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Il provvedimento è in relazione allo sgombero del campo comunale di via
Impastato
MILANO 08/07/2008 - Depositato presso il Tribunale di Milano il primo ricorso
contro il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che ha dichiarato lo
stato di emergenza in Lombardia in relazione agli insediamenti di comunità
nomadi e contro l'ordinanza che ha conferito poteri straordinari al prefetto
Gian Valerio Lombardi.
Il ricorso è stato depositato oggi dagli avvocati Ada Lucia De Cesaris, Stefano
Nespor, Valeria Sergi, Laura Hoesch, Achille Cutrera, Salvatore Morvillo e
Alberto Guariso in relazione al controllo svolto il 6 giugno scorso da circa
settanta tra agenti di polizia e vigili nel campo comunale
di via Giuseppe Impastato 7 dove dal 2005 risiede una famiglia di italiani,
sottolineano i legali, composta da 35 persone il cui esponente più anziano è
Goffredo Bezzecchi, sposato con Antonija Hudorovich, entrambi invalidi
civili.
I legali spiegano che gli agenti si sono presentati con vari mezzi blindati al
campo, svegliando di soprassalto i residenti senza tener conto della presenza
bambini, e che per oltre due ore hanno perquisito e fotografato le loro
abitazioni. Peggio, li hanno "schedati" secondo l'espressione utilizzata dagli
stessi operanti, fotografando i loro documenti di identità perché appartenenti
all'etnia sinti. Durante il controllo il domicilio dei residenti è stato violato
e a tutti è stato impedito di lasciare le abitazioni.
Per andare a lavoro o a scuola, hanno dovuto attendere di essere schedati e le
apposite autorizzazioni. Ora, secondo il pool di legali, la schedatura, la
violazione del domicilio e il comportamento tenuto dai funzionari costituiscono
una gravissima discriminazione. Di più, sono stati posti in essere in violazione
di disposizioni interne di rango costituzionale e ordinario, di norme vincolanti
dell'Unione europea e di norme di diritto internazionale.
Di qui il ricorso contro il ministero dell'Interno, nella persona del ministro
Roberto Maroni; la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella persona di
Silvio Berlusconi, il Prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi; il Questore di
Milano, Vincenzo Indolfi; e il Comune di Milano. Nello specifico si ricorre
contro il decreto con cui il 21 maggio scorso è stato dichiarato lo stato di
emergenza fino al 31 maggio 2009 "in relazione agli insediamenti di comunità
nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia" e contro
l'ordinanza del 30 maggio successivo con cui il presidente del Consiglio dei
ministri, "considerata la situazione di estrema criticità determinatasi nel
territorio della Regione Lombardia a causa della presenza di numerosi cittadini
extracomunitari irregolari e nomadi che si sono stabilmente insediati nelle aree
urbane", ha nominato il prefetto di Milano Commissario delegato per la
realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di
emergenza.
Tra i poteri speciali figura il "monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono
presenti comunità nomadi e all'individuazione degli insediamenti abusivi",
nonché "l'identificazione e censimento delle persone, anche minori di età e dei
nuclei familiari presenti nei luoghi" attraverso rilievi segnaletici. Per i
legali questi due provvedimenti sollevano numerosi profili di illegittimità. E
comunque sono stati illegittimamente applicati alla vicenda in esame perché la
famiglia "controllata" è composta da cittadini italiani stabilmente residenti a
Milano fin dagli anni Settanta e quindi né extracomunitari né nomadi.
Anzi, Bezzecchi è un italiano decorato con la medaglia d'oro al valore civile
dopo essere stato deportato nel 1942 all'età di 4 anni nel campo di
concentramento di Tussicia (Abruzzo) in base alle leggi razziali del 1938 perché
di etnia sinti. In punto di diritto, si ravvisa dunque una violazione del
principio di parità di trattamento con l'assenza di qualsiasi discriminazione a
causa della razza o dell'origine etnica.
Nel caso di specie l'elemento ritenuto più gravemente discriminatorio è la
"schedatura" in assenza di fatti rilevanti per l'ordine pubblico ma determinata
esclusivamente dalla appartenenza dei ricorrenti a una determinata etnia. I
legali ricordano che i sinti costituiscono una minoranza nazionale, trattandosi
di cittadini italiani residenti in Italia.
Per questo chiedono al giudice di ordinare alle amministrazioni citate di
astenersi dal formare schede di cittadini italiani predisposte per etnia o razza
e di distruggere quelle già fatte; di dichiarare che il comportamento tenuto
dagli agenti integra una condotta discriminatoria, di condannare le
amministrazioni per i danno cagionati e di pubblicare il provvedimento su tre
quotidiani nazionali.