Ricevo da Maria Grazia Dicati
di Gad Lerner: Cominciò con un inaspettato censimento etnico, nel
mezzo dell’estate di settant’anni fa, la vergognosa storia delle leggi razziali
italiane. Alle prefetture fu diramata una circolare, in data 11 agosto 1938,
disponendo una "esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle province del
regno", da compiersi "con celerità, precisione e massimo riserbo".
La schedatura fu completata in una decina di giorni: 47.825 ebrei censiti sul
territorio del regno, di cui 8.713 stranieri (nei confronti dei quali fu
immediatamente decretata l’espulsione).
Per la verità si trattava di cifre già note al Viminale. "Il censimento
quindi fu destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a
valutare", scrive la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci ne "L’Italia
fascista e la persecuzione degli ebrei" (il Mulino). Naturalmente, di fronte
alle proteste dei malcapitati cittadini fatti oggetto di quella schedature
etnica fu risposto che essa non aveva carattere persecutorio, anzi, sarebbe
servita a proteggerli.
Nelle diversissime condizioni storiche, politiche e sociali di oggi, torna
questo argomento beffardo e peloso: la rilevazione delle impronte ai bambini
rom? Ma è una misura disposta nel loro interesse, contro la piaga dello
sfruttamento minorile!
Si tratta di un artifizio retorico adoperato più volte nella storia da parte
dei fautori di misure discriminatorie: "Lo facciamo per il loro bene". A
sostenere la raccolta delle impronte sono gli stessi che inneggiano allo
sgombero delle baracche anche là dove si lasciano in mezzo alla strada donne
incinte e bambini. Ma che importa, se il popolo è con noi?
Lo so che proporre un’analogia fra l’Italia 1938 e l’Italia 2008 non solo è
arduo, ma stride con la sensibilità dei più. L’esperienza sollecita a
distinguere fra l’innocenza degli ebrei e la colpevolezza dei rom. La
percentuale di devianza riscontrabile fra gli zingari non è paragonabile allo
stile di vita dei cittadini israeliti, settant’anni fa.
Eppure dovrebbero suonare familiari alle nostre orecchie contemporanee certi
argomenti escogitati allora dalla propaganda razzista, circa le "tendenze del
carattere ebraico". Li elenco così come riportati il libro già citato: nomadismo
e "repulsione congenita dell’idea di Stato"; assenza di scrupoli e avidità;
intellettualismo esasperato; grande capacità ad adattarsi per mimetismo;
sensualismo e immoralità; concezione tragica della vita e quindi aspirazioni
rivoluzionarie, diffidenza, vittimismo, spirito polemico e così via.
Guarda caso, per primo veniva sempre il nomadismo. Seguito da quella che
Gianfranco Fini, in un impeto lombrosiano, ha stigmatizzato come "non
integrabilità" di "certe etnie"; propense – per natura? per cultura? per
commercio? - al ratto dei bambini. Il che ci impone di ricordare per l’ennesima
volta che negli ultimi vent’anni non è stato mai dimostrato il sequestro di un
bambino ad opera degli zingari.
Un’opinione pubblica aizzata a temere i rom più della camorra, si trova così
desensibilizzata di fronte al sopruso e all’ingiustizia quando essi si abbattono
su una minoranza in cui si registrano percentuali di devianza superiori alla
media. Tale è l’abitudine a considerare gli zingari nel loro insieme come popolo
criminale, da giustificare ben più che la nomina di "Commissari per l’emergenza
nomadi", incaricati del nuovo censimento etnico. Un giornalista come Magdi Allam
è giunto a mostrare stupore per la facilità con cui si è concesso il passaporto
italiano a settantamila rom. Ignorando forse che si tratta di comunità residenti
nella penisola da oltre cinquecento anni: troppo pochi per concedere loro la
cittadinanza? Eppure sono cristiani come lui…
Il censimento etnico del 1938, "destinato più a sottomettere che a conoscere,
più a dimostrare che a valutare", come ci ricorda Marie-Anne Matard-Bonucci, in
ciò non è molto dissimile dal censimento dei non meglio precisati "campi nomadi"
del 2008. In conversazioni private lo confidano gli stessi funzionari prefettizi
incaricati di eseguirlo: quasi dappertutto le schedature necessarie erano già
state effettuate da tempo.
