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Due articoli da InchiostrOnline
Di Fabrizio (del 01/10/2008 @ 13:30:41, in Italia, visitato 1755 volte)

A Messina: Piccole "Impronte di pace"

Bambini italiani, rom, srilankesi e filippini, tutti uniti da interessi comuni come il gioco e il sorriso. Le loro impronte colorate sono simbolo della loro spensieratezza. Sono i protagonisti di un'esperienza di integrazione che per le due prime settimane di luglio ha coinvolto quaranta bambini e alcuni adolescenti a Messina. Il progetto si chiama "Impronte di Pace 2008", in risposta al provvedimento del ministro degli Interni Roberto Maroni di raccogliere le impronte digitali nei campi nomadi italiani. "Bisogna partire dai piu' piccoli - spiega padre Antonio Palazzotto, viceparroco della chiesa di Santa Maria di Pompei e promotore dell'iniziativa -. Attraverso il loro linguaggio diretto si costruiscono forti rapporti di conoscenza reciproca".

A scuola di dialogo dai bambini, dunque, se la comunicazione fra gli adulti non funziona. La realtà messinese non è molto diversa da quella di altre città: i due principali accampamenti rom sono cittadelle isolate e invalicabili. Almeno fino allo scorso 6 giugno, quando l'associazione culturale rom "Baxtalo drom" ("buona fortuna") ha "simbolicamente" aperto ai cittadini messinesi, per una festa, le porte del villaggio Fatima San Ranieri, a ridosso della stazione ferroviaria.

Una trentina di roulotte e casupole di lamiera, servizi igienici deteriorati, topi e scarafaggi dappertutto: è il panorama del piccolo villaggio rom costruito 20 anni fa a Messina.

"Con la giunta dell'ex sindaco Francantonio Genovese - spiega Patrizia Maiorana, vicepresidente dell'Arci Messina che opera dal 2002 con i nomadi - erano state avanzate alcune soluzioni abitative ma non si è fatto mai nulla". Anche il nuovo primo cittadino Giuseppe Buzzanca ha dimostrato sensibilità nei confronti dei problemi dei rom. Tuttavia, la bonifica del litorale sud di Messina, proposta dalla giunta Buzzanca, non sembra essere compatibile con la presenza dei circa 100 "zingari" che vivono fra la ferrovia e il mare. "Se costruiranno il ponte potremo finalmente affacciarci e vedere le nostre baracche", commenta ironicamente Saverio R., 58 anni, uno degli anziani del campo nomadi.

A San Ranieri vivono soprattutto bambini e adolescenti, perciò la Caritas punta su scolarizzazione e coinvolgimento dei più giovani per stabilire vettori di dialogo tra italiani e rom. Provengono dai Balcani e fino al 1998 avevano un permesso di soggiorno umanitario. "Perso lo status di profughi - spiega la Maiorana - non hanno più i documenti necessari e nemmeno la possibilità di trovare un lavoro". Per questo e altri motivi l'intera comunità vive di elemosina.

Per due settimane, a luglio, i piccoli hanno lasciato il campo tutti i pomeriggi. Gli animatori, tutti con esperienza di servizio nel campo, sono rimasti colpiti nel vedere una tale sintonia tra bambini di diverse etnie. "Loro, certi problemi non se li fanno", commenta Ivana Risitano, una volontaria.

L'iniziativa della chiesa messinese e della Caritas diocesana è stata un'occasione preziosa sia per i bambini che per i genitori che hanno partecipato attivamente alla realizzazione del progetto.

"C'è ancora molto da fare. I pregiudizi di anni non si cancellano in pochi giorni e anche il divario economico e sociale", conclude suor Gabriella D'Agostino della Caritas.

L'iniziativa, sfruttando l'onda mediatica, ha puntato i riflettori su una realtà trascurata, quella dei nomadi messinesi e gli organizzatori sperano che le uniche impronte lasciate in queste settimane siano quelle colorate dei bimbi. Un lenzuolo bianco e le loro impronte di pace.

