di Vincenzo Galiano
CASONI di Vegni, Avi, Casissa, Noci, Canate di Marsiglia. Nomi di antiche
frazioni abbandonate, tutte più o meno sperdute tra i monti. Impropriamente
qualcuno li chiama paesi, ma sono piccoli agglomerati di case in pietra, in gran
parte diroccate. Testimonianza di un passato rurale che potrebbe tornare a
vivere se le istituzioni dessero corpo alla proposta lanciata al SecoloXIX da
Edin Hrustic, portavoce dei rom slavi dell’ex campo nomadi della Foce e, oggi,
inquilini delle case popolari di Comune e Arte. «Perché si chiede Hrustic non
dare la possibilità di ripopolare le piccole località disabitate dell’entroterra
agli zingari che stentano a integrarsi o accettano con difficoltà la vita nei
condomini?». «Io stesso continua Hrustic, dipendente di una ditta che effettua
servizio di rimozione delle auto con carroattrezzi prenderei in considerazione
l’idea di ristrutturare, anche tramite mutuo, un vecchio rustico abbandonato. I
lavori di recupero potrebbero essere eseguiti direttamente dagli stessi zingari
con l’aiuto delle amministrazioni pubbliche.
Il vantaggio sarebbe una vita più autonoma e all’aria aperta: quella che, in
fondo, manca a molti di noi». Questa potrebbe anche essere la soluzione per dare
un tetto alle decine e decine di rom romeni che stazionano a Genova in
accampamenti abusivi privi di tutto, a rischio di incidenti ed epidemie. Tanto
più che il lavoro nei campi, la manutenzione dei giardini e la pulizia dei
boschi erano tra le attività tradizionalmente praticate dai rom sotto l’ex
regime di Ceausescu.Ma quanto è praticabile l’idea di affidare agli zingari il
compito di rivitalizzare remoti presidi montani? L’ipotesi non piace ai
volontari della Comunità di Sant’Egidio, da sempre impegnata in prima linea
nell’aiuto ai nomadi divenuti stanziali. «Isolare queste persone non è certo il
modo migliore per favorirne l’integrazione e sarebbe un passo indietro rispetto
al lavoro di tutti questi anni», osserva Claudio Bagnasco, tra i responsabili
dell’assistenza ai rom in seno all’associazione no profit di ispirazione
cattolica.
Sulla carta, l’operazione sembrerebbe fattibile. Perché sono diversi i borghi
fantasma dell’entroterra e, appunto, perché l’ipotesi non pare sgradita agli
stessi rom, slavi e romeni. Ovviamente, non mancano gli ostacoli. Il primo
riguarda la difficile accessibilità dei paesi abbandonati. Per esempio Noci, un
pugno di case disabitate da decenni nei pressi dell’omonimo invaso che alimenta
l’acquedotto comunale e non lontano da Montoggio, è raggiungibile solo
attraverso una pessima strada sterrata, preferibilmente a bordo di una jeep. «E
pensare che Noci è forse il posto meno isolato», dice Marco Balostro,
escursionista appassionato di fotografia, che, insieme a Davide Pambianchi,
fotoreporter del Secolo XIX, ha documentato l’abbandono di cinque antichi
insediamenti tra la Provincia di Genova e il Basso Piemonte. Luoghi come Avi,
vicino a Roccaforte ligure, Rivarossa e Casoni di Vegni, tutti in Valborbera,
provincia di Alessandria. E frazioni che gravitano su Genova, quali Casissa,
valle di Vobbia, alle spalle di Ronco Scrivia, dove si è conservata intatta
un’antica chiesa. O come Lavazzuoli, in Valbrevenna. Canate di Marsiglia, in
alta Valbisagno, è un’altra frazione abbandonata che, però, ha il pregio della
vicinanza alla città.
«Comunque conclude Balostro in tutte queste località, soprattutto d’inverno, la
vita è dura. Non a caso ’60, gli insediamenti più disagiati si sono spopolati
nel giro di poco tempo». Infatti, il portavoce dei rom”sfrattati” dall’ex campo
di via dei Pescatori pensa a sistemazioni meno avventurose: «Ho notizie dice
Hrustic di ruderi abbandonati sopra Sestri, sul monte Gazzo e nelle vicinanze
della discarica di Scarpino». Nelle località Cassinelle e Bianchetta
effettivamente esistono modeste dimore in disuso. A Panigaro c’è una vecchia
fabbrica di mattoni, accanto a una cava. Potrebbe essere adatta a diventare
quell'asilo notturno per romeni senza tetto prima ipotizzato e, poi,
ufficialmente accantonato dalla giunta Vincenzi? «Non penso proprio sbotta
Stefano Bernini, presidente Ds del municipio Medio Ponente Sapete quanto costa
la bonifica di una vecchia cava?». Hrustic non si fa illusioni: «I tentativi dei
romeni di riutilizzare case o vecchie fabbriche fuori dai centri abitati sono
falliti per l’opposizione della gente del posto. Per quanto mi riguarda, sto
bene nella casa popolare e posso benissimo rimanerci. I problemi riguardano solo
pochissimi rom. E non è vero che siamo morosi: quelli che erano in ritardo coi
pagamenti, hanno cominciato a mettersi in regola».