L’iniziativa in corso riveste dunque un carattere dimostrativo. E i
responsabili delle forze dell’ordine procedono senza fretta, disobbedendo il più
possibile alla richiesta di prendere le impronte digitali anche ai minori non
punibili, nella speranza di dilazionare così le misure che in teoria dovrebbero
immediatamente conseguirne: evacuazione totale dei campi abusivi e di quelli
autorizzati ma fuori norma; espulsione immediata dei nomadi extracomunitari e,
dopo un soggiorno di tre mesi, anche dei nomadi comunitari; quanto agli zingari
italiani, gli verrà concesso l’uso delle aree attrezzate solo per brevi periodi,
dopo di che dovranno andarsene (sono o non sono nomadi? E allora vaghino da un
campo all’altro, visto che le case popolari non gliele vuole dare nessuno).
Si tratta di promesse elettorali che per essere rispettate implicherebbero un
salto di qualità organizzativo e politico difficilmente sostenibile. Dove
mandare gli abitanti delle baraccopoli italiane – pochissime delle quali "in
regola" - se venissero davvero smantellate tutte in pochi mesi? Chi lo predica
può anche ipocritamente menare scandalo per il fatto che tanta povera gente, non
tutti rom, non tutti stranieri, vivano fra i topi e l’immondizia. Ma sa
benissimo di alludere a una "eliminazione del problema" che in altri tempi
storici è sfociata nella deportazione e nello sterminio.
Un’insinuazione offensiva, la mia? Lo riconosco. Nessun leader politico
italiano si dice favorevole alla "soluzione finale". Ma la deroga governativa al
principio universalistico dei diritti di cittadinanza, sostenuta da giornali che
esibiscono un linguaggio degno de "La Difesa della razza", aprono un varco
all’inciviltà futura.
Negli anni scorsi fu purtroppo facile preconizzare la deriva razzista in
atto. Per questo sarebbe miope illudersi di posticipare la denuncia, magari
nell’attesa che si plachi l’allarmismo e venga ridimensionata la piaga della
microcriminalità. La minoranza trasversale, di destra e di sinistra, che oggi
avverte un disagio crescente, può e deve svolgere una funzione preziosa di
contenimento.
Gli operatori sociali ci spiegano che sarebbe sbagliato manifestare
indulgenza nei confronti dell’illegalità e dei comportamenti brutali contro le
donne e i bambini, diffusi nelle comunità rom. Ma altrettanto pericoloso sarebbe
manifestare indulgenza riguardo alla codificazione di norme palesemente
discriminatorie, che incoraggiano l’odio e la guerra fra poveri.
Non si può sommare abuso ad abuso di fronte ai maltrattamenti subiti dai
bambini rom. Quando i figli degli italiani poveri venivano venduti per fare i
mendicanti nelle strade di Londra, l’esule Giuseppe Mazzini si dedicò alla loro
istruzione, non a raccogliere le loro impronte digitali.
L’ipocrisia di schedarli "per il loro bene" serve solo a rivendicare come
prassi sistematica, e non eccezionale, la revoca della patria potestà. Dopo le
impronte, è la prossima tappa simbolica della "linea dura". Siccome i rom non
sono come noi, l’unico modo di salvare i loro figli è portarglieli via: così si
ragiona nel paese che liquida l’"integrazione" come utopia buonista.
A proposito del sempre più diffuso impiego dispregiativo della parola
"buonismo", vale infine la pena di evocare un’altra reminescenza dell’estate
1938. Chi ebbe il coraggio di criticare le leggi razziali fu allora tacciato di
"pietismo". Con questa accusa furono espulsi circa mille tesserati dal Partito
nazionale fascista. E allora viva il buonismo, viva il pietismo.