Laura Conti [30.9.2008 - 13.24]


Napoli - Vita da profughi - Campi rom: la prigione della civiltà

La notizia degli abusi perpetrati sui piccoli rom, in quel vicoletto degli orrori alle spalle di Palazzo San Giacomo, è arrivata nelle case di cartone dei nomadi stanziati a Scampia e Secondigliano. Qui, tra un campo abusivo e uno autorizzato, vivono più di duemila persone. È difficile la vita tra le baracche dell'insediamento di Scampia, quello abusivo, situato ai margini di via Ghisleri sotto i ponti dell'Asse mediano. Un esercito di senza nome, un migliaio di individui divisi in quattro campi in base a provenienze etniche e religiose. Senza identità, senza documenti. I bambini corrono tra enormi pozzanghere, alcuni a piedi nudi. L'aria è quasi irrespirabile, resa pesante dai fumi di plastica e immondizia data alle fiamme. I rifiuti sono ovunque, non esiste alcun sistema di raccolta, per questo l'unico modo per disfarsene è bruciarli. È qui che si è svolta la visita del consigliere regionale Luisa Bossa, accompagnata da padre Pizzuti, dal pastore della chiesa evangelica zigana Gaetano Meglio, da padre Sergio Sala e da alcuni ragazzi dell'associazione "Chi rom e chi no".

Forte è lo sconcerto seguito alla scoperta degli abusi sui bambini. Essenziale capire e vedere da vicino, toccare con mano le condizioni di vita dei nomadi sistemati sul territorio cittadino. «Vedo tanti bambini e tanti topi - racconta Luisa Bossa -. Ho visitato il carcere di Poggioreale, ma questa è un'altra prigione, la prigione della civiltà». I bambini corrono incuriositi, i più grandi raccontano le loro storie. «Noi ci prendiamo cura dei nostri bambini - dice uno di loro - cerchiamo di vestirli bene e di mandarli a scuola. Ma guardate dove viviamo: loro giocano e si sporcano nel fango e nelle pozzanghere; rischiano tutti i giorni di buscarsi delle malattie».

Sapete cosa è successo ad alcuni bambini, del fatto che si siano prostituiti? «Sì, e siamo sconvolti - proseguono -. Ma questo non vuol dire che tutti facciamo così». Zanzare e altri insetti ronzano sulle pozzanghere, mordono senza lasciare tregua. Bruciano pure i morsi della scabbia che infesta le braccia di una bimba rintanata in un angolo della sua baracca, in isolamento. Ci spiegano che qui, più che altro, vivono profughi e rifugiati provenienti dalla ex Jugoslavia. «È la prima volta che sento parlare di questi casi di pedofilia - dice Barbara Pierro, dell'associazione "Chi rom e chi no" -. Al campo sono rimasti tutti molto colpiti. Hanno avuto come uno scatto d'orgoglio e bisogna chiarire che questi tremendi fenomeni non sono legati alla cultura rom, ma sono frutto di situazioni di estremo disagio».

Sulla stessa linea il pastore della chiesa zigana, Gaetano Meglio: «Quello che si è verificato dimostra l'enorme stato di bisogno di questa umanità. Le istituzioni devono intervenire, non solo elargendo denaro ma dando sostegno morale e sociale alle tante associazioni che quotidianamente lavorano in questi insediamenti».

Dal campo abusivo a quello autorizzato. È stretto fra la circumvallazione esterna e il carcere di Secondigliano. Container, strade asfaltate, molti bambini che corrono a giocare. E immondizia, tanta immondizia. Il campo, sulla carta, dovrebbe ospitare poco più di cento persone; ce ne sono quasi mille. Qui, raccontano, è un po' come stare in galera. «Io ho tre figli - dice Antonich -, voglio trovare un lavoro e vivere onestamente, ma senza documenti come si fa? Siamo qui da vent'anni e molti di noi non hanno ancora i documenti. Senza lavoro uno è costretto a rubare o a fare l'elemosina. E per guadagnare qualcosa possono anche capitare queste cose orribili».

Danilo Cirillo [30.9.2008 - 12.26]