Da
La Stampa
Nel campo di Ponte Decima dove la proroga è scaduta una settimana fa:
seicento rom che la giunta Veltroni ha parcheggiato nella più grande area
naturalistica del Lazio di FLAVIA AMABILE
L'uomo che vedete nella foto in fondo al post è Nedzad Hamidovic, il capo del
campo nomadi di Ponte Decima. Tutti lo chiamano semplicemente Meo. Ha compiuto
cinquant'anni dieci giorni fa e da quasi quaranta vive in Italia. Viene da
Sarajevo, è fuggito con la famiglia nel 1967, è abituato agli alti e bassi: sa
bene che per loro si preparano tempi difficili.
Da tre anni vivono in un campo irregolare, illegale, provvisorio. Non per colpa
loro. Fu il Campidoglio dell'era Veltroni a spostarli dal loro precedente
insediamento. Dopo 27 anni lui e altri ottocento rom (ma anche qualche
extracomunitario) lasciavano Vicolo Savini, quartiere Ostiense, zona viale
Marconi. In cambio di quello che molti di loro consideravano il loro quartiere,
molto più centrale e collegato, furono catapultati in una specie di landa
desolata e oltretutto nel bel mezzo di una riserva naturale protetta dove non
sarebbe possibile tagliare nemmeno un centimetro d'erba. Figurarsi far spuntare
dal nulla alcune centinaia di containers.
'Una situazione provvisoria', aveva spiegato loro il vice capogabinetto del
Campidoglio dell'epoca, Luca Odevaine, agli abitanti di vicolo Savini. 'Due
mesi', e avrete la sistemazione definitiva, aveva assicurato. Odevaine ha un
passato da militante ambientalista, da uno come lui alcune parole risuonano più
veritiere. Ed invece era solo una delle tante promesse non mantenute di questa
vicenda ormai prossima ad esplodere.
Da tre anni il campo vive di proroghe. Il 30 giugno è scaduta la quinta, secondo
molti anche l'ultima. Da maggio la maggioranza in Comune ha cambiato colore. Odevaine e Veltroni sono lontani, ora a guidare il Campidoglio ci sono Alemanno
e il centrodestra che questa vicenda del campo rom nella riserva naturale
protetta non l'hanno mai digerita. Gli attacchi sono già partiti. Gli abitanti
della zona hanno lanciato una petizione per mandare via il campo. E il
centrodestra ha rivolto un'interrogazione urgente al presidente della Regione
Lazio Piero Marrazzo per sapere ''cosa intende fare la giunta regionale per
tutelare la riserva naturale e bonificare l'area''.
Quella di Decima Malafede è la più grande e preziosa riserva naturale del Lazio:
6150 ettari di superficie, un paradiso per aironi, garzette e gallinelle
d'acqua. E il Campidoglio invece ha speso una cifra che dovrebbe aggirarsi
intorno ai 700 mila euro per trasferirci i rom da vicolo Savini con una deroga
speciale alla legge regionale 29/97 giustificata dalla temporaneità della
presenza.
Sostenitori della temporaneità della presenza sono da sempre innanzitutto i rom.
All'inizio, per sottolinearlo, avevano preteso che vi fossero solo tende. Dopo
qualche mese sono arrivati i container e le speranze che le promesse fossero
mantenute sono definitivamente caduti dopo la prima proroga, poi la seconda, e
tutte le altre.
Ai rom Ponte Decima non è mai piaciuto. Non c'è acqua potabile, solo di pozzo
piena di terra. Non c'è una fermata dell'autobus, se non a un chilometro di
strada a piedi da percorrere sulla via Pontina, una delle strade più pericolose
d'Italia. Qualche settimana fa, infatti, una rom è stata travolta e uccisa da
un'auto in corsa e chissà se riceverà mai un rimborso visto che non è del tutto
regolare andarsene in giro su una strada simile.
Il primo centro abitato è a cinque chilometri di distanza e da quando sono lì
stanno perdendo i rapporti con la città. I rom di Ponte Decima sono persone che
in buona parte il lavoro ce l'hanno, la carta d'identità anche. I loro figli
sono nati in Italia, sono registrati all'Anagrafe e hanno il codice fiscale come
ogni altro cittadino italiano. Il Comune di loro conosce tutto. Meo mostra il
censimento del '95 quando tutti loro erano più giovani ma già schedati e
fotografati dal Comune, gestione Rutelli. 'Ci sono quelli che rubano tra noi'
ammette Meo, 'ma sono la minoranza e di sicuro stare qui non aiuta nessuno a
vivere di qualcosa che non siano i furti'.
L'effetto del trasferimento si nota dalle percentuali di partecipazione alle
scuole. Una delle più basse fra i campi nomadi di Roma. Circa il 10% in una
città che nell'anno scolastico 2006/7 (l'ultimo con dei dati ufficiali) ha visto
un aumento del 36% dei bambini rom che frequentano le scuole. Quell'anno c'erano
17.458 alunni appartenenti a comunità nomadi. L'anno precedente erano 12.816 e
l'anno prima ancora 12.598.
In base ai dati forniti dal Ministero dell'Istruzione, gli alunni rom, sinti e
camminanti sono 3.136 alla scuola dell'infanzia; 9.595 alla scuola primaria;
4.398 alla scuola secondaria di primo grado e 329 alla scuola secondaria di
secondo grado. La crescita maggiore si è verificata alla scuola primaria, con un
+46%, mentre si conferma negli anni la crescita, lenta ma costante, dei bambini
che si avvicinano alla scuola dell'infanzia.
In tutte le fasce di età, la presenza femminile è la metà di quella maschile.
Solo il 46% di chi ha frequentato la scuola primaria si iscrive alla scuola
secondaria di primo grado, mentre alla secondaria di secondo grado arriva il
3,4% di chi ha iniziato la scuola dell'obbligo. In generale, secondo le audizioni
del gruppo di lavoro sui minori rom, sinti e camminanti che sta stendendo il
Piano nazionale infanzia 2008/09, in Italia ci sono 35mila rom fra i 6 e i 14
anni e 70mila under 18.
Per tutti loro qualcosa si potrebbe fare attraverso i finanziamenti del Fondo
sociale europeo Nel corso dell'ultima programmazione, dal 2000 al 2006, sono
stati attribuiti 275 milioni di euro per altrettanti progetti dedicati
specificatamente ai Rom e durante lo stesso periodo circa un miliardo di euro è
stato dedicato a progetti per le popolazioni più vulnerabili, compreso i nomadi.