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Lettera sui nomadi
Di Fabrizio (del 30/11/2006 @ 14:21:44, in Italia, visitato 2713 volte)
Ricevo da Agostino Rota Martir

Lettera del vescovo di Vicenza Mons.Cesare Nosiglia.

(Vicenza, Episcopio, 1 novembre 2006)

FIGLI DELLO STESSO PADRE

Frammenti di umanità dentro e fuori la città

Alla Chiesa di Vicenza,

ricca di comunità cristiane accoglienti nel segno della pace.

Ai fratelli e sorelle Rom e Sinti,

figli di un popolo ancora troppo poco conosciuto e amato.

Alle istituzioni e a tutte le persone di buona volontà

che abitano il nostro territorio.

Non posso pensare alla Chiesa di Vicenza a me affidata e non tenere abbracciato con gli occhi del cuore e della fede ogni realtà, ogni comunità cristiana, ogni angolo abitato, ogni persona. E lo sguardo si ferma lì, dove la vita è dura non solo per le fatiche ordinarie, ma perché non c’è ancora uno spazio per stare, per mangiare, per lavorare, per dormire. Sì, penso a voi, fratelli e sorelle Rom e Sinti che abitate già da decenni vicini a noi e per i quali è come se fosse sempre il primo giorno del vostro arrivo: la precarietà, il rifiuto, la paura, fanno di voi dei perenni esiliati, dei costretti fuggitivi senza tregua.

E penso anche a voi, fratelli e sorelle delle comunità cristiane, nati e cresciuti in terra vicentina. Penso alla fatica di continuare a cercare espressioni nuove di solidarietà e di accoglienza per non sentire troppo pesante il giudizio di quella Parola di Gesù che ci invita ad amarci gli uni gli altri di un amore forte fino alla fine.

Penso a noi come Chiesa, tutta insieme, chiamata a celebrare la misericordia del Padre, assidua nella preghiera che genera relazioni umane autentiche e coraggiose, vigilante nella carità che è via di pace.

In questa mia lettera la cui attenzione va in particolare ai fratelli e sorelle Rom e Sinti (e Zingari in genere), vorrei fare mie le parole che il Papa Paolo VI pronunciò al Campo Internazionale degli Zingari il 26 settembre 1965 a Pomezia: “Voi, nella Chiesa, non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore”.

La vostra presenza ci riconduce ad immagini bibliche antiche nelle quali ritroviamo le radici del nostro essere popolo di Dio: “Davanti a voi cammina il Signore, il Dio di Israele chiude la vostra carovana”

Un popolo in cammino, uno snodarsi in fila di carovane cariche di vita, dentro le generazioni e gli anni della storia, alla ricerca dei beni essenziali per vivere. Provvisorietà, lentezza del cammino, sete e fatica, fanno parte del nostro quotidiano, ma mai siamo vagabondi. Lì dove c’era la possibilità che un solo uomo, Caino, andasse ramingo per il mondo a causa del suo peccato, Dio intervenne perché non gli fosse fatto alcun male.

L’acqua, il pane, il vestito, una casa che serva da riparo, sono i beni essenziali per vivere e questi beni noi cerchiamo con la certezza che Dio accompagna e protegge il nostro cammino. Ed è proprio questa “presenza-compagnia” di Dio che siamo chiamati a rendere visibile, concreta, tra una carovana e l’altra, tra un accampamento e l’altro. Se questa certezza ci è radicata nel cuore, la fatica trova sostegno, la paura è superata, la provvisorietà diventa accoglienza.

Certo, le carovane di oggi hanno assunto forme diverse, il cammino non è più attraverso il deserto sabbioso, ma i nostri bisogni primari sono quelli di sempre e la loro ricerca è ancora affannosa e contrastata. Voi, fratelli e sorelle Rom e Sinti, continuate ad abitare ai margini delle nostre città e paesi, nella ricerca spesso senza speranza di un luogo dove poter abitare, dove stabilire relazioni che vi consentano di sentirvi appartenenti ad un territorio, familiari di altre persone, impegnati a costruire futuro per voi e per i vostri figli.

