosso carminio: "Se-ces-siò-ne, Se-ces-siò-ne, Se-ces-siò-ne".
C’erano tutti a urlare e agitare bandiere: Giuanin il Viscunt, il Vunsc, Magher,
Ratt, Tigher, Diaul, Busciun, Quader, Esercent. Col ritmo un po’ rap. "Se-ces-siò-ne,
Se-ces-siò-ne, Se-ces-siò-ne". Il via alle urla l’aveva dato ancora l’uomo col
microfono. Quello con la voce rauca, quello che poi mio padre aveva messo sul
desktop del computer, a casa. La foto di quell’uomo vestito da Zio Sam con la
scritta: "Mì te voeuri!"
Ogni volta che accendevo il pc mi ritrovavo la faccia di quell’uomo, con il
cilindretto, il frac e il dito puntato minaccioso: "Mì te voeuri!". Altro che
uomo nero. L’uomo verde ad ogni accensione del computer: "Mì te voeuri… mì te
voeuri!" Era diventato l’incubo dello schermo, il tormento del monitor. "Mì te
voeuri…?" In qualche modo l’uomo verde se l’era preso, mio padre. Infatti papà
ogni tanto tornava la sera in garage vestito di salopette, come un imbianchino,
sporco di vernice bianca e verde. E sentivo che diceva alla mamma che lo
aspettava con il vin brulé: "Che ciulada sul cavalcavia!".
Scriveva sui muri di cemento cose tipo "Padania libera, Padania ai padani" e
altri slogan sentiti al rito dell’acqua. Lo zio sindacalista, prendendolo in
giro, le chiamava "installazioni artistiche".
Non penso che lo chiameranno mai alla Biennale di Venezia per una scritta da
cavalcavia tipo "romaladrona, padaniastato"…
Per il compleanno il papà aveva regalato alla mamma, tempo fa, un "elegante set
cucina sale pepe serigrafato con sole delle alpi", ordinato su Internet. La
mamma aveva detto: "Adesso anche i miei regali sono diventati sovvenzioni per il
partito". E ha messo il suo regalo nella tavernetta, per le riunioni degli amici
di papà. Che a volte giocano al Risik Padan. E bevono grappa "Va’ Pensiero".
Papà dice che il comunismo ha fatto tante vittime e che non bisogna falsificare
la storia. Lo zio gli risponde che forse è vero ma neanche bisogna dimenticare
quando noi andavamo in America. Il papà dice che lo zio andrà all’inferno per
quel "forse" e che noi però non eravamo "con le toppe al culo". Lo zio risponde:
"Allora per chi fate la “toppa Sole delle Alpi”?".
Mio padre sotto la doccia canta: "Va’ pensierooo…". Che poi lo zio gli dice: "A
furia di lavà el penser… ghe n’è pù… l’è andaa…". La mamma a volte fa dei lunghi
sospiri e dice che quei due, fratelli, prima o poi si prenderanno a botte.
Lo zio ha sposato una pugliese. Papà chiama anche lei, quando non c’è la zia,
baluba. "Maschile o femminile, sempre baluba è" mi disse papà quando gli chiesi
se anche mio cugino fosse un “balubo”.
Il papà dice: "Ognuno a casa sua". Che tristezza, ognuno a casa sua! E ieri sera
dicevano, nella tavernetta, gli amici di papà: "Organizziamoci, difendiamo il
nostro… fratelli sul libero suol, meniamo i baluba… contro i baluba… uniamoci!".
E poi sono usciti tutti insieme, ringraziando mia madre per la torta. E mia
madre scuoteva la testa, preoccupata.
Allora, se Andrei non si fosse presentato a scuola per il torneo noi avremmo
sicuramente vinto… Andrei gioca scalzo ed è fortissimo. Sogna di fare gol come
Inzaghi. Un giorno, all’intervallo, quando Sergio me lo ha presentato, gli ho
detto: "Ciao, sono Andrea, quasi come Andrei. Ma tu, se giocasse Italia contro
la Romania, chi tiferesti?". Andrei mi aveva risposto "la Romania", anche se
dicono che lui è rom. Però viene dalla Romania. E aveva aggiunto: "Ma comunque
deve vincere il migliore. E se nessuno migliore va bene anche uguale".
