Segnalazione di Marco Brazzoduro
OPINIONI
8/2/2011 Caro direttore,
La Stampa ha dedicato la sua apertura al rogo nel campo nomadi della via Appia,
a Roma, sottolineandone il carattere tragico e il rilievo politico. Le scrivo
per sottoporre alla considerazione dei suoi lettori alcune informazioni sulla
situazione dei rom in Italia che non ho ancora visto riportate sui giornali.
Il sindaco Alemanno si è lamentato, ieri, per gli impedimenti burocratici che
avrebbero ostacolato una da lui auspicata accelerazione della politica di
sgomberi attualmente in vigore in almeno cinque regioni d'Italia, una politica
che faciliti il ricollocamento dei nomadi nelle aree a loro destinate dalle
municipalità sulla base di piani nomadi formulati dalle municipalità. Ebbene, mi
pare che il sindaco dimentichi che in Italia vige ufficialmente, dal maggio
2008, uno «Stato di emergenza in virtù della presenza delle comunità nomadi» che
conferisce - sulla base di una legislazione di protezione civile concepita per i
disastri naturali - dei poteri straordinari ed eccezionali ai commissari
delegati all'emergenza, tra cui i prefetti di Roma e Milano.
Dal maggio 2008 con cadenza annuale lo stato di emergenza in virtù della
presenza dei nomadi è stato rinnovato puntualmente ed esteso a cinque regioni
italiane - l'ultima volta nel dicembre scorso protraendo la fine dell’emergenza
al dicembre 2011. I commissari straordinari hanno goduto, negli anni passati, di
ampissimi poteri che hanno loro consentito addirittura di censire le popolazioni
rom presenti nelle loro regioni (cittadini italiani o no), con un'iniziativa del
tutto dubbia dal punto di vista del diritto alla privacy e alla non
discriminazione. La stessa emergenza nomadi ha permesso che nella sola città di
Milano siano stati eseguiti 170 sgomberi nel 2010 e che sia nel capoluogo
lombardo che a Roma siano stati adottati dei regolamenti comunali eccezionali
che si applicano ai soli campi nomadi, prevedendo condizioni di soggiorno
speciali per i loro abitanti, quali la necessità che l’intero nucleo familiare
sia esente da condanne passate in giudicato anche se scontate; che si debba
mostrare un tesserino di riconoscimento per accedere alla propria area
attrezzata; che non si possano invitare conoscenti e che non si possa circolare
nei campi dopo le 22. Campi spesso sorvegliati da polizia privata. E’ una
legislazione dubbia e speciale nelle mani dei sindaci delle due principali città
d'Italia per fronteggiare l'emergenza nomadi. Inoltre esiste una banca dati
fornita dal «censimento nomadi» che serve a conoscere la sussistenza e la
collocazione degli accampamenti informali.
Quanto le descrivo qui sopra è tutt’altro che esente da profonde criticità sotto
il profilo del rispetto della parità di trattamento e dei diritti umani
fondamentali. Oggi, mi chiedo, quali altri poteri desidera avere il sindaco
Alemanno per fronteggiare l'emergenza? Persino cospicui fondi statali - più di
15 milioni di euro per commissario delegato - sono stati messi a disposizione.
Sia a Milano che a Roma quei finanziamenti sono stati usati per gli sgomberi e
per il ricollocamento in aree destinate, scelte tra le più inaccessibili e meno
appetibili delle periferie urbane, aree ampiamente sovraffollate perché a Roma -
complice un sentimento antirom efficacemente diffuso dalle pubbliche istituzioni
- nessuno ha voluto vendere al Comune aree da destinare ai «villaggi della
solidarietà».
Diciamo piuttosto che dal maggio 2008 l'emergenza nomadi è stata un pretesto che
non ha risolto i problemi creati dall'effettivo afflusso di molte comunità rom
dall'Est dell'Europa in una situazione già ampiamente degradata da politiche
locali irresponsabili di segregazione, adottate in oltre venti anni nei Comuni e
nelle regioni italiane. I poteri di emergenza in uso dal 2008 sono serviti ad
attuare politiche ampiamente inaccettabili dal punto di vista del diritto
all'eguaglianza ma altamente popolari data la comune antipatia verso i rom:
censimenti, sgomberi, rimpatri, spostamento forzoso verso campi sovraffollati e
dove vige un diritto «speciale». Perché il padre di quei bambini avrebbe dovuto
portarli a vivere in un campo attrezzato regolato da norme simili? E magari
ancora più inaccessibile del luogo dove effettivamente si è compiuta la
tragedia? Pochi giorni fa, qui a New York, l'Italian Academy della Columbia
University ha dedicato la sua annuale conferenza sulla memoria dell’Olocausto ai
rom. In Italia non si sa neanche che c'è stato un Olocausto rom, in cui, come
succede oggi, i rom erano obbligati a vivere in campi speciali, dove vigevano
leggi speciali e dove le condizioni di vita non erano certo migliori di quelle
che si potevano creare da soli, nelle baracche certo pericolose e pericolanti,
ma almeno esenti dal diritto speciale dei sindaci.
COSTANZA HERMANIN Ricercatrice dell’European University Institute Fulbright
Fellow alla Columbia Law School, New York