Ce lo chiediamo insieme: come costruire convivenze possibili, dignitose, rispettose delle reciproche diversità culturali, religiose, sociali che ogni etnia, ogni popolo porta con sé come bagaglio di vita?

Se perdiamo di vista che il Signore accompagna il nostro cammino, tutto si complica e sembra senza soluzione. La diversità appare una minaccia alle sicurezze acquisite; gli usi e i costumi che ci caratterizzano sono occasioni di scontro più che di incontro.

Ho presente, conosco bene la laboriosità del popolo vicentino, la sua instancabilità, le tante fatiche sopportate per raggiungere situazioni di benessere per le proprie famiglie, per i figli dei figli. E so anche che la solidarietà, l’ospitalità non devono e non possono mettere a repentaglio ciò che ognuno si è procurato con il sacrificio ed il lavoro.

Ma è tempo di aprire spiragli di vita anche per chi, più svantaggiato per cause diverse, chiede di abitare tra noi, chiede di abitare con noi. Troppe sono ancora le provocazioni che ci impediscono di dormire sonni tranquilli, ma le provocazioni della storia possono essere occasioni per approfondire anche la nostra fede, per convertire il nostro cuore a Dio, allenandoci a proclamare con le labbra ciò che il cuore vive nella carità. Dove la ricerca della carità è una ricerca autentica, coraggiosa, testimoniale, lì la carità diventa operosa, capace di fantasia, profezia di una giustizia che si ristabilisce, anticipazione della pace.

E poi, quale consolazione e quale forza ci suscitano le parole che la traduzione biblica dei LXX ha posto a commento in Proverbi 18,19: “Un fratello aiutato da suo fratello è come una città alta e fortificata, è forte come un bastione regale”, ed ancora Proverbi 19,17 aggiunge: “Chi dona ad un povero, fa un prestito a Dio. Chi restituirà se non Egli stesso?”.

Possiamo davvero “tollerare” che questi nostri fratelli Rom e Sinti non abbiano le condizioni minime per vivere (terra, acqua, dimora) e sentirci a posto come cristiani?

Il dover vagabondare, il non essere riconosciuti mai da nessuno, produce comportamenti di aggressività, di violenza da una parte e di intolleranza dall’altra.

Non c’è bisogno di improvvisazione o di gesti di spontaneismo, ma di riflessioni e proposte concrete che aprano percorsi di convivenza e di corresponsabilità che ci consentano di sentirci ugualmente coinvolti nel trovare risposte adeguate e durature.

Diritti umani e stili di vita, fede e prossimità si incontrano, costruiscono un tessuto sociale nel quale ognuno è tutelato in quanto persona a partire dai più piccoli e indifesi. Elemosina e giustizia camminano insieme.

Con il salmista chiediamo al Signore “Apri la tua mano e sazia ogni vivente”, anche noi apriamo le nostre mani e condividiamo l’umanità che siamo. Non c’è paura nel condividere, perché dal Vangelo ci viene la lezione più straordinaria di matematica: dividendo si moltiplica! L’episodio della moltiplicazione dei pani di cui ci parlano i Vangeli( cfr Marco 6,30-44) né è un esempio illuminante. Certo, parliamo di una moltiplicazione che riguarda le relazioni umane nuove, creative, libere e liberanti che il contatto con il povero ci dona. Quante volte, in questi anni, vi ho sentito dire con gioia che avete sperimentato quanto dia serenità all’animo e senso di gratitudine, donare, aiutare, soccorrere chi è nel bisogno. Sembra una frase fatta quella che “nel dare si riceve molto di più di ciò che si dona”, ma è straordinariamente vero che la prossimità apre finestre che lasciano entrare aria pura ed il nostro cuore si ossigena al contatto con ciò che ciascuno in profondità è.

Ma da chi iniziare? Da chi crede che ad amare non si perde, da chi sceglie di osare la prossimità, da chi sente come una spina nel fianco che altri fratelli e sorelle siano ai margini senza possibilità di riscatto.

L’invito è innanzitutto a voi, fratelli e sorelle Rom e Sinti, perché vi sentiate “costruttori insieme” di futuro e non tanto dei “ricevitori” di cose o di soluzioni già confezionate.

