Ricevo da
Mariagrazia Dicati
Ieri sera all’ ennesima puntata della trasmissione su
rai tre :”Chi l’ha visto” condotta da Federica Sciarelli, abbiamo assistito
ancora una volta ad una accusa infamante sui rom rapitori di bambini,
attraverso la storia di Antonello Tuvoni.
La mattina del 28 agosto 1974, un bambino di 3 anni e otto mesi, stava
giocando in una strada di Torpè (Nuoro) e, mentre la madre era rientrata in casa
per lavargli un grappolo d’uva, sparì improvvisamente.
Nel 1988 il padre venne contattato da un istituto di Elmas (Cagliari) che gli
presentò un ragazzo diciassettenne che affermava di essere il figlio scomparso e
di essere stato rapito da alcuni zingari che lo avevano ribattezzato Zoran.
Per conoscere la storia collegarsi a questo link
Certamente è una storia drammatica e triste che non può lasciarci indifferenti,
ma questa cronaca proposta a milioni di italiani ha nuovamente diffuso questa
calunnia attraverso testimonianze dello stesso Antonello, bambino, ragazzo e poi
adulto dalla vita fatta di espedienti e confusione, da un suo amico mentre era
in carcere con Antonello e da altri: tutti accusatori, nessuna prova, nessuna
difesa, nessun nome.
Antonello sottoposto alla prova del DNA non è risultato figlio di Tuvoni che
lo aveva dapprima accolto e poi cacciato di casa per furto, anzi lo stesso
presunto padre è convinto che il figlio sia morto, vittima di un incidente e non
di un rapimento, escludendo inoltre la presenza di zingari a Torpè all'epoca
dei fatti.
Servizio molto accurato che sicuramente ha raggiunto un altissimo indice di
ascolto: mentre andavano in onda le varie interviste, venivano proposte
immagini di un campo rom e dei rom, quasi a voler convincerci che quelli erano i
responsabili di un rapimento, anche se non si sa con esattezza né da
dove venga questo ragazzo, il presunto Antonello, nè dove invece sia finito il
vero Antonello scomparso nel 74.
A mio giudizio, va sottolineato e non sottovalutata la responsabilità
della stampa e della televisione quale mezzo per la diffusione di pregiudizi e
di calunnie contro i Rom e i Sinti.
Proprio in questo periodo, i ragazzi di una classe quinta e prima media, alla
domanda sulle loro conoscenze relativamente ai Rom e Sinti hanno risposto nella
quasi totalità: sporchi, delinquenti, ladri, rapitori di bambini e, alla
richiesta quali fossero state le loro fonti, hanno dichiarato: i miei genitori e
la televisione, specificando che la stessa cosa era avvenuta anche per i loro
genitori.
Ritengo quindi che la stampa e la televisione non solo hanno una
responsabilità morale (penale?) nei confronti dei Rom e Sinti, ma anche
nei confronti dei nostri ragazzi che crescono con paure infondate e diffidenza
verso chi è diverso, ragazzi che diventeranno adulti e che forse avranno un
ruolo istituzionale o responsabilità politiche.
Con questo ragionamento non si vuole negare il diritto di informazione, ma
ribadire che l’informazione deve essere fondata e riferirsi al colpevole e
non a tutti i 12/14 milioni di Rom e Sinti del mondo.
Consiglio a tutti di riguardare il film “ Bambini della strada” dove,
anche se in lingua tedesca, non si può restare indifferenti davanti alle
scene del rapimento di bambini Rom legittimato dalla fondazione svizzera
di beneficenza "Pro-Juventute", cui nel 1926 cui stato affidato l'incarico
di"proteggere i bambini a rischio di abbandono e di vagabondaggio dalle autorità
Svizzere.
Oggi Mariella Mehr, scrittrice jenische (una comunità gitana), vive in
Italia. Da oltre venticinque anni consegna alla carta la memoria di quella
comunità Rom della Svizzera vittima, negli anni tra il 1926 e il 1972, di
quella vera e propria caccia al nomade che fu l'operazione"Enfants de la
grand-route" (Bambini della strada), con l’infallibile collaborazione della
polizia e delle autorità pubbliche cantonali e comunali.
“Mi hanno portata via da mia madre poco dopo la mia nascita (...) I primi sei
mesi di vita, li ho passati in un centro pediatrico per ritardati mentali. Lì ho
vissuto le prime torture psichiatriche di un bambino jenische (...) Quando per
la prima volta ho chiesto al mio tutore, il dottor Siegfried, chi fossero i miei
genitori, mi ha detto (...) tua madre è una puttana, tuo padre un asociale. E
questo, me lo sono portato dietro per dieci anni. Finché ho capito il
significato di quelle parole: i miei genitori erano zingari"
Come centinaia di altri figli di nomadi, Mariella era stata tolta di forza ai
suoi genitori.
Nella sua famiglia, tre generazioni sono state vittime di questa politica
di sedentarizzazione forzata: prima di lei, sua madre, e poi anche suo
figlio Settantadue anni dopo, i risultati di una ricerca storica hanno
dissipato ogni"ambiguità" su questa operazione.
Nel 1972 la sezione bambini di strada della fondazione Pro Juventude cessa le
sue attività, e dopo sei anni di depistaggi e ricerche, nel giugno 1998 Ruth
Dreyfuss, consigliere federale oggi presidente della Confederazione elvetica ha
dichiarato pubblicamente:
"Le conclusioni degli storici non lasciano spazio al dubbio: l'Opera di
soccorso Enfants de la grand-route è un tragico esempio di discriminazione e
persecuzione di una minoranza che non condivide il modello di vita della
maggioranza".
La fondazione "Pro Juventude" ha ammesso pubblicamente la sua responsabilità,
e .... continua normalmente la sua attività come se nulla fosse accaduto.
Nell'arco di quasi mezzo secolo, in Svizzera oltre seicento bambini jenisches
sono stati sottratti a forza alle loro famiglie dall'Opera di soccorso"Enfants
de la grand-route", che aveva un unico mandato: quello di sradicare il
nomadismo.
Con questo proposito, i figli del popolo itinerante erano sistematicamente
sottratti ai genitori e collocati presso famiglie affidatarie o negli
orfanatrofi, quando non venivano addirittura incarcerati o internati in ospedali
psichiatrici.
Consiglierei a Federica Sciarelli di dedicare una puntata di: “Chi l’ha
visto” a questa terribile storia ottimamente presentata nel film “Kinder der
Landstrasse”.