"Uguale?" ho chiesto io perché non capivo. "Sì, uguale, cioè pareggio", m’aveva
risposto Andrei. Ma oggi non si è giocata la partita del torneo, a scuola.
Andrei è arrivato tardi a scuola, lo hanno portato, col solito pulmino, delle
persone grandi, preoccupate. Anche le prof erano preoccupate.
All’intervallo Andrei raccontava a Sergio: "Oggi tenevo stretto per mano mio
papà… hanno bruciato le nostre tende… non si sa chi è stato. Papà dice che è
gente razzista… “razzista” sembra cattivo… se brucia le tende in cui dovevamo
abitare… forse lo è…"
"Era arrabbiato mio padre" - raccontava Andrei a Sergio - "voleva dire tante
cose ai giornalisti ma secondo me sbagliava qualche parola. Io imparo
l’italiano, non è facile ma papà dice di studiare che così avrò più fortuna di
lui nella vita e saprò anche difendermi con le parole e parlare bene coi
giornalisti".
Questo pensava Andrei oggi, nel giorno della partita del torneo a scuola. È
venuto lo stesso a scuola e ci ha detto che gli dispiaceva per la partita ma
anche perché ora sentiva dire che si doveva traslocare di nuovo, proprio sotto
Natale, come un anno fa, perché si diceva che la gente qui non li vuole. Proprio
ora che suo padre aveva trovato un lavoro e sua madre era contenta perché non si
doveva più andare in giro a chiedere la carità, come qualche mese fa.
E ci ha detto Andrei che ieri sera erano pure felici, era il compleanno di sua
sorella Adela, era venuto il Don, Massimone, Maria Grazia e tanti amici a
portare una torta ed una bambola. Per Adela era il primo vero compleanno. Ma
forse, diceva lei, non avrebbe potuto mai collezionare bambole. Traslocavano
troppo spesso.
Mi dispiaceva vedere Andrei così triste. Poi lui mi ha detto: "Se vuoi possiamo
giocare a pallone insieme qualche volta, se troviamo un luogo dove giocare…".
Avvertenze per i lettori: In quella scuola andavano anche Adela, Elena,
Elisabeta, Georgia ed erano compagne di Adele, Elena, Elisabetta, Giorgia.
La faccia di quel signore vestito da Zio Sam che punta il dito: "Mì te voeuri!"
esiste. E pure il Risik Padan. E se volete sapere di più delle ciulade padane
fatevi un giro in rete.
Avete fato un po’ fatica a districarvi tra Andrea e Andrei, tra Sergio e Sergiu?
Affari vostri. Quella piccola differenza nei nomi vi ha disturbato nella
lettura? Affari vostri.
Quella piccola differenza nei nomi racconta molte altre differenze nelle loro
vite. Ma non nei loro sogni da bambini. Che sono affari nostri, di tutti. Anzi,
ci riguardano.
Dedica:
Ai ragazzi che menano il balòn sul campo di calcetto in un parco di Milano.
Ai sognatori che hanno regalato loro il campo per giocare, i palloni e qualche
sogno in più.
A coloro che rendono i sogni dei bambini realtà.
Mihai Mircea Butcovan è nato nel 1969 in Transilvania, Romania. In
Italia dal 1991, vive a Sesto San Giovanni e lavora a Milano come educatore
professionale. Vincitore nel 2003 del premio "Voci e idee migranti", ha
pubblicato il romanzo "Allunaggio di un immigrato innamorato" (Lecce, Besa 2006)
e con la raccolta di poesie "Borgo Farfalla" (Eks&Tra 2006) ha vinto, nel 2006,
la XII edizione del Premio Eks&Tra. Collabora con vari giornali e riviste, tra
cui Internazionale.