Le vicende storiche, gli abbattimenti di alcune frontiere, le guerre, i cambiamenti sociali in genere, hanno modificato anche la vostra vita. Anche per voi c’è la fatica di mantenere fede alle vostre tradizioni sia culturali che religiose nel rispetto delle generazioni che crescono. Anche voi desiderate caparbiamente non perdere le caratteristiche che vi contraddistinguono come popolo, come etnia, eppure sentite la necessità di trovare mediazioni che vi permettano di farvi accogliere nei contesti dove ora siete. Certamente, alcuni cambiamenti fanno soffrire e portano degli sconvolgimenti che a prima vista sembrano irreparabili. Penso, per esempio, alla dimensione del lavoro che vi ha caratterizzato per aspetti tipici, particolari: lavoro artigianale, commercio. Penso alle donne che chiedono l’elemosina. Come, oggi, qui, è possibile restare fedeli a queste tradizioni? Quali altre modalità cercare, quali ambiti di lavoro individuare nei quali guadagnare il necessario per vivere e mantenere le vostre famiglie?Come accettare e rispettare le regole su cui si fonda la nostra società, che possono sembrare stringenti ed estranee alla vostra tradizione e cultura,ma che sono la base per una civile convivenza pacifica e giusta tra persone, famiglie ed etnie diverse che abitano lo stesso territorio?

Comprendo e sento che non sono passaggi facili, so che richiedono anche per voi, dialogo in famiglia, collaborazione, unità, volontà di interagire. Anche a voi chiediamo di cogliere le opportunità che vi vengono offerte per un “coabitare” vivibile, aperti al cambiamento lì dove occorra.

E’ una scommessa aperta anche per la nostra chiesa: dare vita a progetti di inclusione sociale rivolti a singoli nuclei familiari. Gli obiettivi intermedi sono la scolarizzazione dei minori, l’inserimento lavorativo attraverso le cooperative, un cammino di fede in vista dei sacramenti ma non solo. Lo stile è quello di fare in modo che siate voi al centro delle vostre scelte e responsabilità attraverso una condivisione in itinere dei percorsi stessi.

Per tutti noi c’è l’invito a purificare il nostro vivere da quegli atteggiamenti che non consentono il dialogo, la conoscenza reciproca, la ricerca del bene. Impariamo a dare un nome alla nostra paura di fronte alla differenza tentando percorsi di conoscenza che ci facilitino la via dell’incontro. Favoriamo l’ascolto reciproco, accogliamo il buono che ogni storia umana porta con sé, creiamo possibilità di vita che comprendano i valori comuni riconosciuti.

Mi rivolgo alle comunità cristiane.

L’evangelizzazione, la catechesi possono essere momenti per incontrarci, per conoscerci, per accoglierci alla luce della Parola del Signore. Sarebbe bello pensare ad una intesa umana così profonda e rispettosa del nostro credo religioso, se fossimo capaci di pensare a dei percorsi catechistici e anche a un catechismo, da costruire insieme con i bambini, con i ragazzi. Anche l’uso della lingua propria è importante per comprendere meglio la storia, le sfumature, il pensiero e la religiosità di un popolo.

Il Vangelo che abbiamo interiorizzato in famiglia, in parrocchia o, per voi Rom e Sinti, nei racconti dei vostri capofamiglia, può essere il punto di partenza per aiutarci a pregare insieme, a condividere il nostro pensare Dio in modo diverso. In fondo, tutta la Bibbia è percorsa da questa ricerca-accoglienza del “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, quasi a dire che il nostro Dio non è il Dio dei luoghi ma delle persone e si fa vicino passando attraverso “altri”. Possiamo cominciare a scoprire quali segni di religiosità accompagnano la nostra giornata, i fatti importanti della nostra vita (la nascita, il matrimonio, la morte) e, mettendoli vicini, cogliere ciò che ci unisce quando parliamo del Dio in cui crediamo.

A chi non professa la fede cattolica, dico di non temere: la Chiesa vi sente ugualmente al centro del suo cuore e dove vive il rispetto per l’uomo, sempre è possibile un dialogo.

