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Una segnalazione da Agostino Rota Martir
Di Fabrizio (del 16/12/2006 @ 09:54:15, in Italia, visitato 1981 volte)
Dal Manifesto:

La storia Ferid Sulejmanovic, espulso nel 2000. Ma la Corte europea gli aveva dato ragione
Morte assurda di un rom legale
Era uno degli zingari del campo Casilino, Roma, spediti a Sarajevo. A torto. Ha provato a rientrare da clandestino. E' morto soffocato in un tir
Cinzia Gubbini
Sembra quasi l'ultimo atto di una tragedia. Solo che è tutto vero. Niente palcoscenico, niente applausi finali. Per Ferid Sulejmanovic, il protagonista di questa storia, un'uscita di scena tra i gas tossici sprigionati dall'alluminio ferroso. 
Ferid, 33 anni, rom bosniaco, era stato cacciato sei anni fa dell'Italia, nel corso di un'espulsione di massa che la Corte di Strasburgo ha dichiarato illegale. Il suo cadavere è stato trovato sabato mattina nel cassone di un camion sbarcato al porto di Ancona. Il tir, che trasportava lui e un altro uomo non ancora identificato era partito dal porto di Zara, in Croazia. I due viaggiatori «abusivi» sono stati uccisi dalle esalazioni sprigionate dai lingotti di alluminio, che erano destinati a un'azienda del nord, e dietro cui si erano nascosti. L'inchiesta aperta alla Procura sulla loro morte dovrà anche accertare se quelle sostanze sono consentite. Quando al porto è arrivata l'agenzia regionale non ci ha visto chiaro: nonostante il telone fosse ormai stato alzato da tempo, e la banchina fosse ventilata, ha rilavato un'alta concentrazione di ammoniaca, anidride solforosa e arsina. Ma anche di altre sostanze, al momento ignote, e forse illegali. I due uomini non avevano documenti addosso: nelle tasche dei loro indumenti sono stati trovati soltanto un pacchetto di sigarette e soldi bosniaci. Ma la sorella di Ferid è andata ieri alla polizia di frontiera per riconoscerlo: sapeva che stava per arrivare, che aveva intenzione di infilarsi in un camion per raggiungere l'Italia, da dove era stato cacciato. Considerato illegale, al pari dei gas che lo hanno ucciso.
Solo che l'espulsione di Ferid è particolare. Illegale, anche quella: a dirlo è stata nel 2002 la Corte europea dei diritti dell'uomo. Era l'alba del 3 marzo del 2000 quando polizia e carabinieri arrivarono senza preavviso nei campi rom di Roma Tor de' Cenci e Casilino 700. Furono prelevate 67 persone, tra di loro bambini, donne incinte, anziani e malati. In dodici ore furono portati all'aeroporto e rispediti a Sarajevo, nonostante la maggior parte di loro fosse fuggita dalla guerra, e i bambini fossero nati in Italia e nulla sapevano di quel paese. Manifestazioni, interrogazioni parlamentari, appelli, non servirono a nulla.
Ma chi protestava aveva ragione. La comunità di Sant'Egidio, che seguiva le famiglie di Casilino 700, assistita dall'avvocato romano Nicolò Paoletti, fece ricorso alla Corte europea per i diritti umani, raccogliendo la procura delle persone che riuscirono a rintracciare: quasi tutti avevano trovato riparo nel quartiere di Ilizda, un sobborgo di Sarajevo dove vivono molti rom. Il fotografo Stefano Montesi ricorda il viaggio per intercettare le famiglie espulse: «Vivevano in case diroccate, intorno c'erano cartelli con scritto "attenti alle mine"». Furono messe insieme 16 procure. La Corte fece sapere che il ricorso era ammissibile. Solo allora, era il 2002, il governo si decise a trovare un accordo, pur di evitare una condanna che avrebbe stigmatizzato l'Italia per la violazione di diversi articoli della Convenzione europea: quello che vieta «trattamenti disumani e degradanti», quello che vieta discriminazioni, e quello che assicura il diritto a un ricorso effettivo. E fece tornare i ricorrenti, riconoscendo loro anche un risarcimento economico. 
Ferid Sulejmanovic venne a sapere della «vittoria» solo dopo la sentenza, chiese all'avvocato se potevano rientrare: «Ho studiato a fondo il caso - spiega Paoletti - ma tutti i termini di legge erano ormai scaduti per un ricorso. Certo, una buona amministrazione, preso atto della posizione della Corte, avrebbe dovuto riesaminare tutte le espulsioni. Ma così non è stato». 
Allora Ferid è salito su un camion diretto in Italia. Con lui c'era un altro uomo: al campo rom Casilino 900 dicono che probabilmente si tratta di Tissan Severovic, un altro rom espulso qualche anno fa. Ma il suo corpo ieri non era ancora stato identificato. Anche se - nonostante la questura di Ancona non abbia diffuso dettagli - poco dopo il ritrovamento dei cadaveri le agenzie di stampa hanno informato che «entrambi erano stati espulsi dall'Italia» e che uno dei due aveva precedenti penali. Le notizie corrono, spesso a metà.

Ljuba e Sasha *
Tommaso Di Francesco

Così manco i cani, manco i non umani
muoiono abbruciati nelle trappole
di latta e di fumo a via Gordiani,
tra la memoria e i sassi pasolini.
Qui nell'Eterna. Roma radice di rom...
Unici puri in città ad aspettar futuro,
Ljuba e Sasha di diciassette e sedici
nel fuoco per vivere pronto per morire,
con la creatura negli occhi luminosi
ancora nel bianco della festa, sposi.
Tutto l'amore mio è per voi cenere
per voi deportati, è per voi caduti
nei fili spinati, per caso, dicono
... provate voi per caso a non morire
in otto corpi in quattro metri quadri.
Ad ardere, solo voi amo che ho rincorso
nelle periferie che inghiottono certezze
tra boemie, serbie ed i kosovi, cacciati
e offesi da cronache luride e dagli armati
tra i battimani e i silenzi occidentali.
Adesso che la città vuole sentire voci,
il desiderio che mi resta è sul sorriso
vostro che con me ha in corpo Mauthausen,
a voi rifiuti che nell'addio discarica
l'Ama, sigla del nostro comune disamore. 
Tommaso Di Francesco

* Si è svolto ieri alla periferia di Roma (a Via Gordiani) il funerale dei due giovanissimi sposi, Sasha Traijkovic e Ljuba Mikic, morti bruciati nell'incendio del campo rom dove vivevano, il 2 dicembre scorso.