\\ Mahalla : Articolo : Stampa
Migliaia conducono una vita invisibile in Italia
Di Fabrizio (del 03/10/2008 @ 09:19:03, in Regole, visitato 1403 volte)

Da Romano Them

Roma, 21 settembre 2008 - Parlano italiano, mangiano italiano e tifano per le star del calcio italiano, ma non sono italiani. Nei fatti, è difficile dire cosa sono.

Migliaia di persone stanno vivendo in Italia senza cittadinanza o documenti d'identità di un qualche paese. Molti erano cittadini di paesi che non esistono più, come la Jugoslavia o l'Unione Sovietica. Ma non hanno mai ricevuto la cittadinanza dai paesi che hanno rimpiazzato la loro nazione che non c'è più, ed inoltre sono venuti a mancare i requisiti per diventare cittadini in Italia.

E' difficile capire quanti siano perché sopravvivono ai margini della società, ma la Comunità di Sant’Egidio, un'organizzazione cattolica di Roma, pone il numero tra i 10.000 e i 15.000 Sono spesso cacciati dalle autorità, che cercano di deportarli come immigranti illegali anche se non hanno dove andare.

La vita nel limbo può essere particolarmente dura per chi è nato ed è andato a scuola in Italia. Una volta che compiono 18 anni, per la legge diventano poco più che immigranti illegali.

"Noi non siamo jugoslavi, non siamo italiani. Siamo come nuvole," dice Toma Halilovic, che vive con i suoi genitori, moglie e bambini in due container in un campo improvvisato alla periferia di Roma.

Halilovic, 26 anni, è nato nella capitale italiana da genitori jugoslavi arrivati qua illegalmente negli anni '70. Ha frequentato la scuola dell'obbligo, fatto amicizie con i bambini del posto e si è appassionato per la squadra di calcio dell'AS Roma.

Quando compì 18 anni, pensava avrebbe ottenuto la cittadinanza. I figli nati da stranieri in Italia non ottengono automaticamente la cittadinanza, ma possono richiederla tra i 18 e i 19 anni se hanno vissuto continuativamente e legalmente nel paese.

Halilovic dice che la sua richiesta è stata rigettata per un tecnicismo. Alla nascita non è stato registrato come residente, perché in quel periodo non era richiesto dalla legge.

"Mi hanno detto che sono nato in transito," dice. "Cosa significa? Questo è il mio paese."

In alcuni casi, i genitori non registrano i figli alla nascita perché hanno perso la cittadinanza del loro paese d'origine e non possono rinnovare i loro permessi di residenza italiani, dice Paolo Morozzo della Rocca, professore di legge sull'immigrazione all'Università di Urbino.

Molti dei quasi invisibili in Italia sono Zingari dall'ex Jugoslavia. La mancanza di carte d'identità e permessi di lavoro offre loro poche opportunità di studiare, avere un lavoro e lasciare i poveri accampamenti che ospitano molta della popolazione di 150.000 Zingari in Italia.

Una soluzione per quelli come Halilovic è di dichiararsi ufficialmente apolidi. Una convenzione del 1954 dell'ONU, riconosce loro uno speciale passaporto, permesso di risiedere e lavorare in Italia, ed un rapido percorso verso la cittadinanza.

L'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati dice che nel 2007, i governi hanno riconosciuto 886 apolidi in Italia, 948 in Francia, 4.461 nei Paesi Bassi e 9.091 in Germania. La Francia ha approntato un ufficio governativo per investigare sulle richieste di apolidia e trovato che impiegano di solito circa sei mesi.

Ma in Italia c'è una situazione da comma 22: il Ministero degli Interni richiede un permesso di residenza per riconoscere l'apolidia. Ed il permesso non può essere ottenuto senza un passaporto valido, che gli apolidi non hanno. Il Ministero dell'Interno non ha commentato.

L'unica alternativa è far causa al ministero in un tribunale civile, cosa che può prendere almeno tre anni, dice Morozzo della Rocca. Nota che la maggior parte della gente senza documenti manca del tempo e dei soldi per rivolgersi ad un tribunale.

"L'Italia si sta comportando con disonestà nell'applicare la convenzione," dice.

Il Ministro degli Interni Roberto Maroni ha detto recentemente che il governo intende garantire la cittadinanza ai bambini Zingari abbandonati nati in Italia. Ma i gruppi umanitari dicono che la vera sfida è accellerare il processo per dare agli apolidi i loro diritti.

Un problema è la difficoltà nel distinguere tra chi è veramente senza cittadinanza ed i migranti clandestini che si sbarazzano dei loro documenti dopo essere entrati in Italia, sperando di evitare il rimpatrio, dice Oliviero Forti, capo dell'ufficio immigrazione della Caritas.

"Per qualcuno è un piano: Strappano i loro documenti e prendono vantaggio dalla situazione," dice Forti. "Ma ci sono anche quelli nati nel nostro paese, hanno vissuto qui ed improvvisamente si scoprono ad essere illegali."

Source: Associated Press


PS: Una storia da Kelebek