Scusandomi per il ritardo, ecco uno scritto inviatomi da Agostino Rota Martir:
In uno dei tanti manifesti elettorali, che durante la campagna elettorale hanno occupato gli angoli a disposizione della città con faccioni e frasi a effetto, i partiti del centrodestra hanno accusato il sindaco di Roma Walter Veltroni di aver lasciato alla città dopo 5 anni di amministrazione “106 centri sociali e 34 campi nomadi e 0 sgomberi”. Pochi giorni dopo è il comitato per Veltroni a rispondere, sempre via manifesti elettorali, rivendicando di aver “
spostato” negli ultimi 5 anni ben 8000 persone da insediamenti abusivi e “chiuso” decine di campi Rom, proprio negli anni in cui Alemanno era ministro di un governo che “ha consentito arrivi indiscriminati di immigrati, senza regole e senza controlli alla frontiera”
Nel pieno della campagna elettorale una risposta politica ancora più precisa arriva nei giorni successivi a questo scambio di manifesti: mercoledì 17 maggio i giornali danno notizia dell’inizio dello sgombero dell’area nei pressi del campo di Villa Troili, in zona Bravetta e pochi giorni prima era stato sgomberato uno stabile in Via Giolitti occupato e abitato da circa 50 migranti.
La difesa via manifesto dell’amministrazione capitolina aveva per titolo “le piccole bugie di Alemanno”, perché si proponeva di rispondere rivendicando una politica attiva di limitazione e di controllo, di decisioni e interventi forti riguardato i migranti e i Rom in particolare, al di là della ambigua differenza fra sgomberi, controlli alle frontiere, spostamenti e chiusure. Campi da “chiudere”, persone da “spostare”, il sindaco e la sua maggioranza rivendicano il coraggio e la capacità di aver realizzato interventi senza tensioni e senza incidenti, né con i Rom o i migranti, né con i residenti delle aree interessate.
In questo botta e risposta da campagna elettorale, in ognuna delle posizioni espresse a lettere cubitali e sparse ai quattro lati della città, alcune questioni che riguardano l’esito effettivo di questi interventi sembrano non trovare posto: in quali condizioni in cui si trovano uomini, donne e intere famiglie “spostate” ? quale prospettiva per le migliaia di insediati sulle rive del Tevere, accolti in condizioni di emergenza nei giorni della piena del fiume ? e dove finiscono le persone le cui baracche o ripari di fortuna sono “chiusi” ? La situazione dopo qualche settimana o mese non è apparsa per nulla tranquilla e pacificata negli insediamenti “spostati” e ancora meno per i tanti che hanno visto “chiusi”, ovvero distrutte, le loro baracche. La giunta ha sempre messo a disposizione posti letto nelle strutture d’accoglienza convenzionate con il Comune, in numero abbondantemente inferiore alle necessità, per un periodo limitato di tempo, istituzionalizzando di fatto una condizione di emergenza (famiglie da separare, orari di chiusura dei centri, nessuna autonomia o indipendenza nei ritmi di vita) in cui non è possibile alcun avanzamento sulla via della stabilizzazione e del radicamento delle persone accolte.
Altro caso emblematico la situazione dell’insediamento nel parco di Malafede, al 25 km della via Pontina, nel quale sono stati “spostati” pacificamente e attraverso un percorso di partecipazione i Rom che hanno abitato vicolo Savini per circa 20 anni: oltre alle tensioni forti fra le famiglie di residenti e ai conflitti con le associazioni che si occupano dei servizi nel campo, all’assenza di controllo sui residenti, si registrano negli ultimi mesi gravi emergenze di ordine sanitario, e sono oggettivamente peggiorate le possibilità di socializzazione e relazione per tutti i residenti, in particolar modo per donne e bambini che devono percorrere a piedi i
5 km per arrivare ad un supermercato o ad un bar.
La vicenda di questo insediamento mette in luce altri sinistri collegamenti fra le diverse retoriche che si affrontano nella campagna elettorale: alla richiesta esplicita di sgomberi del candidato di centrodestra si somma la proposta, già di Fini e di Alleanza Nazionale nelle precedenti competizioni elettorali, di spostare lontano dalla città, fuori dal G.R.A. tutti i campi Rom. Proposta spesso urlata di fronte a cittadini arrabbiati e imbestialiti, questa opzione appare silenziosamente messa in atto dalla giunta di centrosinistra, che vanta non solo lo spostamento dei Rom di vicolo Savini al 25 km della Via Pontina, ma anche quello dei Rom che abitavano all’interno della ex-Snia Viscosa, oggi in un campeggio lungo la via Tiberina ancora 5 km fuori dal GRA, per citare solo i casi numericamente più rilevanti.
Al di là delle retoriche, delle polarizzazioni che le campagne elettorali, anche amministrative, impongono, una questione appare evidente: mentre si assottiglia la differenza di prospettive, di politiche e di interventi fra quella che è stata la maggioranza e l’opposizione al governo della città, in favore di una semplice differenza di grado all’interno di una opzione –implicitamente- condivisa per le politiche di controllo e separazione dei Rom, esistono forze politiche in gradi di prospettare e sperimentare politiche per il superamento dei campi – e degli sgomberi – per i gruppi Rom e migranti ?
inserito il 30 May 2006
tratto da http://host.uniroma3.it/laboratori/osservatoriorazzismo/