Il piccolo aveva 13 mesi. Si è spento dopo tre giorni di agonia. La procura
chiede l'autopsia
di TIZIANA COZZI
NAPOLI - I primi malesseri sabato sera, nel piccolo container del campo rom di Giugliano, periferia Nord di Napoli. Nel fine settimana due inutili corse verso
altrettanti ospedali che lo rimandano a casa. La morte ieri, durante l'ultima,
disperata richiesta di aiuto nel terzo ospedale. Omar, un anno e un mese, si
spegne tra le braccia del papà dopo tre giorni di agonia e di via crucis da una
struttura sanitaria all'altra. Nessuna diagnosi. Sarà l'autopsia sul suo
corpicino a dire la verità su quanto accaduto, sull'eventuale omissione di
soccorso. L'esame avverrà appena saranno identificati i presunti responsabili e
notificati gli avvisi di garanzia. La polizia del commissariato di Giugliano ha
già inviato gli atti alla Procura della Repubblica e la piccola salma è stata
trasferita a Napoli. "Siamo rom, quindi possiamo morire così. Mio figlio stava
malissimo, era evidente. Eppure ci hanno liquidato così, sono bastate due
parole: "Sta benissimo, tornate a casa". E invece stava per morire". Quanto
accaduto è tutto nel breve, drammatico racconto del padre di Omar, Seido, che
ora, nel campo Rom di Giugliano (in attesa di sgombero) si dispera e chiede di
capire perché il bimbo è morto. È lui, con la moglie Draghiza, a ricostruire i
fatti.
L'incubo comincia sabato sera. "Omar stava malissimo, con dolori di pancia e
fitte allo stomaco", ricorda tra le lacrime mamma Draghiza. Domenica, dal campo
Rom, la corsa verso Aversa. Dove i medici visitano il piccolo. "Sta bene",
dicono. Dunque Omar torna nel container. Lunedì la situazione si aggrava. Il
bambino non apre gli occhi, vomita, suda. Ha la diarrea. Seconda corsa, questa
volta verso l'ospedale di Pozzuoli. Ma la scena si ripete. E anche se Draghiza
chiede ai medici di fare una lavanda gastrica, i medici hanno già fatto la
diagnosi: "È una banale influenza. Basta tenerlo al caldo e domani starà
meglio". Non servono le preghiere e le lacrime della mamma che implora i medici
di fare qualcosa. Devono lasciare il pronto soccorso.
Così la famiglia rom torna ancora una volta al campo, ma è l'inizio di una notte
di paura. Il bimbo non si muove più. E martedì comincia la terza - e inutile -
corsa verso un altro ospedale, il San Giuliano di Giugliano. Ma purtroppo Omar
non verrà visto vivo dai medici. Muore durante il tragitto, viene trasferito
direttamente all'obitorio dove, in breve, si affollano parenti e amici per
protestare contro i medici. Intanto parte il fax dall'ospedale per la Procura e
il magistrato di turno dispone il sequestro della piccola salma e l'autopsia.
Cosa ha ucciso Omar? Una malattia seria non diagnosticata? Oppure una banale
influenza non curata? "Siamo stati trattati così perché siamo rom - accusa Seido
- quando siamo arrivati in ospedale ci hanno trattato con sufficienza. Non hanno
valutato bene la situazione. È colpa loro se il nostro bambino ora non è più con
noi. Adesso voglio giustizia. Voglio che chi ha sbagliato paghi".