Segnalazione di Alberto Maria Melis
MicroMega Intervista di Maria Serena Natale, Corriere della Sera,
20 ottobre 2010
Precarietà esistenziale, migrazioni incrociate, paura dello straniero. Zygmunt
Bauman, l'eminente sociologo polacco teorico della modernità liquida nata dalla
fine delle grandi narrazioni, inquadra il caso rom nella riflessione sull'età
delle diaspore e il sentimento d'incertezza che caratterizza le nostre società,
diventato fonte di legittimazione alternativa per lo Stato contemporaneo.
Professor Bauman, quali meccanismi vede dietro la linea dura di Sarkozy?
Additare lo straniero come responsabile del malessere sociale sta diventando
un'abitudine globale. Nel caso delle espulsioni è in gioco il conflitto
inseriti-outsider esaminato mezzo secolo fa da Norbert Elias: più di amici e
nemici, gli outsider sono imprevedibili, il senso d'impotenza che deriva
dall'incapacità di intuire le loro risposte ci umilia.
Con i rom la dinamica è amplificata?
Sì, perché sono percepiti come perpetui stranieri, colpevoli fino a prova
contraria, preceduti da storie di criminalità più o meno accertate ma assenti
dai luoghi deputati alla formazione delle opinioni, privi di élite capaci di
promuovere le ragioni delle comunità.
Le ansie legate ai flussi migratori sono un tratto dominante di quella che
lei descrive come una diaspora universale.
Oggi assistiamo a ondate migratorie organizzate per arcipelaghi planetari e
interconnessi di insediamenti etnici, religiosi, linguistici. Ogni Paese è
virtualmente bacino di emigrazione e meta di immigrazione, le rotte non sono più
determinate da legami imperial-coloniali: queste diaspore frammentate e
trasversali ci impongono di ridefinire il rapporto tra identità e cittadinanza,
individuo e luogo fisico, vicinato e appartenenza.
Come risponde la politica?
Lo Stato contemporaneo proclama come primo compito del potere la rimozione
dei vincoli alle attività orientate al profitto. Diventa così prioritario per i
governi trovare al senso di vulnerabilità dei cittadini cause non riconducibili
al libero mercato ma a rischi di altra natura. La priorità è la sicurezza,
minacciata da pericoli per la persona fisica, la proprietà e l'ambiente che
possono venire da pandemie, attività criminali, condotte anti-sociali di
sottoclassi, terrorismo globale ma anche da gang giovanili, pedofili, stalker,
mendicanti, regimi alimentari insani.
Uno stato d'allerta permanente.
Nel quale è impossibile sapere dove e quando le parole diventeranno carne.
La mancata materializzazione di una catastrofe paventata è presentata come il
trionfo della ragione governativa su un fato ostile, risultato di vigilanza e
cura delle autorità.
Come va ridefinito il patto sociale?
La migrazione universale porta in primo piano e per la prima volta nella
storia l'arte del convivere con la differenza. Un'alterità non più concepita
come transitoria richiede un ripensamento delle reti sociali, più tolleranza e
solidarietà, nuove abilità e competenze.
E come s'innesta questa differenza radicale sul terreno del
multiculturalismo?
Forme di vita antagoniste si fondono e separano in una generale assenza di
gerarchie: non valgono più ordini di valori consolidati né il principio di
evoluzione culturale ma si sviluppano battaglie per il riconoscimento
interminabili e non dirimenti.
In che modo risponde la democrazia?
Ha abdicato alla funzione di scoraggiare il ritrarsi dei singoli nella sfera
privata, rinunciato a proteggere il diritto delle minoranze a una vita
dignitosa. La democrazia non può fondarsi sulla promessa dell'arricchimento. Il
suo tratto distintivo è rendere servizio alla libertà di tutti. Ha di fronte una
sfida senza precedenti: elevare i principi della coesistenza democratica dal
livello degli Stati-nazione a quello dell'umanità planetaria.
(20 ottobre 2010)