Un invito particolare ai catechisti ed agli animatori: proteggete e difendete la spontaneità di relazione e di familiarità che i bambini portano “naturalmente” con sé. E’ un tesoro di cui siamo responsabili e la cui salvaguardia è nelle mani di noi adulti. Le attività dell’oratorio, della vita associativa, le attività sportive, sono “cantieri” privilegiati dove far nascere l’incontro e l’accoglienza alle diversità. Lì dove un bambino si sente amato, ci sono buone possibilità perché il suo sviluppo come persona sia adeguato, armonico, libero.

A voi pastori delle comunità infine e ai consigli pastorali, chiedo di promuovere nella gente sentimenti di accoglienza e di pace superando timori e chiusure,di sostenere quelle istituzioni che tentano vie di soluzione dei problemi e offrire loro una sponda presso l’opinione pubblica,di aiutare quanti operano in questo ambito con spirito di solidale amicizia e stima

Mi rivolgo alle famiglie. Sarebbe consolante anche per me, vostro Vescovo, sapere che ci sono famiglie disponibili a vivere una solidarietà vicina, spicciola, con altre famiglie Rom e Sinte. In molte occasioni, in questi anni, state dimostrando che l’amore per i poveri vi sta a cuore e la Chiesa vi è grata. La richiesta che vi rivolgo è di aprire la vostra famiglia, inizialmente anche per brevi momenti, a qualche bambino per aiutarlo nei compiti pomeridiani. Anche qualche mamma Rom/Sinta potrebbe avere il desiderio di scambiare qualche sua preoccupazione/fatica nell’educazione dei figli, nei problemi familiari. Non abbiate paura di mescolare i vostri figli con i figli degli “altri”, perché non è allontanando che ci si difende, ma chiamandoci per nome si può superare la diffidenza. Non ribellatevi quando intuite che qualcuno ha iscritto i bambini Rom e Sinti alla scuola dove vanno i vostri figli. Quale futuro può esserci per un bambino che non conosce la lingua del paese dove si inserisce se non sa leggere, scrivere o fare i conti? Come potremo pensare che, da adulto, troverà un lavoro che gli consentirà di vivere dignitosamente?

Mi rivolgo alle istituzioni. E’ un invito a continuare quella collaborazione che è iniziata nei mesi scorsi e che ci vede impegnati a cercare e trovare spazi abitativi senza i quali ogni progetto di promozione e di inclusione sociale si banalizza e si vanifica. Senza un pezzo di terra dove poggiare regolarmente una roulotte, un prefabbricato e una serie di servizi essenziali per vivere dignitosamente, nessun inserimento lavorativo, nessuna scolarizzazione dei minori è fattibile, nessuna socializzazione può accadere.

Il rifiuto o l’allontanamento verso altri Comuni, non risolve i problemi di fondo anche se li sposta altrove: perché non promuovere collaborazioni e sinergie sul territorio per affrontarli insieme?

E mi rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: aiutiamoci a fare accoglienza, aiutiamoci a non subire passivamente le povertà dei fratelli che ci vivono accanto. Insieme, diventiamo testimoni di carità a partire da piccoli passi che ognuno di noi prova a vivere dentro la propria vita. E’ un metterci in gioco che prevede tempi lunghi, passione per l’uomo, progettualità, sinergie dentro e fuori la chiesa.

Non mancheranno fallimenti e crisi, che del resto abitano anche le nostre famiglie e il nostro credere. Ma non per questo ci si arrende. Le tante inadeguatezze che abitano anche oggi le nostre famiglie non ci autorizzano infatti a non credere più nella famiglia.

Così è per le complesse difficoltà di relazioni e di dialogo con chi è “diverso da noi”: non devono impedirci di tentare comunque vie di rispetto, attenzione, disponibilità a capire,ad aiutare,a percorrere vie concrete di solidarietà reciproca.

Dio che ascolta il grido del povero, di certo, non resterà sordo all’invocazione di aiuto di quei figli che, nel suo nome, vivono la carità.

Vi benedico di cuore

+ Cesare Nosiglia, arcivescovo

vescovo di Vicenza