Da l'Espresso online, la parola ai diretti interessati
La commozione di Marinko Costantin Ventila, leader del Triboniano e ortodosso
Il capo dei nomadi in Duomo "Ora ci sentiamo cittadini veri"
Luigi Bolognini
Non sa, la signora impellicciata di leopardo che scambia segni di pace, che sta stringendo la mano al capo di quelli che forse le danno paure e angosce ogni volta che li vede nei tigì, nella vita di tutti i giorni e negli incubi notturni. I rom. Anzi, gli zingari: come Marinko Costantin Ventila, il leader del campo di via Triboniano che, anche se di religione ortodossa, ha voluto andare in Duomo a sentire di persona il discorso del cardinal Tettamanzi. E che, alla fine, è uscito con gli occhi gonfi dalla commozione.
Due ore filate in piedi, giusto la schiena ogni tanto appoggiata a una transenna, in una navata laterale del Duomo, mischiato tra il pubblico ad ascoltare litanie in ucraino, giapponese, coreano e congolese e a vedere balli dello Sri Lanka, al freddo. Messa così, sembrerebbe una specie di tortura. «E invece è un momento splendido, lo aspettavo da tanto. Adesso mi sento davvero e finalmente globalizzato. Perché le parole del cardinale arrivano subito dopo che siamo diventati ufficialmente cittadini dell´Unione Europea, mentre il Comune, la Provincia, le associazioni di volontariato e quelle diocesane hanno dato una risposta eccezionale all´incendio, una risposta che potrebbe essere la sistemazione definitiva per tanti di noi. L´anno si era chiuso davvero malissimo, con le fiamme che hanno bruciato una gran parte del campo. Sembrava la fine. E invece è stato un nuovo inizio, tutto è cambiato all´improvviso».
Ma la strada è ancora lunga, quasi come quella che ha fatto questo 52enne geometra dal 1991, l´anno in cui decise di abbandonare la sua Romania per cercare fortuna: «Tettamanzi parla di disagi, umiliazioni, fragilità dei migranti, e sono tutte cose che abbiamo davvero vissuto, giorno dopo giorno. Abbiamo girato davvero tutta l´Europa fino al 1995, quando siamo arrivati in Italia. Eravamo in 12, i primi rom della nuova immigrazione a Milano. Abbiamo dormito per mesi nei treni fermi nei depositi della Stazione Centrale, poi a Porta Garibaldi. In via Triboniano siamo dal 1998». Da allora Ventila ha cambiato alcuni lavori: «Il permesso di soggiorno è in regola, ma poi succede che scoprono che vivo in quel campo e finisce sempre allo stesso modo. Temo che perderò anche il posto che ho adesso, con tutta la pubblicità che mi è piombata addosso da quando c´è stato l´incendio del 31 dicembre. I pregiudizi sono più forti di ogni cosa».
Per questo quando Tettamanzi chiede «una città capace di risposte concrete, di risposte date nel segno molteplice e armonico della legalità, della sicurezza, dell´accoglienza, del rispetto dei diritti fondamentali della persona, in un clima di autentica socialità», annuisce soddisfatto. E quando il cardinale dice di volere rom «non semplici destinatari dei nostri interventi, ma protagonisti coinvolti attivamente e con la responsabilità dei loro diritti e doveri nella costruzione comune di una convivenza giusta, libera e solidale» apprezza, ma non si nasconde. «È vero, abbiamo dei diritti, ma anche dei doveri. E sappiamo bene che dobbiamo ancora lavorare su noi stessi. Abbiamo delle colpe: qualcuno di noi, non moltissimi ma sempre troppi, ruba o chiede l´elemosina agli angoli delle strade. E così ben presto gli italiani hanno paura o rispondono con violenza e intolleranza. Ma se succede che cerchiamo soldi in questo modo è perché non troviamo nessun lavoro. Dappertutto siamo odiati, i più odiati di tutti. Basta dire "zingari" che tutti reagiscono. Non è un problema solo italiano. Non è questione di Lega o non Lega».
Ma la speranza viene proprio da quello che è successo in questi giorni. Lo dice anche l´assessore Mariolina Moioli, unico politico presente in Duomo: «L´arcivescovo ci ha confermato che la strada dell´integrazione e della legalità è quella giusta». È della stessa idea Marinko Ventila: «Milano ce la può fare, Tettamanzi ha ragione. Abbiamo trovato tantissima gente che ci ha trattato bene, che non si è fermata ai pregiudizi, ma che ha saputo dialogare. Don Colmegna, certo. E anche l´Opera Nomadi. E poi tante persone comuni. Noi andiamo d´accordo con tutti. Anche con gli abitanti della via, che però prima fanno gli amici e cercano il dialogo e poi parlano male di noi alle nostre spalle. Ma noi non abbiamo problemi con loro, e vorremmo che anche loro non ne avessero con noi. Non siamo poi così cattivi, vogliamo solo vivere in pace». Proprio quella pace di cui scambia abbondanti segni in Duomo.
(07 gennaio 2007)